Una pedagogia ancora attuale

Dalla parte delle «anime semplicette»

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30 giugno 2020

La pubblicazione dell’Opera omnia di Antonio Rosmini Serbati prosegue grazie all’impegno del Centro internazionale di studi rosminiani di Stresa, ubicato sulla sponda piemontese del lago Maggiore tanto cara ad Ernest Hemingway, che vi ambientò la parte finale di Addio alle armi. Ne sono prova gli Scritti pedagogici di Rosmini (32° volume, Roma, Città Nuova, 2019, pagine 572, euro 55) con la curatela di Fernando Bellelli.

Il testo contiene, per ricorrere al lessico del golf, il vero swing, il capolavoro della pedagogia rosminiana risalente al 1839-40, ossia Del principio supremo della metodica e di alcune sue applicazioni in servigio dell’umana educazione. Corredata da cinque appendici, l’opera è suddivisa in due parti, la seconda delle quali, rimasta purtroppo incompiuta, si occupa delle azioni che l’educatore deve mettere in atto nei confronti dell’educando ovvero «scienza che contiene i documenti della grand’arte di educare la gioventù».

Il criterio della pedagogia rosminiana richiama lo spirito della prima fase del sistema galileiano, cioè quello dell’osservazione sistematica. E diventa anche un invito per l’attuale pensiero pedagogico di liberarsi dell’adultismo, cioè quello di porsi nei confronti degli educandi con le medesime categorie degli adulti.

Trattare oggi della pedagogia di Rosmini implica di ripercorrere il mare sterminato del suo pensiero, la ratio studiorum del “sistema della verità” concepito come una piramide a forma di tetraedro, «nel quale la piramide finisce e che rappresenta Iddio, o la scienza di Dio (…) giacché Iddio è la ragione ultima e piena di tutte le cose che esistono nell’universo» (Introduzione alla filosofia, 1979).

Ma soprattutto la pedagogia di Rosmini fa spiegare le ali degli educatori e degli educandi, liberandoli dagli inconcludenti ideali dell’illuminismo — in primis di Rousseau e dell’enciclopedismo empiristico — sedimentati negli ultimi due secoli a scapito di un metodo educativo capace di riproporre senza frammentarlo il fine ultimo dell’esistenza umana, e conseguentemente di una visione “religiosa” della vita. Dal momento che, come direbbe Rosmini, l’unico modo per garantire l’unità educativa è il cristianesimo inteso nel suo senso più alto di religione interiore. «Lo Spirito Santo è il pedagogo della fede di Dio» come si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica.

«Veramente invano volle Rousseau far credere che il culto della deità non fosse opera da lingua che chiama babbo e mamma. Anzi il tenero infante, quasi più vicino all’origine sua, egli pare che vi si rivolga con trasporto, che la ricerchi con ansietà, che la ritrovi più rattamente dell’adulto medesimo; ed appartiene assai più a Dio che all’uomo il comunicarsi all’anima semplicetta che sa nulla e che pure intende il suo fattore».

E a proposito di religione il Rosmini trova l’autorevole supporto in uno dei concetti espressi nella Critica della ragion pratica sull’educazione del filosofo Immanuel Kant dove raccomanda che bisogna cercare per tempo d’imprimere nei fanciulli alcuni concetti religiosi. Ed ecco dunque il modello di educazione integrale proposto dal Roveretano, nel quale gli ambiti filosofico, religioso e pedagogico s’intersecano e non si esauriscono nelle opere dichiaratamente pedagogiche; certamente l’acme si raggiunge nel libro Del principio supremo della metodica, ma le opere si compendiano tra loro e maturano come frutti di un medesimo terreno in volumi quali la Logica, la Filosofia del diritto, la Filosofia della politica e la Teosofia (l’opus magnum di Rosmini).

Merita inoltre sottolineare che l’interesse per la pedagogia si sviluppa in Rosmini fin dalla giovane età, tant’è che emerge già prima del Nuovo saggio sull’origine delle idee, edito nel 1830, almeno temporalmente negli scritti a partire dalla traduzione dal latino del De catechizandis rudibus di sant’Agostino (del 1821), Della educazione cristiana (1823) e il Saggio sull’unità dell’educazione (1825).

L’opera princeps della pedagogia rosminiana appare dunque caratterizzata dalla “Legge della gradazione”: essa non è imposta dal mondo esterno, ma segue spontaneamente la persona secondo un ordine logico delle idee dall’universale al particolare. Si tratta della legge scaturita dalla singolare cognizione raccolta e maturata a partire dal Sofista di Platone e retta dalla rosminiana “conciliazione delle sentenze” in un minuzioso confronto con i maggiori esponenti della pedagogia universale, da Agostino a Tommaso d’Aquino, senza dimenticare Guarino Guarini, Vittorino da Feltre, Silvio Antoniano, Francesco Bacone, Giovanni Comenio, Giambattista Vico, Raffaello Lambruschini, Alessandro Pestalozza e Madame Necker De Saussure. Dulcis in fundo, ci pare di buon auspicio il fatto che Rosmini sia stato incluso, in Italia, nel programma concorsuale della classe a 18 (Filosofia e scienze umane) tra i pedagogisti dell’Ottocento del calibro di Johann Heinrich Pestalozzi, Friedrich Fröbel ed Émile Durkheim.

di Roberto Cutaia