In aumento attività e azioni illecite di deforestazione, estrazione abusiva di risorse naturali e bracconaggio

Gli effetti del coronavirus sull’ambiente in Africa

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02 giugno 2020

È frequente leggere sui giornali italiani e stranieri che il covid-19, nonostante sia una sciagura inenarrabile, sia servito quantomeno a ridare spazio alla natura. In effetti un po’ a tutte le latitudini si sono verificati fenomeni inediti che hanno sorpreso l’opinione pubblica. Sui cieli di una città come Milano, ad esempio, lo scorso 5 aprile è stata avvistata un’aquila reale. Per non parlare dei delfini presenti nelle acque del porto di Cagliari o anche di lepri, cigni, scoiattoli fotografati in molte città italiane. E cosa dire dei branchi di lupi e cinghiali all’interno di alcuni centri abitati? Viene pertanto spontaneo domandarsi se l’impatto della pandemia abbia sortito, almeno dal punto di vista ambientale, lo stesso effetto in Africa.

Certamente gli avvistamenti di animali sono avvenuti anche nei centri urbani, come anche nelle zone rurali di questo continente. Emblematico è quanto avvenuto il 17 aprile scorso per le strade di Simon’s Town fuori Città del Capo, in Sud Africa, dove un trio di pinguini sono stati sorpresi a vagare dai ranger della Southern African Foundation for the Conservation of Coastal Birds (Sanccob). Addirittura in un post del Kruger National Park sono state pubblicate le fotografie di decine di leoni addormentati su una strada asfaltata appena fuori Orpen Rest Camp, un lodge all’interno del parco. La strada di solito è trafficata per la presenza dei turisti e approfittando del lockdown i feroci felini sono usciti liberamente allo scoperto per l’assenza di traffico. Questa tendenza, da parte degli animali, di riprendere spazi sottratti dall’uomo, è stata riscontrata anche in altre località dell’Africa subsahariana. Ad esempio, non pochi animali, come babbuini, giraffe e zebre hanno trovato dei varchi che hanno consentito di raggiungere alcuni centri abitati in Kenya e in Uganda.

Ma attenzione, lo scenario nelle zone rurali, per quanto concerne Madre Terra, non è stato affatto idilliaco nonostante le restrizioni ai movimenti imposte alle persone, specialmente nelle città. Per esempio, con la chiusura degli aeroporti e dei confini di molti Paesi per fermare la diffusione del coronavirus, il settore del turismo faunistico africano è imploso, insieme alle entrate su cui molti progetti di conservazione fanno affidamento per proteggere alcuni degli animali a rischio d’estinzione. Inoltre, in alcuni casi, sono venuti meno i fondi per garantire i salari al personale incaricato di vigilare sulla sicurezza e l’integrità dei parchi.

È bene ricordare che, secondo l’Organizzazione mondiale del turismo delle Nazioni Unite, circa 70 milioni di turisti hanno visitato l’Africa nel 2019, molti dei quali attratti dalla prospettiva di un safari o di un game drive. Lo scorso anno il Kenya ha guadagnato 1,6 miliardi di dollari dal turismo, denaro a sostegno di un’industria dell’ospitalità fatta di mille attrazioni, ma anche finalizzata a sostenere gli sforzi di conservazione e lotta contro il bracconaggio.

I parchi nazionali — è bene sottolinearlo — ricoprono il 15 per cento del continente africano, per un totale di 5 milioni di chilometri quadrati, una superficie dieci volte superiore a quella dell’Italia. Il fatto che vi sia stata, comunque, grande attenzione sulle città, da parte delle autorità locali, ha fatto sì che le zone rurali rimanessero per così dire scoperte. Con il risultato che gruppi criminali di vario genere, coinvolti nell’accaparramento della terra, nella deforestazione, nell’estrazione illegale e nel bracconaggio di animali selvatici hanno approfittato dell’emergenza covid-19 per compiere vere e proprie razzie.

Secondo l’ong sudafricana Rhino911 (http://www.rhino911.com/), in seguito alla chiusura di tutti i parchi e riserve, il 25 marzo scorso, diversi rinoceronti sono stati vittime della caccia di frodo (9 in soli dieci giorni), mentre nel vicino Botswana, almeno 6 rinoceronti hanno subito la stessa sorte nelle ultime settimane. Per comprendere la drammaticità della situazione basti pensare che il 17 marzo scorso, quindi una settimana prima del lockdown decretato dal governo di Pretoria, nel Kruger National Park, il colonnello Leroy Brewer, investigatore specializzato nella lotta al bracconaggio, è stato assassinato a colpi d’arma da fuoco mentre stava raggiungendo in macchina il proprio ufficio.

Particolarmente preoccupante è la situazione nel settore orientale della Repubblica Democratica del Congo. Qui sorge il celebre Parco Nazionale Virunga, che ospita circa un terzo dei gorilla di montagna sopravvissuti al mondo. Ma le aree in cui abitano questi primati sono state sigillate alla fine di febbraio — sia per i ranger che per i visitatori — nel tentativo di proteggere gli animali dal covid-19, che pare possano essere in grado di contrarre. Sta di fatto che in poche settimane la situazione è precipitata. Gli aeromobili utilizzati per il monitoraggio sono a terra senza carburante e il parco si trova ad affrontare l’onere crescente di sostenere non solo i suoi 1.500 dipendenti e le loro famiglie, ma anche le comunità circostanti impoverite. Da rilevare che stiamo parlando di un territorio africano, quello di Virunga e dintorni dove da anni trovano rifugio numerose bande armate che operano illegalmente e compiono arruolamenti, spesso forzati. Parte dei finanziamenti per l’acquisto di armi sono anche ottenuti dal commercio di preziosi minerali, quale ad esempio il coltan, e dalla vendita di avorio, pelli pregiate e giovani gorilla.

Un’altra situazione allarmante riguarda gli islamisti somali al-Shabaab, i quali continuano ad attraversare impunemente il confine keniota con il fine ultimo di trovare avorio da riversare sul mercato nero. Lungi da ogni retorica, i governi dei Paesi africani che hanno subito, nel corso della pandemia di coronavirus, azioni illecite di deforestazione, estrazione abusiva di risorse naturali e bracconaggio hanno l’obbligo di mantenere alta la guardia contrastando tali abusi. Parafrasando Papa Francesco, «come custodi del Creato».

di Giulio Albanese