La risposta alla pandemia nella testimonianza di una suora missionaria a Manaus

Con fede e impegno

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03 giugno 2020

«In questo periodo di pandemia in cui abbiamo sospeso tutte le attività pastorali, ci concentriamo nell’azione caritativa collaborando con le Caritas diocesane e parrocchiali. Ci sono innumerevoli situazioni di carenza e necessità, famiglie allo stremo, c’è bisogno anche di un supporto psicologico»: parole di suor Valeria Opreni, delle missionarie dell’Immacolata, da 36 anni in Brasile, dove la situazione, già resa complicata da innumerevoli problemi, rischia di diventare ancora più drammatica se le autorità governative non riusciranno al più presto ad impedire il diffondersi del coronavirus. A Manaus, capitale dello Stato di Amazonas, lungo le rive del Rio Negro, nel nord-ovest del Brasile, dove suor Valeria svolge la sua attività pastorale, la pandemia continua a mietere vittime soprattutto tra i più vulnerabili. Secondo i dati forniti dalla John Hopkins University, il Brasile è il secondo Paese al mondo più colpito dal covid-19. Ad oggi, si registrano oltre 555.000 infetti, mentre i decessi sono 31.199.

A Manaus, la pandemia ha sorpreso tutti, in particolare i poveri delle grandi periferie e gli immigrati provenienti da Haiti e più recentemente dal Venezuela. Ha sorpreso anche le strutture sanitarie dello Stato e del comune inadeguate e impreparate ad affrontare questa emergenza sanitaria, mostrando così una fragilità strutturale. Ben 46 dei 63 rioni della città sono coinvolti nell’epidemia con più di duecento positivi ogni centomila abitanti: equivalente a circa il 25 per cento della popolazione della capitale dello Stato dell’Amazonas, il più grande del Brasile. Qui, la Chiesa cattolica è scesa in campo fin da subito a sostegno di quanti vivono in condizioni difficili.

«Ora siamo all’apice del contagio — ha raccontato suor Valeria alla rivista «Popoli e Missione» — si registrano circa 65/70 decessi al giorno». La religiosa questa città l’ha vista crescere con «un incremento annuo di circa 65.000 persone provenienti dall’interno del Paese o da altri Stati. Un flusso umano con conseguenze drammatiche per chi arrivava dovendo vivere in situazioni degradanti e con tante altre tristi conseguenze». Suor Valeria vive i giorni del dolore di questa città dove il numero dei morti è sottostimato, come ammette lo stesso sindaco Arthur Virgilio Neto, il quale ha dichiarato che «qui come nel resto del Brasile c’è il triste fenomeno della segnalazione di “morti per causa indeterminata”, è un assurdo».

Fino a qualche giorno fa, oltre seimila persone erano in isolamento domiciliare, circa cinquecento ricoverati nei reparti speciali e meno di duecento in reparti di rianimazione. Molti attendono ancora i risultati dei test. «Anche il nostro arcivescovo, monsignor Leonardo Ulrich Steiner — ha aggiunto la missionaria — ha allertato la popolazione affinché eviti di esporsi al contagio, ma purtroppo chi abita nei quartieri più poveri e sovraffollati non ha la possibilità di comprare grandi quantità di generi di prima necessità senza uscire di casa. Questa situazione si aggrava ancora di più per le numerosissime famiglie che vivono di lavoretti precari o pagati a giornata, perché la crisi del covid-19 è diventata anche un disastro economico. In ogni caso — ha sottolineato la missionaria dell’Immacolata — non esiste il minimo controllo da parte dello Stato o del comune e tutto è lasciato alla responsabilità personale».

La pandemia di coronavirus si è aggiunta ai numerosi casi di malattie tropicali come la dengue che, soprattutto adesso, nella stagione delle piogge, miete molte vittime. Ma la situazione più grave riguarda i popoli indigeni, basta pensare «alla mancanza quasi totale di centri di assistenza medica e ospedali nell’immensa estensione delle regioni della foresta. Le reti sociali — spiega suor Valeria — denunciano la presenza abusiva in queste aree di migliaia di cercatori d’oro e pietre preziose, e di devastatori a scopo di profitto, che espongono i popoli indigeni al contagio».

Secondo i dati più recenti della Rete ecclesiale Panamazzonica (Repam) con la collaborazione della Coordinadora de las organizaciones indigenas de la cuenca amazònica (Coica), nella regione, che si estende su nove Stati del Sud America, il covid-19 ha colpito più di cinquecento nativi appartenenti a 33 differenti etnie e i morti sono oltre un centinaio. Nel bilancio, con numeri che poco dicono della vastità del territorio su cui sono sparse le comunità, non sono compresi gli indios che abitano le periferie di città come Manaus o Boa Vista che in questo momento sono le città dell’Amazonas brasiliana più colpite. Suor Valeria continua il suo impegno di missionaria tra le popolazioni di Manaus con maggiore vigore: «La gente vive la pandemia con sentimenti che passano dall’affidamento alla provvidenza di Dio alla paura del contagio. L’ansia — conclude — si trasforma in angoscia profonda, mettendo a rischio la salute mentale della persona e della società, aggredita da un virus sconosciuto che minaccia l’intera umanità».