La lotta al coronavirus nell’ospedale pediatrico di Bangui nella testimonianza di una cooperante di Medici con l’Africa Cuamm

Vivere la pratica del gesto minimo

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05 maggio 2020

«Quando mi si chiede di raccontare qualcosa della mia esperienza dico sempre che la considero un “privilegio”. Partire per me ha voluto dire scegliere di “restare” in Africa e ripartire più volte per missioni sempre diverse, l’ultima in ordine di tempo, quella attuale a Bangui»: è quanto confida al nostro giornale la dottoressa Donata Galloni, infettivologa e cooperante di Medici con l’Africa Cuamm. Raggiunta al telefono a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, dove sta svolgendo la sua attività di volontaria presso il Complexe Hospitalier Universitaire Pédiatrique, Donata ci ha raccontato quanto sia difficile e complicato lavorare in un Paese che ha una struttura amministrativa statale debole per formazione, capacità, competenze, esperienze e sistemi di controllo. Dove c’è tanta debolezza e tanta povertà e dove la minaccia del coronavirus preoccupa sia la popolazione che il personale sanitario. A oggi i casi confermati di covid-19 sono 94, tutti adulti, e per la maggior parte si tratta di persone provenienti dall’Europa o dal vicino Camerun. Anche nella Repubblica Centrafricana il Governo ha messo in atto le stesse misure restrittive adottate in altri Paesi come la chiusura di scuole e chiese, ristoranti e bar, e limitazioni sui mezzi di trasporto pubblici.

Quest’anno il Cuamm compie settant’anni (il prossimo 3 dicembre) ma lo spirito che caratterizza questa ong è rimasto intatto nel tempo. Dalla sua istituzione a oggi il Cuamm ha mandato nei Paesi più fragili dell’area sub-sahariana (Etiopia, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Uganda, Tanzania, Mozambico, Angola e Sierra Leone) oltre duemila operatori, tra medici, paramedici e tecnici, con un periodo medio in servizio di 3 anni per ciascuna persona inviata. Anche Donata rimarrà per i prossimi tre anni a Bangui, dove lavora a capo di un team di dodici persone. «Essere qui in Africa tra i poveri — spiega all’Osservatore Romano — per me è un privilegio. Cerco di vivere “la pratica del gesto minimo” secondo le parole dell’arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpini, pronunciate in occasione della Veglia missionaria diocesana dell’ottobre del 2017: “La pratica del gesto minimo si riassume in una parola: eccomi!”. Per consegnarmi a un amore che sia fedele per tutta la vita e abitare la sproporzione, che è la logica della missione. Non avrei mai immaginato, dopo la prima esperienza di due anni nel 1998 in un piccolo ospedale rurale di villaggio, che in breve il lavoro in Africa sarebbe diventato il luogo della vita». Dopo alcuni anni di esperienza ospedaliera in Italia e dopo due periodi in aspettativa dal lavoro, nel 2006 il “passaggio in Africa” lasciando anzitempo il lavoro in ospedale a Cremona. Circa dodici anni in Mozambico, due anni abbondanti in Sud Sudan e adesso nella Repubblica Centrafricana.

«A volte — continua la dottoressa Galloni — penso che in tutto ciò ci sia stata una certa incoscienza, ma anche la convinzione che è possibile, oltre che doveroso e giusto, spendersi come singoli e organizzazioni, affinché il diritto alla cura e alla vita sia garantito e perseguito per tutti, anche quindi per i popoli più poveri o impoveriti della terra. Questo — precisa — è stato e continua a essere il leit-motiv di questi anni attraverso i diversi ruoli che ho svolto e che oggi mi trova da sette mesi a Bangui, nella Repubblica Centrafricana, capoprogetto di un intervento del Cuamm a supporto dell’Ospedale universitario pediatrico insieme ad un team di persone provenienti da diversi Paesi».

L’obiettivo dell’Ong, presente nella capitale centrafricana dal 2018, è quello di migliorare l’assistenza clinica ai bambini e la qualità gestionale della struttura e dell’organizzazione. La Repubblica Centrafricana, infatti, ha uno dei tassi di mortalità infantile più alti al mondo. Al 187° posto su 188, nella graduatoria che mette in fila i Paesi in base all’Indice di sviluppo umano, la situazione umanitaria è tra le più drammatiche del continente, aggravata da un’instabilità interna frutto del conflitto tra bande armate da gruppi esterni per la contesa delle enormi ricchezze naturali del Paese. Il tasso di mortalità dei bambini entro l’anno di vita (105 decessi per 1000 nati vivi) e quello dei bambini al di sotto dei 5 anni (174 decessi ogni 1000 nati vivi) sono tra i peggiori al mondo. Le principali cause sono la povertà, la scarsa disponibilità e qualità dei servizi sanitari essenziali e l’insicurezza generalizzata.

La dottoressa Galloni ha ripercorso, insieme a noi, gli ultimi anni di cronaca dell’ospedale in cui lavora per spiegarci quanto sia complicato da gestire nel tentativo di mantenere uno standard qualitativo elevato. «Intanto voglio ricordare la provvidenziale visita di Papa Francesco a Bangui nel novembre del 2015. È da quel momento — spiega la cooperante del Cuamm — che è iniziata una fase di fermento. Infatti, è per volontà del Santo Padre che l’ospedale è stato ampliato e ristrutturato con il sostegno dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma che si occupa principalmente della formazione del personale sanitario locale, e del ministero della salute di Bangui, in collaborazione con la Commissione europea, che ha stanziato un importante finanziamento attraverso il “Fondo Bêkou” che in lingua locale significa “speranza”». Ma anche con la Cooperazione italiana, e «grazie al sostegno della Conferenza episcopale italiana. La sfida del Cuamm — continua la dottoressa — è quella di prendere in carico l’intero complesso pediatrico, con i suoi duecentosettantasette posti letto, affiancando il personale locale che è già impegnato nella struttura, non limitatamente alla chirurgia, ma anche e soprattutto, per quel che riguarda la gestione complessiva». Per far fronte alla pandemia il nosocomio, con il sostegno delle autorità governative, ha messo a punto una serie di azioni come la sensibilizzazione degli utenti, la distribuzione di materiali informativi, postazioni per il lavaggio delle mani in tutto l’ospedale, formazione dello staff (305 persone), spot radiofonici, confezionamento di 400 mascherine in cotone, visiere protettive e sovracamici. E la fabbricazione presso la farmacia dell’ospedale di soluzione idro-alcoolica per disinfezioni delle mani. «Inoltre — aggiunge Galloni — è stata approntata un’area con sala di degenza per eventuali casi pediatrici sospetti e svolgiamo incontri periodici con un Comité Medical dedicato alcovid-19». Non solo, l’operatrice del Cuamm ricorda che è stato «assunto staff sanitario in più per fare il dépistage fuori dall’ingresso dell’ospedale agli adulti che arrivano con i bimbi malati. Misuriamo con termometro a infrarossi la temperatura. Chi ha febbre e tosse non entra. Inoltre, sono vietate le visite ai pazienti per ridurre il sovraffollamento, sono state attuate misure di distanziamento nei servizi e migliorata l’igiene ambientale».

La volontaria crede molto nella missione che svolge nella capitale centrafricana e ritiene importante lo spirito di collaborazione. «Se all’inizio ha prevalso l’entusiasmo con un misto di “ingenuità” e anche incoscienza — aggiunge — nel tempo è subentrata una grande consapevolezza della serietà del servizio che si svolge e, al tempo stesso, del rischio sempre presente di sbagliare l’approccio e lo stile del lavoro. Ho vissuto sul terreno la delusione e la disillusione rispetto a una certa narrazione e realtà del fare cooperazione e questo mi ha costretto e anche aiutato a rimotivarmi ogni volta che iniziavo un nuovo progetto. Le difficili e ingiuste condizioni di vita delle popolazioni dei Paesi dove sono stata mantengono attuale e imperativo il “farsi prossimo” come possibile e con l’aiuto dei tanti che ci supportano dall’Italia. Ciò che nel tempo è divenuta convinzione profonda, e ha sostituito l’entusiasmo degli inizi — prosegue Donata — è la bellezza faticosa dell’accompagnare, con pazienza e umiltà, lenti processi di cambiamento e miglioramento nel personale locale e nelle strutture sanitarie dove ho lavorato e lavoro tuttora».

Infatti, l’obiettivo principale della ong è quello di “restituire” la gestione dell’ospedale pediatrico di Bangui alla direzione del nosocomio, dopo una fase di vera e propria emergenza determinata dai momenti più acuti della guerra civile del Paese. Si tratta, quindi, di “rivitalizzare” gli organi di gestione organizzativa, amministrativa e clinica attraverso assistenza tecnica ai diversi livelli e di far crescere il personale locale nelle funzioni che gli competono. È il “con l’Africa” tipico dell’intervento Cuamm.

«A Bangui — sottolinea Donata Galloni — mi sento di poter dire che continuo a sperimentare come necessaria e preziosa una cooperazione allo sviluppo che sia condivisione e scambio, un dare e un ricevere con quanti incontriamo ogni giorno nei nostri interventi sanitari. Non è sempre facile rimanere in questo atteggiamento, avere questo sguardo, decidere sulla base di questo. Con il tempo — spiega l’infettivologa — anche qui c’è il rischio di adagiarsi, di lasciarsi sopraffare dal senso dell’impotenza e dell’inutilità, di cercare risultati e successi facili, di servirsi delle situazioni e delle attività e non di servirle, di ritirarsi dal dialogo e dal confronto con tutti i “diversi” di pelle, cultura, religione, stato sociale che ogni giorno incontro».

Donata sostiene di aver ricevuto e imparato dal continente africano alcune “lezioni/doni” come per esempio «una maggior consapevolezza ed esperienza del proprio limite, della propria debolezza, in questo mondo che ancora la scienza e la tecnologia non riescono a controllare e dominare; l’esperienza quotidiana dell’incontro con il diverso, in primis data dal contrasto bianco/nero, ma non solo, che segna ogni relazione umana; l’esperienza — continua — della fraternità e della comunione che si vive nonostante e attraverso queste diversità; la dimensione della gioia e della festa che la gente vive con intensità e vitalità particolari; la capacità di resistenza e sopportazione del dolore e della fatica». E non è tutto. Anche «l’esperienza di essere stranieri; l’esperienza di accoglienza che ti fa sentire anche qui “a casa”; il senso diffuso e condiviso del sacro che permea la vita dei singoli e delle comunità».

La cooperante del Cuamm ricorda che come sempre «c’è un’indubbia sproporzione tra “bisogni” e “risorse” a disposizione e spesso questo demoralizza e rende più faticoso il lavoro e l’aiuto, anche per questo conta molto “sentirsi sostenuti” dall’Italia. Diventa sempre più difficile e complesso, in base alla mia esperienza, lavorare bene in Africa. Questa “scelta” va costantemente “riscelta” e “motivata”, e vissuta nella pazienza e nella perseveranza. Cerco di continuare a lasciarmi provocare in modo forte e singolare dal “bussare dei poveri” alla nostra porta, come ha scritto Benedetto XVI: “mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza oramai incapace di riconoscere l’umano”» (Caritas in veritate, 75).

Per far fronte ai tanti bisognosi che cercano e invocano aiuto, da qualche mese è operativa all’interno del nosocomio centrafricano, un’unità di oncologia pediatrica ma con scarsissimi mezzi. Il Complexe Hospitalier Universitaire Pédiatrique, sebbene in parte recentemente riabilitato dall’Ospedale Bambino Gesù, ha necessità di manutenzione e di logistica continue. Sono ancora insufficienti arredi per le stanze di degenza e ausili sanitari come lettini con ruote, barelle, carrozzine, carrelli. «Il sostegno economico non solo dell’Italia, ma anche di altri Paesi — conclude Donata Galloni — è fondamentale per garantire ai bambini centrafricani, e alle loro famiglie, un’aspettativa di vita che in questo continente sembra ancora un miraggio».

di Francesco Ricupero