Punti di resistenza

L’Italia che non molla

Antonio Canova, Particolare dell’Italia turrita in lacrime nel monumento a Vittorio Alfieri (1810)
20 giugno 2020

In un libro di Alessio Lasta


Dicono che la Costituzione italiana sia la più bella del mondo. E hanno ragione. La Carta mette al centro dei suoi 139 articoli «la persona umana» e prende atto, come disse Giuseppe Dossetti in Assemblea costituente, «dell’esistenza dei diritti fondamentali anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato», diventando, dunque, limite al potere, garanzia di ciascuno e di tutti, portatrice di giustizia sociale. Una conquista fondamentale. Ma è certo che i suoi principi e i suoi valori vengano sempre rispettati? La Costituzione, al pari di quegli uomini e di quelle donne che intende tutelare e a cui si rivolge parlando di libertà, uguaglianza e dignità, risulta in qualche modo contraddetta?

È su tale spinosa premessa che Alessio Lasta, giornalista e inviato di Piazzapulita, basa il suo libro che, sin dal titolo, alle domande di cui sopra risponde con amara disillusione. La più bella. La Costituzione tradita. Gli italiani che resistono (Torino, Add Editore, 2020, pagine 288, euro 15) testimonia, attraverso le dieci storie che racconta, quanto e come il «seducente» documento del 1948, «quintessenza delle anime che uscivano dall’esperienza della guerra e che avevano davanti un Paese tutto da ricostruire» e pure «sintesi delicata di equilibri ancora instabili, ma mirabile nell’individuare pesi e contrappesi della nostra fragile democrazia», resti spesso «lettera morta per le vite di molti, troppi italiani».

L’autore, pertanto, dopo la prefazione di Corrado Formigli, compie — e fa compiere al lettore — un viaggio nelle diverse regioni italiane: non è il Grand Tour di epoca settecentesca tra i paesaggi e le opere d’arte del Belpaese; è piuttosto la presa d’atto di una dura realtà. «Abbandoniamo i malati ai loro destini e alle forze resilienti delle loro famiglie. Lasciamo che non sia affar nostro la morte di un migrante minorenne, perché alla coscienza abbiamo sostituito il codice. Chiamiamo speculatori i truffati dalle banche, pensionati, contadini e piccoli artigiani che hanno perso tutto, sacrificati da uno Stato che doveva vigilare e non l’ha fatto. Chiudiamo gli occhi sulle morti dei lavoratori in nero nelle serre delle nostre campagne e ci piace molto il peperone a cinquanta centesimi al chilo. Respingiamo nei ghetti un uomo che ama un altro uomo o una donna che ama un’altra donna e ci vendichiamo sui social pubblicando le foto intime della nostra o del nostro ex. Sfregiamo la nostra terra, avvelenandone le acque, poi compriamo la borraccia di alluminio per lavarci le coscienze», scrive Lasta nelle prime pagine del libro, che sicuramente ha il merito di illuminare gli «altrove d’Italia», la provincia, le periferie dei grandi centri e anche quelle dell’esistenza, evidenziandone l’antitesi col dettato costituzionale. Il suo è, a ragione, un libro inchiesta, una indagine sui «disservizi, [sui] muri di gomma e [sulle] promesse da marinaio» contro cui alcuni più di altri, sia al sud sia al nord e giorno per giorno, si scontrano.

Dalle storie che Lasta attraversa, costruendo un intenso reportage fatto di solide e mai fredde argomentazioni, emergono perciò tutti i diritti negati e sommersi che, se tali non fossero, se venissero effettivamente garantiti, potrebbero dar vita a «quell’Italia che la Carta aveva disegnato». Eppure esiste chi attende da tredici anni l’assegnazione di una casa popolare e da troppo si arrangia a sopravvivere in container, vere scatole di lamiera; chi da bracciante agricolo senza tutele va incontro alla morte invisibile; chi deve rinunciare ai propri sogni, a studiare perché la sorte a volte costringe a rimboccarsi le maniche fin da bambini; chi, ancora, è vittima di discriminazione razziale e della disapplicazione dei più elementari principi di accoglienza oppure di mercificazione e mentalità sessista. Nel libro c’è, insomma, un «esercito di resilienti quotidiani, che mettono toppe laddove lo Stato non c’è, che si aiutano da soli perché non aiutati da nessuno e affrontano con dignità calvari quotidiani da premio Nobel per la pazienza, se vi fosse».

Del girone dantesco che viene così narrato colpisce la storia di Carla, insieme a quella di Matteo. La prima, mamma e moglie, di Taranto, è inchiodata a letto dalla Sla: per le condizioni in cui si trova, «ha bisogno di assistenza ventiquattr’ore su ventiquattro, di infermieri specializzati, di operatrici socio-sanitarie dedicate (...), di quattro badanti a turno» che, tuttavia, la famiglia non può permettersi. E per tale motivo, davanti alla «mancanza di assistenza, che regione, comune e asl dovrebbero garantire in misura maggiore rispetto a quello che fanno [perché] un’ora e mezza al giorno non può essere sufficiente», il figlio, Andrea, ha abbandonato l’università e il marito, Biagio, punta ogni notte quattro sveglie, a distanza di poco più di sessanta minuti l’una dall’altra, per controllare che vada tutto bene, che Carla non soffochi. A commento di questo spaccato di vita, Lasta pone in calce l’articolo 32 della Costituzione («La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»), il quale non fa che stridere dinanzi agli occhi di Carla, farfalla dentro a uno scafandro, lasciata sola nel silenzio della propria casa.

La seconda storia, invece, riguarda appunto Matteo, adolescente veneto, che a soli 16 anni rimane vittima di un incidente che gli provoca la lesione del midollo e la paralisi dal collo in giù: questo giovane ragazzo ha visto svanire sia il sogno di realizzare una casa domotica sia il risarcimento ottenuto, a causa del crack della banca a cui aveva affidato il denaro senza, tuttavia, mai acconsentire ad investimenti rischiosi. In questo caso, l’autore conclude riportando l’articolo 47 della Carta costituzionale («La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese»), articolo, rispetto a Matteo, disatteso.

Per ogni storia di «resistenza» su cui indaga, per ciascuna persona che incrocia, per tutta l’umanità a cui va incontro, La più bella è, in definitiva, un manifesto corale sull’Italia che, con maggiore impegno e serietà, potrebbe essere «migliore di com’è», soprattutto nei confronti dei più fragili, che, quotidianamente, lottano per mantenere un residuo, una briciola di dignità; ma è pure uno sguardo sul ruolo importantissimo del giornalismo. C’è bisogno che certi fatti vengano raccontati, che si vada là dove (non) succedono le cose, che si pongano a tutti le domande più improbabili per squarciare il velo di oblio posto su alcune vite e per non lasciare solo chi è già rimasto indietro. Alessio Lasta lo fa, macina chilometri, suda, si indigna, snocciola fatti, cifre e dati precisi, testimonia, scrive e riscrive (soprattutto quando il computer coi primi due capitoli gli viene rubato) e, con la sua penna e le sue parole, denuncia la perdita dell’innocenza di tanti mondi.

di Enrica Riera