La testimonianza di vescovi e cappellani dell’America latina

Con un ostensorio tra le corsie di ospedale

Il vescovo Guillermo Elías, ausiliare di Lima, in un ospedale della capitale peruviana
26 giugno 2020

Di recente il Dssui ha organizzato due videoconferenze con rappresentati del mondo della pastorale della salute e delle carceri dell’America latina, dove il virus corre veloce. Sull’emergenza sanitaria — inizialmente contenuta ma ora sempre più drammaticamente devastante — e la relativa risposta della Chiesa, sono intervenuti padre Eugenio García del Río, presidente della Commissione episcopale per la Caritas/salute del Messico; Álvaro Ramírez, direttore della Commissione arcidiocesana di Città del Messico; i vescovi Alberto G. Bochate e Pedro Ignacio Wolcan Olano, responsabili per la pastorale sanitaria rispettivamente in Argentina e Uruguay; la farmacista Andrea Carolina Reyes Rojas, membro dell’Equipo de apoyo de la Pastoral de la salud del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), e il camilliano Pietro Magliozzi, cappellano e medico in Cile.

Le loro relazioni hanno rilanciato le variegate iniziative intraprese dalle Chiese locali al fine di informare e sensibilizzare la popolazione sulla pandemia. Si è cercato di diffondere informazioni sulla prevenzione e sulla necessità di prendersi cura della salute fisica, spirituale, mentale. In Messico la Chiesa ha istituito centri d’accoglienza e d’ascolto per telefono e dispensari medici. Non è stato fatto mancare l’accompagnamento delle famiglie in lutto. Alcune parrocchie hanno gestito direttamente le persone con sintomi di covid-19. In molti ospedali era possibile assistere spiritualmente malati e personale sanitario.

Qualcuno ha espresso rammarico per la mancanza della Commissione per la pastorale della salute in seno alla Conferenza episcopale nazionale (e sono tanti i casi del genere) perché i vescovi prima della pandemia ritenevano di doversi preoccuparsi di altri temi considerati prioritari. Da molti, infatti, la pastorale della salute è considerata una pastorale di pochi mezzi, la “sorella povera” delle pastorali sociali. Qualcuno ha osservato che forse è mancata un po’ di testimonianza cristiana sul terreno, da mostrare anche a chi non crede. Da tutte le parti le persone segnalano che il periodo di isolamento associato all’incertezza per il futuro ha fatto aumentare malattie e disturbi psichici, che spesso portano a varie forme di dipendenze e non di rado a omicidi nell’ambito familiare e suicidi. Questa è la nuova emergenza anche dal punto di vista della pastorale sanitaria.

Da sottolineare una singolare iniziativa dell’arcivescovo di Lima, monsignor Carlos Castillo Mattasoglio, che fin dalle prime settimane della crisi ha deciso di nominare uno dei suoi vescovi ausiliari, monsignor Guillermo Elías, «responsabile generale della pastorale della salute, dell’ascolto e dell’assistenza spirituale nel tempo dell’epidemia». Questo presule è punto di riferimento durante la pandemia sia per la cura pastorale dei malati sia per l’ascolto delle persone. È stato un modo per rimarcare l’importanza di una presenza non sporadica ma allo stesso tempo attenta a non divenire essa stessa strumento di contagio. Una delle prime decisioni è stata quella di destinare preferibilmente sacerdoti giovani a questo servizio, con precise istruzioni sui protocolli sanitari da rispettare e dispositivi da indossare per evitare l’esposizione al virus. Inoltre monsignor Elías stesso ogni settimana va a celebrare l’Eucaristia in uno dei grandi ospedali della capitale del Perú, dove sono ricoverati i pazienti affetti da covid-19. Una di queste celebrazioni si è tenuta all’Hospital Guillermo Almenara: il presule ha presieduto la messa all’aperto, nel cortile del nosocomio, mentre le immagini venivano diffuse in streaming nelle stanze. Poi — al termine del rito — il vescovo è passato con l’ostensorio nei corridoi della struttura sanitaria benedicendo i malati. «La Chiesa di Lima — ha assicurato loro — vuole accompagnarvi in questo duro momento. Dio è vicino a quanti soffrono di più, condividendo il nostro dolore e parlando con noi, perché si prende cura di noi».

In occasione della Giornata mondiale della salute, inoltre, alcuni vescovi latinoamericani hanno espresso la loro gratitudine ai medici e al personale sanitario, mobilitati nell’emergenza. L’arcivescovo di Trujillo, monsignor Miguel Cabrejos Vidarte, nella sua qualità di presidente della Conferenza episcopale peruviana, ha ricordato il contesto dei tempi difficili che il mondo sta vivendo a causa della pandemia, la quale «rende evidenti la fragilità umana e il dolore fisico, emotivo e spirituale provato da molte persone infette e dalle loro famiglie». Secondo monsignor Cabrejos, che è anche presidente del Celam, quello dei medici è «un compito di immensa carità, misericordia e umanità, che nell’opera di sanificazione e guarigione rende visibili le mani di Cristo». Spesso durante questa emergenza, laddove i cappellani ospedalieri non sono potuti arrivare, all’opera pastorale sono stati chiamati dai vescovi gli stessi medici e infermieri, che sono stati autorizzati a portare ai malati e ai moribondi la Comunione e il conforto a nome della Chiesa comunità sanante.

Da ultimo, in generale è stato messo in risalto come la situazione pandemica abbia reso visibili i grandi gruppi di emarginati e dimenticati nella società latinoamericana, in particolare gli anziani, spesso confinati nell’oblio nelle case di riposo e rimasti vittime di decisioni sbagliate. Questo è il motivo per cui il momento attuale è considerato opportuno per correggere le ingiustizie dell’esclusione sociale e la mancanza di equità nelle comunità, che provocano povertà e violenza. Soprattutto, occorrerebbe riconoscere la complessità della questione della promozione della giustizia globale e della riconciliazione sociale, lungi dal semplificare o condannare.

di Paulo César Barajas Garcia