«Da 5 Bloods», l’ultimo film di Spike Lee

Il cuore nero dell’America

La locandina del film
24 giugno 2020

Un manifesto contro il razzismo. Non lo si può interpretare diversamente Da 5 Bloods, l’ultimo film di Spike Lee. Nulla di nuovo, dunque? Solo in parte, perché se è vero che il regista afroamericano ha fatto della denuncia e della battaglia per i diritti civili un marchio di fabbrica del suo cinema, è anche vero che in quest’opera c’è qualcosa di diverso rispetto al passato, anche rispetto al precedente BlacKkKlansman, pur cinematograficamente più riuscito. Tra film di guerra, Aposcalyps Now su tutti, e western moderno — con qualche richiamo a Il tesoro della Sierra MadreDa 5 Bloods vuole scavare più a fondo nel cuore di tenebra dell’America. E una singolare coincidenza ha voluto che la pellicola uscisse sulla piattaforma in streaming Netflix proprio nei giorni in cui gli Stati Uniti erano infiammati dalle proteste per l’uccisione di George Floyd.

La storia si snoda attorno al viaggio della memoria di quattro veterani afroamericani della guerra del Vietnam — Paul (Delroy Lindo), Otis (Clarke Peters), Melvin (Isiah Whitlock Jr.), e Eddie (Norm Lewis) — che decidono di tornare nel paese asiatico alla ricerca dei resti del loro caposquadra, Norman (Chadwick Boseman) morto in battaglia. Tuttavia presto si scoprirà che a muoverli è anche un altro scopo: recuperare i lingotti d’oro trovati nella carcassa di un aereo della Cia abbattuto e da loro nascosti durante il conflitto.

Ma quanto accadrà in seguito — dalla ricerca di Norman, divenuto una sorta di guida per i compagni per l’attaccamento alla causa degli afroamericani, al ritrovamento dell’oro, personale bottino di guerra considerato un “risarcimento” per il trattamento degli afroamericani da parte del governo — appare solo un rocambolesco pretesto per lanciare l’ennesima accusa all’America razzista. Infatti, a fare da prologo c’è un fin troppo esplicito montaggio di filmati e foto d’epoca che ha come obiettivo quello di legare l'escalation militare nel Sudest asiatico al conflitto razziale negli Stati Uniti.

E il primo spezzone mostra Muhammad Alì affermare in un’intervista: «La mia coscienza mi vieta di sparare a un fratello, o a gente povera dalla pelle più scura, affamata, per la grande e potente America. Sparargli perché? Loro non mi hanno chiamato “negro”, né mi hanno linciato. Non mi hanno sguinzagliato dietro i cani, né cercato di privarmi della mia nazionalità». Anche il resto sono voci familiari e storie ben note: frammenti di discorsi di Martin Luther King, Malcom X, Angela Yvonne Davis e Bobby Seale; i pugni chiusi di Tommie Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968; i bombardamenti al napalm; la manifestazione studentesca alla Kent State University in Ohio repressa nel sangue dalla guardia nazionale; l’assassinio di attivisti neri perpetrato da polizia alla Jackson State University in Mississipi; ma anche il primo uomo sulla Luna e altro ancora.

Tra presente e inevitabili flashback, Spike Lee stila una sorta di cronistoria di violenze e soprusi, che rimandano a quel peccato originale dal quale la nazione non riesce proprio a redimersi nonostante decenni di proclami, denunce e proteste. La società è dura, la vita dei neri è ancora più dura e i suoi protagonisti sembrano una cartina tornasole, con la loro rabbia, le recriminazioni, i demoni del passato e le scelte non sempre limpide. Ma non è certo intenzione del regista offrire un quadro rassicurante della realtà, semmai punta a esasperarla, per renderne ancora più evidenti le incongruenze. E su quelle fare emergere le contraddizioni della società. La scelta di non ringiovanire i protagonisti nei flashback che riportano al Vietnam del 1971 sembra proprio sottolineare il fatto che in cinquant’anni le cose non sono cambiate. Quel conflitto è solo un pretesto, dunque, lo sfondo simbolico sul quale il regista dipinge il suo convulso affresco del cuore nero dell’America.

Così se da un lato Da 5 Bloods — che avrebbe dovuto essere presentato in anteprima al Festival di Cannes 2020 e in Italia ha l’aggiunta Come fratelli nel titolo — risulta un po’ confuso e a tratti poco credibile nel dipanarsi della vicenda dei quattro protagonisti, non ci sono dubbi sul suo intento politico. In ultima analisi, uno Spike Lee brillante anche se non al meglio della regia, ma non lontano da Fa’ la cosa giusta quanto a impegno. E oggi, con una parte dell’America che la guerra continua a farla in casa, ai neri, serviva proprio questo.

di Gaetano Vallini