Pro memoria

Ciò che la Chiesa deve a Margherita Guarducci

Margherita Guarducci
27 giugno 2020

«Io la ringrazio, a nome mio e della Chiesa, di oggi e di domani». In una delle sue ultime udienze private san Paolo VI aveva voluto ringraziare Margherita Guarducci, l’archeologa autrice del ritrovamento e del riconoscimento delle reliquie dell’Apostolo Pietro nella Basilica vaticana.

Era il 26 giugno 1968 quando Papa Montini annunciò alla Chiesa e al mondo l’autenticità attestata di quel ritrovamento. E ne ribadì l’importanza fino all’ultimo discorso del 28 giugno 1978 nel quale, proprio su quelle «superstiti reliquie», chiese di «rimanere saldamente fondati sulla fede di Pietro, ch’è la pietra della nostra fede». L’autrice della scoperta, per la statura del suo profilo accademico, non aveva avuto bisogno di presentazioni: fiorentina, nota archeologa e specialista in epigrafia greca, materia di cui tenne la cattedra di docente ordinario fino al 1973 all’Università La Sapienza di Roma e che insegnò poi alla Scuola Nazionale di Archeologia. Margherita Guarducci — scomparsa nel 1999 a 97 anni — aveva fatto parte di accademie scientifiche italiane ed estere. Ma certo, le ricerche compiute per volontà di Pio XII prima e di san Paolo VI poi, alle quali dedicò più di quarant’anni della sua attività, furono proprio quelle sulla localizzazione della tomba e l’identificazione delle ossa di san Pietro sotto l’altare della Confessione nella Basilica vaticana. Per incarico di Pio XII dal 1956 al 1958 si dedicò alla decifrazione dei graffiti del famoso muro “g” nella necropoli vaticana, dove vennero ritrovati i resti attribuiti al corpo dell’Apostolo Pietro, risultati poi pubblicati nell’opera in tre volumi (I graffiti sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano, Città del Vaticano 1958).

Della professoressa Guarducci conservo una cara memoria personale. La conobbi sul finire del 1989, nella casa romana dove viveva con la sorella Marola. Diverse volte ero salita al quinto piano di via della Scrofa 117 per una visita. La ricordo al tavolo di studio, la ricchissima biblioteca di testi greci e latini alle spalle, il tratto insieme gentile e fermo unito a uno sguardo sereno e vivace. Era già molto avanti con gli anni, ma d’intatta e rara lucidità, quella di una studiosa straordinaria, avvezza alla ricerca e alla resistenza al lavoro che le restituivano una luce singolare e insieme la solida convinzione nelle conclusioni che aveva tratto dai suoi studi. Ricordo uno dei suoi racconti più vivi: quando nel 1967 scese nella necropoli vaticana accompagnando, per volere di Paolo VI, Atenagora, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Mi raccontò che spiegando in greco moderno al Patriarca i risultati delle ricerche, si chinarono insieme a leggere la parete di graffiti con i nomi di Cristo e Maria intrecciati a quelli di Pietro sulla parete del loculo dove erano stati rinvenuti i resti dell’Apostolo. Atenagora s’inginocchiò a terra e ne restò commosso. Nel 1995, dopo la morte della sorella, che le fu di aiuto per tutta la vita, dovette lasciare l’abitazione in via della Scrofa, insieme a gran parte dei suoi libri, che oramai non poteva più leggere perché quasi cieca. Venne sepolta a Grottaferrata, nella tomba dove riposa anche il professor Venerando Correnti, l’antropologo che esaminò le ossa che Margherita Guarducci riconobbe come quelle di Pietro.

È stata lei a consegnare alla storia e alla Chiesa un dono preziosissimo. Fu tuttavia trattata con sufficienza a causa di invidie e meschinità di un certo curialismo di quegli anni, che purtroppo forse mal tollerava fosse una studiosa a giungere a tali esiti e che aveva evidenziato anomalie e mancato rigore scientifico nella conduzione degli scavi compiuti tra il 1940-1949 sotto la Basilica vaticana, nei quali erano stati coinvolti anche scrittori della «Civiltà cattolica». Dopo la morte di san Paolo VI alla Guarducci era stato addirittura negato l’ingresso nei sotterranei. Nonostante le attestazioni e la stima dei papi, fino agli anni Novanta i risultati delle sue ricerche non apparvero più neppure accennati nelle guide alla necropoli vaticana. Pietro fondamento della Chiesa. Itinerario nei sotterranei della Basilica vaticana – la guida scritta dalla studiosa e stampata per i visitatori con le parole riconoscenti di Paolo VI «per l’esito di così significativo avvenimento archeologico» – era stata ritirata. Compresi così quanto fosse vero il commento del cardinale Josef Ratzinger sull’intera vicenda: «Unglaublich, incredibile». Provvidenziale è stata l’occasione della prima esposizione voluta da papa Francesco il 24 novembre 2013 delle reliquie di Pietro contenute nel reliquiario. Il nome di Margherita Guarducci non può che rimanere accanto alle «reliquie superstiti» del primo Papa. È alla sua competenza e tenacia che dobbiamo la scoperta dell’ubicazione esatta dove ab antiquo per secoli avevano riposato i resti mortali del Pescatore di Galilea e il riconoscimento della loro autenticità. Gli unici, almeno finora, in tutto l’Occidente e l’Oriente sicuramente attestati di un apostolo di Cristo. E di questo la Chiesa intera le resta debitrice.

di Stefania Falasca