Guardare il cambiamento

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27 giugno 2020

Tre rivoluzioni scientifiche nella storia recente hanno avuto un forte effetto sul modo di capire e di capirsi dell’uomo: Niccolò Copernico con la cosmologia eliocentrica ha rimosso la Terra e quindi l’umanità dal centro dell’universo; Charles Darwin ha suggerito che ogni forma di vita si è evoluta nel tempo da progenitori comuni per mezzo della selezione naturale, rimuovendo in tal modo l’umanità dal centro del regno biologico e, grazie a Sigmund Freud, riconosciamo oggi che la mente è anche inconscia e soggetta al meccanismo di difesa della repressione. Nel modificare la nostra comprensione del mondo esterno, queste rivoluzioni hanno mutato anche la concezione di chi siamo.

Solo grazie a questa interazione tra scienza e antropologia oggi non ci consideriamo immobili, al centro dell’universo (la rivoluzione copernicana), non ci consideriamo innaturalmente separati e diversi dal resto del regno animale (la rivoluzione darwiniana), e siamo molto lontani dal descriverci come menti isolate interamente trasparenti a sé stesse, come Cartesio, ad esempio, aveva ipotizzato (la rivoluzione freudiana).

Quanto accennato sopra rispetto al ruolo dell’informazione sembra produrre una nuova e inaspettata rivoluzione: a partire dagli anni Cinquanta l’informatica e le Information and Communication Technology (ict) hanno esercitato un’influenza tale da modificare non solo la nostra interazione con il mondo ma anche la comprensione di noi stessi: non ci percepiamo e non viviamo più come entità isolate quanto piuttosto organismi informazionali interconnessi, o inforg, che condividono, con agenti biologici e artefatti ingegnerizzati, un ambiente globale costituito in ultima analisi dalle informazioni: l’infosfera.

Questa quarta rivoluzione, tutta tecnologica nascendo da tecnologie informatiche e non da teorie informatiche, sta portando alla luce la natura intrinsecamente informazionale degli agenti umani. Alla luce di queste trasformazioni non dobbiamo essere indotti soltanto a concepire erroneamente le ict digitali come mere tecnologie che apportano miglioramenti. È in gioco una trasformazione più sottile, meno sensazionale, e tuttavia più fondamentale e profonda nel nostro modo di concepire che cosa sia un agente e quale tipo di ambiente questi nuovi agenti abitino attraverso una trasformazione radicale della nostra comprensione della realtà e di noi stessi.

Questo è il punto dove la tecnica oggi ha bisogno della filosofia e della teologia: se il cambiamento nel nostro modo di sentire e vedere il mondo è stato ed è tanto rapido — grazie anche alla quantità di tecnologia informatica che produciamo — questo grande albero, per utilizzare una metafora, non ha adeguate radici nel pensare ciò che stiamo facendo e verso dove stiamo cambiando. Guardare il cambiamento significa cercare di capirlo per poter essere “pronti a rendere ragione della speranza che è in noi” (cfr. 1 Pt 3, 15).

di Paolo Benanti