Caro Francesco, l’amicizia non deve pretendere di spiegare tutti i perché, parafrasando una tua considerazione amara e importante; è facile da capire se l’hai capita già (peraltro resta sempre difficile capire «se non hai capito già!»). I perché dell’amicizia sono profondi e, qualche volta, ci superano, ci sono nel sentirci parte di una magnifica avventura. Nell’amicizia vera trovo sempre qualcosa di misterioso e grande. Certo, lo so che per qualcuno l’amicizia significa necessariamente complicità, come chi pensa di scoprire la vera ragione che c’è sotto, l’interesse, il guadagno dell’uno o dell’altro, mentre nell’amicizia, ovviamente, ci si guadagna tutti e due! Altre persone la credono possibile solo tra chi la pensa allo stesso modo.
Caro Francesco, considero tanto preziosa l’amicizia con te, nata dalla proposta di due registi intelligenti e coraggiosi che ci hanno portato, a 50 anni dalla tua canzone, a visitare il campo di concentramento di Auschwitz, insieme ai ragazzi di una scuola media della tua cara montagna. Tanti hanno imparato a conoscere quell’inferno sulla terra, proprio ascoltando e immaginando quel fumo che saliva lento e vedendo il volto di quel bambino morto insieme con altri cento. Forse ancora oggi resta aperta e più decisiva ancora la domanda: «Ma come può un uomo uccidere un suo fratello?» e quando imparerà a vivere senza ammazzare? Proprio su questo è nata la nostra amicizia o meglio direi che si è ritrovata, come incontrando un vecchio amico che ha condiviso e regalato tante sue emozioni come solo la poesia e la musica sanno fare. Il segreto è molto semplice: la passione per l’umanità, quella che hai descritto nei suoi sogni, nelle sue tante storie concrete e in quelle immaginarie.
Quando arrivai a Bologna mi chiesero, tra le tue canzoni, quella che preferivo, domanda imbarazzante e quindi risposta necessariamente parziale. Dissi: — Il pensionato — pensando al testo che tradiva tanta sensibilità verso la storia di un uomo altrimenti insignificante. Mi avevano colpito parole come il “piacere assurdo” per “la sua antica cortesia” che nel giovanilismo imperante, quando a vent’anni si è stupidi davvero, non trova certo attenzione e rispetto. Stabilivi un parallelo tra la nostra solitudine e la sua, come con quel frate di cui non sapevi «se fosse lui il disperato o il disperato son io». In realtà tutti noi non abbiamo ancora capito, con la nostra cultura fasulla, dove sia la risposta. Ancora oggi, dopo tanti anni, accade ancora che «Ascolto e non capisco e, tutto attorno, mi stupisce la vita, com’è fatta e come uno la gestisce e i mille modi e i tempi, poi le possibilità, le scelte, i cambiamenti, il fato, le necessità». È la stessa domanda che ci accompagna da sempre. Insomma, camminiamo in questa avventura semplice e complicata che è la vita, che vale la pena vivere perché, anche se ne arriva una sola di anatra, «quel suo volo certo vuole dire che bisognava volare». Ecco perché ci siamo incontrati Francesco: perché stiamo insieme alla ricerca dell’uomo, dentro di noi e fuori di noi, dell’uomo vero che irragionevolmente e anche misteriosamente vuole vivere bene, che cerca la giustizia, che non si rassegna, che chiede di scegliere in tempo e non arrivare per contrarietà. Non vuoi proprio rassegnarti ad “essere cattivo” ed è vero che «dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo, un posto dove non soffriremo e tutto sarà giusto». Insomma “dati causa e pretesto” hai fatto bene a tirare avanti, a raccontare tante cose per chi vuole ascoltare. Ecco, in questa bellissima storia che è la vita, l’amicizia penso contenga tanto di quel mistero di Dio che hai cantato che dopo tre giorni risorge e che continua a morire «ai bordi delle strade, nei campi di sterminio, coi miti della razza, con gli odi di partito». È una presenza di amore, quello per cui «io sono quando tu ci sei» e vuoi «che l’oggi resti oggi senza domani o il domani possa tendere all’infinito».
Grazie Francesco. Auguri. E continua a regalarci quelle emozioni che scendono nel profondo e aiutano a guardare il mistero della vita e a cercare la risposta.
di Matteo Maria Zuppi