La principale lezione appresa dalla didattica a distanza

A fare la differenza è la preparazione degli insegnanti

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01 giugno 2020

Valerio frequenta la seconda liceo, suo fratello Mario la prima media e da qualche settimana le loro vite si sono invertite. «Entrambi vanno bene a scuola — racconta Marta, la loro mamma — ma prima Valerio aveva bisogno di essere costantemente spronato a studiare, Mario andava in automatico e aveva i risultati migliori. Ora è tutto il contrario: qualche insegnante mi ha anche segnalato che Mario non ha consegnato i compiti in più occasioni». Cosa è cambiato nella routine di questi due fratelli che vivono in un quartiere residenziale nella zona sud di Roma? A parità di condizioni, c’è una sola vera novità: non vanno più a scuola e la didattica si è spostata on line.

La chiamano Dad. È la passione tipica della burocrazia italiana per le sigle: Didattica a distanza. Nella realtà è un mosaico di tecniche di insegnamento, diversa da scuola a scuola, da professore a professore. Perché l’Italia, come tanti altri Paesi, è stata colta di sorpresa e ogni scuola si è arrangiata in modo diverso.

La scuola media di Mario ha aspettato indicazioni, ha temporeggiato e alla fine ha iniziato le attività in modo timido dopo quasi un mese di lockdown. Quella di Valerio si è organizzata rapidamente ed è partita con un’attività molto intensa.

«Valerio si sente più seguito di prima — dice Marta — gli danno compiti e li correggono rapidamente, mentre per la classe di Mario, essendo ragazzi più piccoli, hanno scelto di non dare tanti compiti e non dare voti. Ma credo che una grande differenza sia stata psicologica: Valerio ha molto apprezzato lo sforzo digitale dei professori, lui che considera il mondo digitale un suo spazio naturale in cui gli adulti sono estranei. E in più ha visto i docenti nelle loro case e i contatti sono proseguiti nel corso della giornata».

Nel momento in cui si dibatte su come organizzare la scuola del dopo covid-19, si è forse dato troppo poco spazio all’analisi di come sia andata l’esperienza di questi mesi.

Per Ludovico Arte, preside noto a Firenze per aver guidato il salvataggio dalla chiusura e la trasformazione in scuola modello dell’Istituto tecnico per il turismo «Marco Polo», la didattica a distanza è stata densa di osservazioni. «Una cosa interessante l’ho scoperta attraverso mio figlio — racconta — gli ho chiesto come andava con i professori e le lezioni on line e lui mi ha risposto che gli piaceva molto che gli mandassero le lezioni registrate così poteva ascoltarle quando aveva voglia e poi ha aggiunto che erano bravi ma un po’ lenti. E lui aveva risolto il problema». Il figlio del preside, con la naturalezza dei nati digitali, ascoltava le lezioni accelerandole a 1,50 volte la velocità normale. Al padre ha spiegato: «Anche 1,75, più veloce no, altrimenti il suono distorce e non si capisce cosa dicono, ma così lo seguo meglio». «Per me è stata una folgorazione — spiega il preside — a questi ragazzi facciamo tanti discorsi sull’elogio della lentezza ma se vogliamo entrare in relazione con loro bisogna conoscerli meglio. E non serve imitarli, ma a volte può essere necessario anche accelerare il ritmo per andare loro incontro».

Il clima di solidarietà indotto dalle difficoltà comuni del lockdown ha anche spinto gli insegnanti a interessarsi di più alla situazione dei ragazzi. «A volte anche un piccolo gesto, ad esempio chiedere “come va?” — riflette Arte — può servire».

Naturalmente c’è stato il rovescio della medaglia, a partire dalle disuguaglianze tecnologiche. «Si ritiene quasi scontata la presenza di computer e wi-fi nelle case di tutti gli alunni, ma non è così, — raccontava una studentessa di Napoli durante la quarantena al blog di Save the children — ed è uno dei problemi che io ho riscontrato maggiormente sulla mia pelle, ma sembra che non tutti i professori lo capiscano».

C’è poi la questione dei trucchi informatici: molti ragazzi spegnevano la telecamera e fingevano di seguire le lezioni mentre magari giocavano con il telefonino, altri hanno escogitato semplici stratagemmi per copiare o sbirciare sui libri durante le interrogazioni a distanza. Ma il punto non è dare un voto alla Dad, ma apprenderne la lezione. La prima e la più importante è proprio nelle differenti esperienze vissute dai ragazzi: a fare la differenza, più degli strumenti informatici, è stata la preparazione e l’impegno degli insegnanti e del personale scolastico.

«Il computer è un falso problema — concorda Arte — gli insegnanti che non funzionavano in presenza non funzionano nemmeno a distanza, mentre ci sono ragazzi con difficoltà relazionali che si sono trovati meglio e viceversa».

di Giuseppe Marino