Bud Spencer in privato nel libro scritto dalla figlia

Alla scoperta di Carlo

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25 giugno 2020

Tutti lo ricordano come il gigante buono. Bud Spencer è uno degli attori italiani più amati e conosciuti del mondo, un uomo straordinario in tutti i sensi. Anche nel fisico oltre misura. Ma com’era in privato? Chi era Carlo Pedersoli, «Maciste» come si scherniva lui stesso, quando i riflettori si spegnevano e faceva ritorno a casa?

«Una volta tornò dagli Stati Uniti con una roulotte in metallo, l’Airstream, talmente lunga che dovette trasportarla all’aeroporto di Roma-Urbe dove teneva gli aerei della compagnia che aveva fondato, la Mistral Air, e ne fece il suo ufficio». È Cri Cri a parlare per più di centocinquanta pagine, in cui racconta suo padre come il grande pubblico, il suo pubblico, non lo può conoscere (Bud. Un gigante per papà, Firenze, Giunti, 2020, pagine 160, euro 16,50).

Oltre il memoir, è un vero e proprio atto d’amore, il racconto vibrante e commosso di un legame ancora forte e potente, che continua a cercare le parole per raccontarsi. La retrospettiva di un’esistenza unica che ha sempre messo la famiglia al centro di tutto e che solo una figlia avrebbe potuto narrare con sguardo profondo e lieve al contempo, inizia prima ancora di quel 31 ottobre 1929 quando a pochi metri dal Golfo di Napoli, il piccolo Carlo — si fa per dire per un neonato di 6 chili e mezzo — apre gli occhi al mondo.

La passione per il cibo probabilmente ce l’ha nel Dna. E anche quella per il nuoto, come suo nonno Alessandro. In pochi anni diventa come lui, un atleta e campione olimpionico. Di nuovo la famiglia è il fulcro della storia. La guerra distrugge la piccola fabbrica di mobili che era l’attività dei Pedersoli e si trasferiscono a Roma dove nonna Rina diventa il fulcro della famiglia. Apre una sartoria ai Parioli e supera quegli anni bui riuscendo a preservare una parvenza di normalità e dando la possibilità a Carlo di partecipare ai 100 metri rana con la Romana Nuoto fino a conseguire il record nazionale a Trieste. Quello stesso giorno il generale Doolittle in volo sulla capitale faceva sganciare un carico di 4.000 bombe. Se il treno fosse arrivato alla Stazione San Lorenzo solo un attimo prima, Carlo sarebbe rimasto soffocato dalle macerie dell’esplosione ma «il caso, la coincidenza e la fortuna» avevano per lui altri piani.

Prima di trasformarsi in Bud Spencer, aveva attraversato il mondo in lungo e in largo, vissuto in Sud America, incontrato sciamani, preso il brevetto di volo, formato una flotta di aerei e dato spazio senza tregua alle sue passioni. Aveva una memoria eccezionale, gli bastava leggere un testo una volta per ricordarlo perfettamente. Imparò il portoghese alla perfezione e trascorse anni felici in Brasile lavorando come rappresentante della Dupont, anni impressi nella memoria dei figli attraverso i suoi ricordi, le sue melodie e i suoi disegni di locomotive a forma di caffettiere che avanzavano lasciandosi alle spalle una profumata scia di caffè.

Quando rientrò in Italia l’orizzonte cambiò di nuovo colore. Furono anni speciali, conobbe Maria Amato, la ragazza che sarebbe diventata sua moglie, nacquero i tre figli, Giuseppe, Cristiana e Diamante e poi l’incontro con il cinema. Giuseppe Colizzi e Mario Girotti avrebbero dato il via alla carriera che tutti conosciamo.

Senza volerlo, quasi senza rendersene conto Bud Spencer e Terence Hill si ritrovano protagonisti di un genere cinematografico del tutto nuovo e vincente, il western comico e cominciarono a collezionare premi e riconoscimenti.

Bud si è occupato di diritti umani, è stato nominato ambasciatore Unesco, è stato insignito del titolo di Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica, ha dedicato canzoni d’amore a sua moglie e ha lasciato che le amicizie restassero spontanee così com’erano nate. «Non sono un attore, sono un personaggio» diceva di se stesso. Ed è quel personaggio indimenticabile, poliedrico se non unico, che Cristiana Pedersoli ci tratteggia oggi in un racconto emozionante che gli restituisce la scena.

di Flaminia Marinaro