Intervista a Bernice Albertine King

Il Papa e mio padre uniti dallo stesso sogno

L’incontro con Papa Francesco il 12 marzo 2018
20 giugno 2020

La comunità afro-americana ha celebrato, ieri, il Juneteenth, giorno che ricorda la fine della schiavitù proclamata il 19 giugno (June Nineteenth) del 1865 quando i soldati dell’Unione arrivarono a Galveston in Texas e decretarono la fine della Guerra civile. Tale ricorrenza, che per milioni di neri d’America è riconosciuto come il Freedom Day, è stata vissuta quest’anno in un clima particolare dovuto alle proteste innescate dalla barbara uccisione dell’afro-americano George Floyd da parte di un agente di polizia. Sull’impegno per l’eguaglianza, la cultura della pace e il valore della nonviolenza, «L’Osservatore Romano» e Vatican News hanno intervistato Bernice Albertine King, figlia di Martin Luther King jr. Appassionata attivista per i diritti umani come suo padre e presidente del King Center di Atlanta, Bernice Albertine vede una grande sintonia tra suo padre e Papa Francesco da lei incontrato due volte in Vaticano nel corso del 2018.

Non solo gli Stati Uniti, tutto il mondo è rimasto sconvolto per la morte di George Floyd. Pensa che questa volta quel cambiamento che, dopo tante morti di afro-americani avrebbe già dovuto esserci, possa finalmente avvenire?

Penso che il mondo fosse già sufficientemente in tensione a causa della pandemia del covid-19 e così il video che ha mostrato come George Floyd sia stato assassinato in quella maniera così cinica e crudele sia diventato una vera accusa al vetriolo all’America e al mondo. In milioni sembrano aver realizzato, in tutto il mondo — come diceva mio padre — che ci troviamo di fronte alla feroce urgenza dell’“adesso”. Le forze dell’ordine, organizzazioni e associazioni di matrice religiosa si rivolgono ai leader neri chiedendo una risposta alla domanda “Cosa devo fare per essere salvato?”. Alcune associazioni forniscono risorse incredibili a quelle organizzazioni la cui attività è incentrata sulla giustizia sociale e sull’uguaglianza delle razze. Altre organizzazioni si stanno chiedendo come creare un clima culturale che porti a una vera eguaglianza razziale, dal livello dirigenziale alle aziende che favoriscono il lavoro delle minoranze. Molti reparti delle forze dell’ordine stanno riesaminando le loro politiche; alcune di loro hanno già iniziato a ripensare il modo in cui si può e si deve svolgere l’impegno nelle comunità, al di là dell’attività di polizia, e comprendendo la preoccupazione per i servizi sociali. Credo che questa volta le reazioni e le risposte saranno più ampie e più appassionate, e ci saranno moltissimi bianchi, più che mai rispetto a prima, che si uniranno alle proteste. Se saremo sempre più uniti e concentreremo la nostra attenzione su obiettivi strategici, sicuramente riusciremo ad essere più efficaci per la causa della giustizia.

Al di là del razzismo “evidente” che si riconosce in situazioni tragiche come questa, c’è un’altra forma di “razzismo che non fa notizia”: il razzismo al lavoro, nell’istruzione, nelle condizioni di vita. Negli Stati Uniti, il covid-19 ha colpito la comunità afro-americana molto più che la comunità bianca. Come sarà possibile sconfiggere questo razzismo “invisibile”?

Voglio dire prima di tutto che è il rifiuto della gente di vedere che fa sì che il razzismo sistemico e istituzionale sembri invisibile. Più invece noi vogliamo vedere, e più vogliamo operare dei cambiamenti, più evidente apparirà la natura distruttiva e disumanizzante del razzismo. Credo che il primo passo per sconfiggerlo sia rifiutarci di chiudere gli occhi, e piuttosto raccogliere informazioni sull’argomento e conoscere le radici, le cause e le manifestazioni del razzismo. L’informazione e la formazione sono il primo e il secondo passo del Cambiamento Sociale Nonviolento. Poi credo che dovremmo impegnarci a fare quello che nel suo libro Where Do We Go From Here: Chaos or Community?, mio padre definisce “il nostro compito fastidioso”: diceva che dobbiamo «scoprire come organizzare la nostra forza in un potere irresistibile affinché il governo (e altre istituzioni e sistemi di potere) non possano più eludere le nostre richieste».

57 anni fa, suo padre pronunciò lo storico discorso, «I have a dream» - ”Io ho un sogno”. Questo sogno sembra ancora lontano dall’essere realizzato, eppure tutti dicono che a questo sogno non si può rinunciare. Cosa farebbe suo padre, oggi, in una situazione come quella che stiamo vivendo?

Io credo che mio padre si farebbe guidare dalla sua filosofia della non violenza, che era in linea con la sua sequela di Cristo. Credo che ci ricorderebbe come siamo arrivati a questo punto, la storia di violenza, razzismo e ingiustizia che pervade la nostra nazione e quella che lui chiamava la “casa del mondo”. Poi, si avvicinerebbe ai giovani per sostenere il loro impegno nella protesta, con strategie che supportino organizzazione e mobilitazione per promuovere un cambiamento sociale sostenibile e non violento. Poi chiederebbe agli “influencer” nell’ambito della politica, dell’arte, dei media, dell’intrattenimento, del sistema giudiziario penale, dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione di garantire uguaglianza e giustizia tra le razze. Chiederebbe anche alle Chiese di conformare le loro professioni di fede con opere che creino circostanze giuste ed uguali per le persone di colore, per le comunità economicamente emarginate, ma non solo negli Stati Uniti, bensì in tutto il mondo. E ancora, come aveva fatto tante volte, avrebbe ripetuto che non si può curare la violenza con la violenza, perché questa è — come lui diceva — una spirale che ci trascina verso il basso. Sicuramente credo che ci solleciterebbe ad abbracciare la nonviolenza, perché questa è strategica, coraggiosa, incentrata sull’amore e organizzata, al fine di costruire la Comunità dell’Amoree questo comprende lo sradicamento di quello che lui definiva il “Triplice Male”, e cioè il razzismo, la povertà e il militarismo.

Dopo la morte di George Floyd, Papa Francesco ha lanciato un forte appello, sottolineando che non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte al razzismo. Allo stesso tempo però ha ricordato che la violenza porta soltanto all’auto-distruzione. Come ha accolto queste parole, che sono così fortemente in linea con quelle di suo padre?

Sono d’accordo con Papa Francesco: la violenza porta solo all’auto-distruzione. I mezzi che usiamo devono essere coerenti con il traguardo che vogliamo raggiungere, e se quel traguardo è la pace, certamente non possiamo ottenere la pace con metodi violenti. E questo è sicuramente in linea con il pensiero di mio padre. Lui sosteneva — perché lo credeva, come lo credo io — che “la nonviolenza è la risposta ai cruciali problemi politici e morali del nostro tempo”. Nel suo ultimo discorso — “Sono salito sulla cima della montagna” — che tenne la sera prima di essere assassinato, disse: «Non si tratta più di scegliere tra violenza e nonviolenza, nel nostro mondo; ora si tratta di scegliere tra nonviolenza e non-esistenza. Siamo arrivati a questo punto, oggi». E questo è lo stesso punto al quale siamo ancora, oggi. Ci troviamo di fronte alla scelta tra caos e comunità. Se abbracciamo la violenza, stiamo scegliendo il caos, che poi in definitiva porterà all’auto-distruzione della nostra “casa del mondo”. Se abbracciamo la nonviolenza, potremo progredire nella costruzione di un mondo più giusto, uguale, umano e pacifico.

Martin Luther King ha detto: la giustizia, «nella sua forma migliore, è amore che corregge qualsiasi cosa si opponga all’amore». Questo è il cuore del messaggio della nonviolenza, impersonificato da suo padre. Come fare per costruire una “rivoluzione della tenerezza”, come la chiama Papa Francesco?

Credo che realizzare una “rivoluzione della tenerezza”, come la chiama Papa Francesco, o una “rivoluzione dei valori”, come diceva mio padre, dipende dalla misura in cui noi ci rendiamo conto che una rivoluzione di questo tipo implica un processo di consapevolezza. Dobbiamo imparare a conoscerci di più, gli uni gli altri, imparare a conoscere le condizioni dell’umanità, imparare come — per usare le parole di mio padre — «vivere insieme da fratelli e sorelle» e non morire insieme come pazzi; e imparare come impegnarci per distruggere l’ingiustizia e la disumanità senza distruggerci a vicenda. Credo che questa sia la nonviolenza. La “Kingian Nonviolence”, quella che il The King Center chiama «Nonviolence365tm», è una filosofia di pensiero e azione, che comprende sei principi e sei passi, che ci può guidare in questa rivoluzione.

Il movimento “Black Lives Matter” ha coinvolto tutto il mondo. Molte persone, soprattutto giovani, stanno protestando contro il razzismo e la discriminazione razziale in molte capitali europee e anche in altri Paesi. Quali sono le sue speranze per il futuro? Crede che riusciremo, tutti, a fare un passo avanti nella sfida della fratellanza umana?

Sono fiduciosa che riusciremo a imbrigliare le nostre energie per concentrarci sull’obiettivo ultimo, che è quello della costruzione della Comunità dell’Amore, che non è un’utopia. Come diceva mia madre, Coretta Scott King, la Comunità dell’Amore è una visione realistica di una società che può essere costruita, di una società in cui i problemi e i conflitti esistono, ma possono essere risolti pacificamente e senza rancore. Nella Comunità dell’Amore, la cura e la compassione guidano le iniziative politiche che sostengono l’eliminazione, a livello globale, della povertà e della fame, e di ogni forma di pregiudizio e di violenza. Se il nostro obiettivo comune, determinato e definitivo, è questo, allora credo che potremo percorrere la strada della nonviolenza per raggiungerlo. Abbiamo le capacità e l’enorme passione per farlo. Ora dobbiamo mettere in campo tutta la nostra forza di volontà per costruire la Comunità dell’Amore.

di Alessandro Gisotti