DANTE E I PAPI - III
Una nuova stagione dell’umanesimo cristiano

Il dantismo
di Alessandro VII

Giovanni Maria Morandi, «Alessandro VII alla processione del Corpus Domini» (XVII secolo)
02 giugno 2020

L’umanesimo cristiano della Curia romana è particolarmente ferace nell’età che va da Niccolò V (1447-1455) a Giulio II (1503-1513). La maggior parte degli umanisti è strutturata nella Cancelleria apostolica, con l’incarico di redigere le lettere papali e le bolle solenni. Si stabilizza così a Roma un ampio ceto intellettuale, che, dalla Curia, si irradia nelle segreterie cardinalizie, nelle accademie, nell’università, nelle scuole di quartiere e, a partire dalla seconda metà del Quattrocento, nelle tipografie. Tipografo ed editore fu Agostino Chigi, antenato di Alessandro VII, tesoriere della Chiesa sotto Giulio II, amico di Pietro Bembo e Pietro Aretino.

La ricezione di Dante, durante il papato di Giulio II (1503-1513), si configura all’interno del neoplatonismo dominante, come dimostra la Stanza della Segnatura, affrescata da Raffaello Sanzio. Dante è rappresentato due volte, in un contesto figurativo ad prescriptum Iulii pontificis, glorificante le Idee del Vero, del Bene, del Bello. Nel Trionfo della Chiesa Dante è tra i Teologi, nel Parnaso tra i Poeti, mentre la teologia in forma di Donna, affrescata nella volta, richiama i colori di Beatrice di Purgatorio, XXX, 31-33, «Sovra candido vel cinta d’uliva / donna m’apparve, sotto verde manto / vestita di color di fiamma viva».

I due secoli che separano il papato di Pio II (1458-1464) dal papato di Alessandro VII (1655-1667) sono cruciali per l’umanesimo cristiano, perché nel Cinquecento si abbatte sulla Curia romana lo tsunami della Riforma. Tutto l’impianto dottrinale, che nel papato di Pio II si era perfettamente configurato nel suo dantismo, subisce una tale offensiva che nemmeno lo scudo dell’arte e della cultura può servire a difenderlo, anzi proprio il mecenatismo artistico è visto come la fonte di tutti i mali.

I Papi nella tempesta sono Leone X, Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, Papa dal 1513 al 1521, e Clemente VII, Giulio de’ Medici, Papa tra il 1523 e il 1534. Il loro nome è legato a Dante per il contrasto tra Firenze e Ravenna in merito al possesso delle Ceneri dell’Alighieri, contrasto cominciato fin dal 1373, quando era nata a Firenze la prima cattedra di dantistica. In seguito la repubblica fiorentina aveva continuato a perseguire la richiesta che l’elezione di Giovanni de’ Medici al papato sembrava rendere possibile e, nel 1519, fu indirizzata al Papa una supplica scritta da Michelangelo Buonarroti (Io, Michelangelo scultore, supplico vostra Santità per la stessa causa, offrendomi di far dono al Divin Poeta di una sepoltura conveniente e in un luogo onorevole di questa città). Leone X accordò il suo consenso, ma la delegazione, arrivata a Ravenna, trovò il sarcofago vuoto, la responsabilità fu attribuita ai frati francescani e le Ceneri non furono mai più restituite a Firenze.

Il Dantismo del Cinquecento è decisamente minoritario rispetto al Petrarchismo, ma ecco che, col pontificato di Alessandro VII, si genera una splendida e nuova stagione dell’umanesimo cristiano dantesco, perfettamente contestualizzato nell’estetica della Controriforma. Lo stile del Papa senese cambia notevolmente la concezione della cultura e della vita cristiana, che muta già agli inizi del Seicento. Non ci sembra casuale che la canonizzazione di Ignazio di Loyola e di Filippo Neri, i due volti della militanza cristiana, da parte di Gregorio XV, avvenga esattamente lo stesso giorno: 12 marzo 1622. La Roma di Alessandro VII eredita un modello culturale perfetto ed elevato, esaltandolo nella modernità post-tridentina.

La formazione culturale di Fabio Chigi (1599-1667) avviene nella Siena della famiglia Chigi in perfetta continuità con la politica culturale dei Piccolomini. Secondo Pietro Sforza Pallavicino, biografo di Alessandro VII, determinante per Fabio fu l’insegnamento del dantista Celso Cittadini, docente di lingua toscana presso lo Studium senese e autore della traduzione in toscano del De vulgari eloquentia, fatta sull’editio princeps (Parigi 1577). L’imprinting del Cittadini su Fabio Chigi fruttifica così: da una parte l’esercizio filologico sui manoscritti antichi, dall’altra la passione bibliofila verso i medesimi per arricchire la biblioteca fondata a Siena da Pio III, senza escludere il gusto per la militanza culturale, dimostrato da Cittadini in occasione della prima edizione del Vocabolario della Crusca (1612).

L’iter culturale e spirituale di Alessandro VII confluisce in un programma, che si potrebbe sintetizzare nella formula Del congiungere le gemme de’ gentili con la sapientia de’ christiani: dall’amore per i poeti greco-latini, testimoniato dalla raccolta di rime Phìlomati musae iuvenilis (Anversa 1654), all’aristotelismo teologico degli anni universitari, sotto l’egida del commento alla Summa tomistica del gesuita Francisco Suàrez; dalla vena di una pietas autentica, alimentata dall’Introduzione alla vita devota di Francesco di Sales, da lui canonizzato nel 1665, alla filosofia morale di Virgilio Malvezzi, suo intimo e sodale, autore de Il ritratto del privato politico cristiano (1635).

I trent’anni che separano l’inizio della carriera curiale di Fabio Chigi dall’elezione pontificia segnano i suoi valori umanistici e ascetici, perché il suo cursus honorum avviene sotto Urbano VIII, che lo nomina prima referendario e poi consultore. Il progetto alessandrino prende forma in una città che il papato Barberini aveva trasformato in un vivace laboratorio politico-culturale, con corti cardinalizie e accademie che accoglievano eruditi e intellettuali, basti citare la nascita dell’Accademia dei Lincei (1603), mentre la nuova linfa della Compagnia di Gesù alimentava potentemente la pianta dell’umanesimo cristiano.

Quando Fabio Chigi è eletto Papa (18 aprile 1655) la compenetrazione tra ceto intellettuale romano e quadri di curia era consolidata, con il suo mecenatismo culturale e la sua strategia di arruolamento di letterati, artisti ed eruditi. Il progetto di Alessandro VII porta a compimento l’immagine della Roma moderna, seguendo i percorsi estetici dell’Europa contemporanea, come dimostra il genio artistico e architettonico di Gian Lorenzo Bernini. Dal diario di Alessandro conosciamo il suo coinvolgimento nel cenacolo intellettuale di cui è caposcuola: la Pleiade alessandrina, un gruppo di poeti, eruditi, filologi, filosofi e bibliofili.

L’interprete della spiritualità papale è il cardinale Pietro Sforza Pallavicino, la cui teoria della letteratura, un audace compromesso tra scolastica e naturalismo, può essere definita dantesca, nell’accordo tra Poetica e sensismo aristotelico e nella connotazione morale e razionale dello Stile. Si vedano Arte della perfezione cristiana e Del Bene (1644), in cui la poesia ha un fine morale: è questo il discrimine tra Antichi e Moderni ma anche il loro punto di congiunzione.

La filologia dantesca si esprime in Federico Ubaldini che lascia, nel Fondo Chigi della Biblioteca vaticana, una mole immensa di appunti sulla lingua e lo stile della Commedia, di estrema modernità. In un secolo in cui ci furono solo tre edizioni della Commedia (Vicenza 1613, Padova 1629, Venezia 1629), Ubaldini vuole risalire al valore originale della parola di Dante; la sua opera esprime fedelmente il triangolo culturale alessandrino i cui apici portano il nome di mecenatismo, erudizione, bibliofilia, quest’ultima egregiamente rappresentata da Lucas Holstenius, bibliotecario del cardinale Francesco Barberini e poi custode della Biblioteca Apostolica vaticana. A lui Alessandro VII affida l’incarico di trasferire in Vaticana i codici urbinati, mentre in prima persona opera una scelta tra i manoscritti senesi delle biblioteche di Pio II e Pio III e si procura i codici appartenuti a Celso Cittadini; volendo creare una biblioteca personale, segue lo schema delle grandi biblioteche romane come la Vallicelliana o l’Angelica, fonda la biblioteca Alessandrina (circa 20.000 volumi), donata allo Studium Urbis di Sant’Ivo alla Sapienza, con bolla papale del 21 aprile 1667, e la Chigiana, che, dopo alterne vicende, costituisce oggi il Fondo Chigi della Biblioteca Apostolica vaticana.

È questo Fondo uno scrigno di tesori danteschi che testimonia concretamente il dantismo di Alessandro VII: manoscritti riguardanti la Commedia, le opere minori dantesche, i Commenti antichi e moderni, le Vite di Dante di Boccaccio e Bruni, le Difese di Dante, le fonti mistico-teologiche di Dante (opere di san Tommaso, san Bernardo, san Bonaventura, Alberto Magno, Pietro Comestore), ma anche quelle scientifico-matematiche, come il Tractatus de Sphera di Giovanni da Sacrobosco, con la mirabile “geografia” del Paradiso, o la Practica geometrie di Leonardo Fibonacci, o la traduzione di Avicenna, fatta da Michele Scoto dall’arabo al latino, con dedica a Federico ii di Svevia.

di Gabriella M. Di Paola Dollorenzo