Un convegno al Centro Astalli

La grande sfida della fiducia

TOPSHOT - A man (L) waves at migrants heading in a caravan to the border with Guatemala along the ...
18 giugno 2020

In ogni parte del mondo milioni di persone sono costrette ogni giorno a fuggire dalle guerre, dalla fame e dalla miseria più estrema: sono gli ultimi, i “dannati della terra”, lasciati spesso soli, abbandonati a se stessi, senza alcun aiuto e prospettiva di vita. Sono i migranti e i rifugiati, persone mosse unicamente dalla speranza di una vita migliore altrove. Un altrove che spesso si trasforma in un incubo animato da trafficanti di esseri umani, viaggi impossibili, prigionia e schiavitù. Sabato 20 giugno si celebra la giornata mondiale del rifugiato, indetta dalle Nazioni Unite, per sensibilizzare l’opinione pubblica su una serie di temi come l’accoglienza, l’inclusione, la promozione, il tema delle politiche mirate e dei piani di sviluppo, il tema del riconoscimento dell’altro come un prossimo da amare e tutelare come noi stessi.

In vista di questo appuntamento, il Centro Astalli — sede italiana del servizio dei gesuiti per i rifugiati, da oltre trent’anni impegnato nella promozione della cultura dell’accoglienza e della solidarietà — ha organizzato ieri, a Roma un convegno intitolato «In ognuno la traccia di ognuno». Un titolo che richiama Primo Levi e che vuole essere anche la sintesi di un messaggio fondamentale: il migrante, il rifugiato, è il nostro prossimo e dobbiamo avere cura di lui come di noi stessi. Un messaggio ispirato alle parole di Papa Francesco nell’ultimo Angelus: siamo tutti responsabili della sorte dei migranti.

«Oggi dare il benvenuto e dare fiducia è diventato raro e difficile perché la società crede che la diffidenza sia la chiave», non ci si rende invece conto che «accogliere dovrebbe essere la regola» ha detto il prefetto del Dicastero della comunicazione, Paolo Ruffini, intervenendo al convegno. Nella sua riflessione Ruffini ha messo in luce la drammatica divisione del mondo diviso in due, il “noi" e gli “altri”, e l’errore odierno di «sognare un mondo solo per noi, fatto di paura del diverso, di autodifesa, di “occhi chiusi”, che a lungo andare fanno smarrire anche la nostra identità». La creazione di capri espiatori — ha sottolineato il prefetto — «ci preclude di vedere la soluzione dei problemi che sono assolutamente interconnessi». Scegliamo «sulla scorta degli esempi biblici e del dettato evangelico, una identità che non tradisca la nostra storia, la nostra fratellanza e la bellezza di trovare rifugio gli uni negli altri».

Nel corso del convegno è emersa soprattutto la drammatica situazione della Libia e le responsabilità che nasconde la realtà odierna del Paese nordafricano. La Libia è tutt’ora «una ferita aperta», come ha detto il cardinale Matteo Maria Zuppi. Il porporato ha messo in rilievo soprattutto l’esigenza di «ripensare a come essere comunità», partendo dal «conoscersi» e dal «riconoscersi». Le paure ci sono e vanno affrontate — ha detto il porporato — «ma serve pure capire cosa accade intorno a noi». Importanti sono le politiche e i regolamenti, ha ribadito, anche questo significa fare accoglienza. «Per trasformare la pandemia in opportunità occorre rovesciare la diffidenza in responsabilità, rendendoci conto che per ricostruirci migliori di prima, abbiamo bisogno gli uni degli altri» ha concluso Zuppi.

L’inclusione è un valore centrale perché, come ha spiegato introducendo il colloquio padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, «su quella barca, in cui Papa Francesco ricorda che siamo tutti, sappiamo bene che non siamo tutti uguali e che i comportamenti di ciascuno condizionano la vita degli altri. Lavorare per la giustizia sociale e l’inclusione dei rifugiati è il modo con cui vogliamo bilanciare pesi e spazi sulla nostra barca comune». I rifugiati non possono continuare a essere percepiti come tali — ha sottolineato Ripamonti — «non possiamo lasciarli morire in mare e sulle frontiere o accontentarci di politiche sicuritarie». Lo sguardo del Centro Astalli è rivolto alla giornata mondiale del rifugiato «che cade in piena pandemia e che celebrare oggi significa — ha ribadito Ripamonti — guardare in particolare alle situazioni difficili dei campi profughi in Grecia, in Libia, nei Balcani, perché per i migranti ci siano vie legali di spostamento e ingresso in Europa e perché gli Stati, invece che spendere soldi in armi investano in sviluppo».

D’altronde è questa la missione fondamentale del Centro Astalli: accompagnare, servire e difendere i diritti dei rifugiati. Dal 1981, quando nacque, il Centro ha ampliato i suoi servizi e oggi può vantare una rete territoriale molto ramificata: una mensa che distribuisce 400 pasti al giorno, un ambulatorio, quattro centri d’accoglienza, una scuola d’italiano e tanti altri servizi di prima e seconda accoglienza.

L’immigrazione e i diritti del rifugiato sono anche al centro del dibattito politico quotidiano, soprattutto in Europa. Uno dei punti chiave di questo dibattito è la riforma del regolamento di Dublino. «La giornata mondiale del rifugiato deve sfidarci sul tema delle tutele e dei diritti. Il cardine dell’Ue dovrebbe essere la solidarietà, la responsabilità, la tutela della vita» ha detto il ministro dell’interno italiano Luciana Lamorgese nel suo intervento. L’auspicio è che «si rimetta mano al regolamento di Dublino sulla responsabilità solo dello Stato di primo ingresso». Le politiche e le strategie per gestire i fenomeni migratori — ha sottolineato il titolare del Viminale — «devono essere prioritarie per l’Unione europea, affrontate con impegno e con la condivisione delle responsabilità». «La strada per questa sfida — ha aggiunto — è la sinergia, è l’approccio partecipato». Sul tema dell’accoglienza, il ministro ha poi ricordato quanto importanti siano, oltre ai servizi, gli interventi diretti di inclusione sociale che approdino alla conquista di autonomia dei singoli soggetti. «La sfida è comune, dunque, servono ora azioni concrete da parte di tutti gli attori coinvolti».