Relazione del Garante dei diritti delle persone private della libertà

Carcere e disagio al tempo del coronavirus

Antonucci 1.jpg
26 giugno 2020

L’annuale Relazione al Parlamento del Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà non poteva quest’anno prescindere dalla situazione che si è venuta a creare negli ultimi mesi e che ha ulteriormente chiuso realtà intrinsecamente già chiuse, come le carceri, i centri di accoglienza per immigrati ma anche le residenze per anziani.

«Al di là di quei cancelli, all’ansia che in sé si genera in questi spazi chiusi — ha dichiarato il Garante Mauro Palma, presentando oggi, venerdi 26, la Relazione — si è aggiunta l’ansia determinata dal nemico invisibile, di cui ciascuno poteva essere inconsapevole portatore e che entrando in quei luoghi avrebbe determinato un’incontrollabile impossibilità di difendersene».

Da qui, ad esempio, le rivolte scoppiate in carcere all’annuncio della sospensione dei colloqui con i familiari, che hanno causato 14 morti. A peggiorare la situazione è stato inoltre il cronico sovraffollamento degli istituti di pena, che da sempre “preoccupa” il Garante, con 61.230 reclusi alla fine di febbraio 2020. E anche se tra marzo e la seconda metà di maggio, in seguito alle misure adottate dal Governo, vi è stata una diminuzione consistente delle presenze in carcere passate a 53.548, ha spiegato Mauro Palma, «è estremamente allarmante il fatto che recentemente i numeri sono di nuovo in ascesa con un trend di crescita che ha portato un aumento di quasi 300 presenze negli ultimi quindici giorni».

Le carceri italiane soffrono dunque un sovraffollamento endemico dovuto, secondo il Garante, anche alla mancanza «di risposte esterne capaci di intercettare il disagio e le difficoltà di vita per diminuire l’esposizione al rischio di commettere reati». Un esempio sono le 867 persone detenute ad oggi per una pena (non un residuo di pena) inferiore a un anno e le 2.274 con una pena compresa tra uno e due anni. Sono inoltre 13.661 i detenuti con un residuo di pena da scontare inferiore a due anni. Un esercito di persone che, evidenzia il Garante, dovrebbero poter avere accesso alle misure alternative al carcere per un loro graduale reinserimento nella società.

Strettamente legata a questo tema è l’altra emergenza evidenziata nella relazione e cioè il disagio mentale in carcere e la «tendenza a psichiatrizzare ogni difficoltà che si manifesta all’interno delle mura carcerarie». Secondo Palma «la salute mentale negli istituti di pena si può sintetizzare in questi parametri: vuoti, inerzie, carenze e bisogno». Una realtà che traspare anche dal crescente numero dei suicidi, 53 nel 2019, in media uno a settimana, e dal costante aumento di episodi di autolesionismo e di aggressione verso il personale penitenziario. Un trend costante anche nei primi mesi del 2020 con già 18 suicidi, 481 tentati suicidi e 3.617 atti di autolesionismo.

Altro tema di allarme, messo a fuoco nella Relazione, è la privazione della libertà dei migranti. «I numeri del 2019 confermano la discrasia tra i numero delle persone ristrette nei Centri permanenti per il rimpatrio e quello relativo alle persone effettivamente rimpatriate. Delle 6.172 persone ristrette in una situazione di detenzione amministrativa, solo 2.992 sono state rimpatriate mentre in 1.775 casi la privazione della libertà non è stata confermata dall’Autorità giudiziaria». L’ultima parte della Relazione è dedicata alle strutture «più affollate» tra quelle che il Garante si trova a visitare e monitorare: le residenze per anziani e le residenze per disabili che, secondo gli ultimi dati, forniscono 88.571 posti letto in 12.458 strutture. Realtà in cui il covid-19 ha causato significative limitazioni alle libertà fondamentali e in alcuni casi, persino situazioni di privazioni de facto della libertà personale.

Alla luce di quanto accaduto, che in taluni casi è all’attenzione della Magistratura inquirente, il Garante ricorda di aver stipulato un accordo di ricerca con l’Istituto Superiore di Sanità per il monitoraggio continuo di queste strutture «che il contagio ha configurato solo come potenziali cluster, facendoci dimenticare che erano luoghi  dove si realizzava la forzata interruzione dei legami e ci si avvia a esiti nefasti in un contesto di vuoto e di percezione di solitudine assoluta». Da qui la necessità di un’osservazione costante «perché — sottolinea Palma — ogni persona ha diritto a che le sue potenzialità vengano coltivate e sviluppate al massimo, al fine di non diminuirne la possibilità relazionale e l’esercizio pieno di quel residuo di libertà che ognuno porta con sé».

di Anna Lisa Antonucci