L’opera di un missionario tra le donne vittime di violenza nella Repubblica Democratica del Congo

Ascolto e supporto per ricominciare a vivere

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24 giugno 2020

I vestiti sono laceri. I piedi nudi. Tengono lo sguardo basso. Quasi si vergognassero delle ferite che portano. Ferite nel corpo, ma anche nell’anima. E queste ultime sono le più profonde. Quelle che stentano a guarire. Per questo si schermiscono. Non ne vogliono parlare con nessuno. Non alla loro comunità. Neppure in famiglia. A volte si aprono solo nel confessionale. Confessano al sacerdote il rapimento subito, gli abusi vissuti, l’emarginazione cui spesso sono costrette nei loro stessi villaggi. Così padre Bernard Ugeux, belga, 74 anni, missionario nella Repubblica Democratica del Congo, viene a scoprire un mondo di soprusi e tende una mano a quelle ragazze. Le aiuta a uscire da quell’incubo e a rifarsi una vita guardando al futuro in modo più sereno.

Padre Ugeux, dei missionari d’Africa (padri Bianchi) vive e lavora a Bukavu, nel Sud Kivu. Il Kivu come tutte le regioni orientali dello stato africano, da anni è dominato da una forte instabilità. Gruppi armati, si calcola che operino 130 milizie, saccheggiano le ricchezze del territorio e si avventano come avvoltoi sulla popolazione civile stremata dai soprusi. Le donne sono le vittime sacrificali di una guerriglia diffusa innescata nel 1997 con il collasso dell’ex Zaire. Da allora nelle foreste del Nord e del Sud Kivu, che il governo fatica a tenere sotto controllo, si registrano sistematici casi di violenze e abusi. Le Nazioni Unite hanno contato oltre quindicimila stupri in un anno nel Paese: il più alto numero di crimini sessuali registrati al mondo. Secondo il Kivu Security Tracker, solo negli ultimi mesi del 2019 nel Kivu sono state rapite 1.275 persone e 720 sono state uccise. Molte delle ragazze rapite vengono abusate. Ma solo una piccolissima parte dei casi viene denunciata: l’impunità per i responsabili è quasi certa.

Le violenze sono il marchio indelebile di una guerra senza fine. Le vittime sono spesso bambine, le più deboli e vulnerabili. Nella cultura tradizionale, la donna è considerata come madre e gode di grande considerazione e rispetto perché dona la vita e rappresenta tutto quello che c’è di sacro in Africa. Umiliarla significa umiliare direttamente il suo clan, in quanto nella cultura congolese fare violenza ad una donna significa fare violenza alla propria madre, perché è lei che dona la vita ed educa la prole. Gli stupri sono dunque pianificati come una tattica di guerra da persone che conoscono bene la comunità locale. La Chiesa cattolica si è così trovata in prima linea di fronte a questa brutalità. Nell’aprile 2017, l’Unione internazionale dei superiori generali, con il supporto dell’ambasciata britannica, ha formato una quarantina di consacrati (dei quali alcuni sacerdoti) per aiutare le donne vittime di violenza sessuale. A inferire sulle giovanissime vite è anche la miseria in cui versa gran parte della popolazione. A centinaia finiscono sulla strada, dove subiscono ogni genere di abuso, perché i loro genitori sono malati o vengono a mancare o semplicemente non hanno i mezzi per sfamarle.

«Le ragazzine sono due volte vittime innocenti — spiega il missionario — Dopo essere state abusate, vengono considerate colpevoli per ciò che è successo loro: sono ripudiate dalle comunità e restano abbandonate a sé stesse». Non ne parlano e vivono questo oltraggio al loro corpo e alla loro anima come una colpa. Padre Bernard ascolta le donne che, nel segreto del confessionale, gli raccontano degli abusi a cui sono state sottoposte. «Quando vengono a confessare le aggressioni che hanno subito — racconta — devo spiegare loro che non ne sono in alcun modo responsabili».

Per il religioso è indispensabile adottare un approccio psicosociale. «Non è sufficiente essere empatici e permettere alle vittime di esprimere emozioni e ricordi dolorosi», sostiene. «È necessario offrire le risorse materiali e sociali per il reinserimento nella loro comunità. Far sì che la vittima ritrovi un posto e un ruolo, nel rispetto e nella più totale sicurezza». Padre Bernard ha così promosso, insieme a un’équipe di laici congolesi e alle suore dorotee, un percorso di riscatto per 250 ragazzine in fuga dall’orrore. «Sono ex bambine di strada, vittime di abusi e violenze, orfane o figlie di genitori poverissimi o impossibilitate a crescerle», osserva il religioso. «Ogni giorno le giovani frequentano il centro, che fornisce assistenza sociale e psicologica, istruzione, educazione e formazione professionale. A lezione insegniamo francese, matematica, taglio e cucito, cucina. Affianchiamo le ragazze nel percorso di reintegrazione nella società, cerchiamo famiglie affidatarie o adottive disposte ad aiutarle, cerchiamo per quanto possibile di autofinanziarci attraverso la vendita di dolci o vestiti realizzati dalle stesse ragazze».

di Enrico Casale