In un orizzonte universale

Profughi durante la seconda guerra mondiale
20 giugno 2020

L’Exsul familia contiene una lunga ricostruzione della storia plurisecolare della “materna sollecitudine della Chiesa per gli emigranti” dai “tempi remoti” al pontificato pacelliano. Non si tratta tanto di una rivendicazione di meriti storici e umanitari della Chiesa, quanto della provata affermazione di come il mondo dei rifugiati e dei migranti sia un precipuo campo d’azione della Chiesa da sempre. La “materna sollecitudine”, per usare l’espressione pacelliana, ha una storia lunghissima: sono cambiate le modalità d’azione, ma permane una costante attenzione e un attivo coinvolgimento. Così almeno vuol dire Pio XII. Si tenga conto che tra i “migranti” sono ricordati i gruppi più disparati: «Gli schiavi negri, strappati scelleratamente dalla terra natia e fatti oggetto di turpe mercato in vari porti dell’America e dell’Europa », gli esuli politici della Rivoluzione francese, gli emigrati italiani e via dicendo. Sono alcuni di quei differenti popoli o gruppi in movimento, che attraversano i secoli, sempre importanti per la Chiesa. È significativo come Pio XII senta il bisogno di una lunga memoria storica del coinvolgimento del papato e della Chiesa in queste vicende. Il Papa afferma che è utile fare la storia di questo impegno — siamo nel 1952 —, quando «la provvida attività della Madre Chiesa viene dagli avversari tanto menzogneramente impugnata, misconosciuta e contestata proprio sul quel terreno della carità, che essa si trovò per prima a dissodare e non di rado fu lasciata sola a coltivare» (...).

L’emigrazione, vista dal Papa come un fenomeno costante nella storia umana, ha uno “scopo naturale”: una più positiva distribuzione della popolazione sulla terra. Si ha qui la chiara visione che gli spostamenti di popolazione non sono un fatto passeggero, un’emergenza, magari legata alla guerra, ma una continuità nella storia umana, seppure accresciuta in taluni momenti dalle crisi e dai conflitti. «Peraltro la terra — ribadisce Pio XII — è stata creata e preparata per uso di tutti» (Radiomessaggio in occasione del cinquantesimo della «Rerum novarum» del 1° giugno 1941). Si esprime qui una visione dell’uso universale della terra che supera quella angustamente nazionalistica o legata al dominio coloniale delle potenze europee, allora diffuso in tanta parte del pianeta: grazie all’emigrazione, «le terre di densi abitanti resteranno alleggerite e i loro popoli si creeranno nuovi amici in territori stranieri... » (Ibidem). Il fenomeno dell’emigrazione, così “naturale”, va regolato nell’intelligente collaborazione tra gli Stati e nell’interesse della famiglia migrante.

Proprio la famiglia migrante, nella visione di Pio XII, è il soggetto centrale del processo migratorio: ha un sorgivo “diritto a uno spazio vitale”. È una dimensione assai diversa da una concezione politica o economica dei migranti. Il nazismo aveva parlato di “spazio vitale” (Lebensraum) combattendo per esso. Da parte sua, invece, il Papa fa riferimento alla soggettività della famiglia, titolare di diritti, la quale si muove legittimamente alla ricerca di uno “spazio vitale” nel mondo, che non può essergli negato. L’emigrazione, fenomeno naturale nella storia dell’umanità, è vantaggioso per i paesi di partenza e per quelli di approdo. Il Papa continua: «Se le due parti, quella che concede di lasciare il luogo natio e quella che ammette i nuovi venuti, rimarranno lealmente sollecite di eliminare quanto potrebbe essere d’impedimento al nascere e allo svolgersi di una verace fiducia tra il paese di emigrazione e il paese d’immigrazione, tutti i partecipanti a tale tramutamento di luoghi e di persone ne avranno vantaggio... Così le nazioni che danno e gli Stati che ricevono, in pari gara, contri-buiranno all’incremento del benessere umano e al progresso dell’umana cultura» (Ibidem).

I diritti dei migranti, secondo Papa Pacelli, sono una parte rilevante di quell’orizzonte di princìpi e diritti, «con cui noi — il Papa usa il plurale maiestatico — vorremmo cooperare fin da ora alla futura organizzazione di quell’ordine nuovo, che dall’immane fermento della presente lotta il mondo si attende e si augura che nasca, e nella pace e nella giustizia dei popoli». Questi orientamenti sono «una sorgente la quale, se oggi potrà venire in parte coperta da una valanga di eventi diversi e più forti, domani, rimosse le rovine di questo uragano mondiale», saranno decisivi per «il lavoro di ricostruzione di un nuovo ordine sociale» (Ibidem).

(...) Nello scenario della crisi del mondo contemporaneo, di fronte alla fragilità dell’ordine internazionale, l’universalismo della Chiesa di Pio XII si pone, nei disegni del Papa, come un modello e come un servizio per realizzare un mondo pacificato, fuori dalle logiche dei totalitarismi, degli imperialismi e dei nazionalismi, com’egli afferma. Il Papa afferma nel discorso natalizio del 1945, quello del primo Natale dopo la fine della guerra: «Come un faro potente, la Chiesa, nella sua universale interezza, getta il suo fascio di luce in questi giorni oscuri, per i quali passiamo». Le differenti vicende dei rifugiati, dei richiedenti asilo, degli spostamenti di popolazione, delle migrazioni si collocano in un orizzonte universale. In tale orizzonte globale, vanno soprattutto risolti i problemi suscitati dal Dopoguerra e nel periodo successivo, perché «gli esuli e i profughi possano finalmente tornare alle loro case, e i bisognosi, impossibilitati a trovare in patria il necessario per vivere possano emigrare in altre nazioni»; sono parole dell’Exsul familia. Nella “restaurazione del mondo” (che è la prospettiva del pontificato dal 1946 e nello scenario del Dopoguerra), profughi e migranti hanno un ruolo decisivo: la soluzione dei loro problemi forza a uscire da una visione angustamente nazionalistica o da una politica imperialistica. I migranti e i rifugiati sono per Papa Pacelli un capitolo molto importante dell’esperienza di umanità (per dirla con le parole di Paolo VI) della Chiesa del Novecento, fattasi ancor più drammatica con la guerra e le sue tragiche conseguenze. Sono anche l’occasione per manifestare la convinzione che una soluzione ai loro problemi, capace di tener conto dei diritti della “famiglia esule”, deve collocarsi in uno scenario universale, il solo in grado di superare gli interessi nazionalistici a favore della comune umanità. Insomma, Pio XII è consapevole che la Chiesa, in modi differenti, ha sempre avuto a cuore i popoli in movimento e che in futuro si troverà innanzi a nuove responsabilità nei confronti di un fenomeno che non finisce.

di Andrea Riccardi