«L’Osservatore Romano» ai tempi del nazismo

Una voce ferma e chiara

Pio XI
29 maggio 2020

Come reagì la Santa Sede all’ascesa del nazionalsocialismo? Come si comportò durante il suo rapido e devastante affermarsi?

«L’Osservatore Romano» è un prezioso strumento per rispondere, perché tutti potevano leggere e conoscere e commentare i suoi articoli, che arrivavano presso tutte le Cancellerie dei Governi, ove «L’Osservatore Romano» aveva ed ha una lettura attenta e intelligente: il limpido dettato di un articolo rivolto al pubblico non permetteva di invocare voluti silenzi o diverse interpretazioni. Se l’azione diplomatica necessita di riservatezza e di equilibri che non possono essere affidati alle stampe, ciò che compare sulle pagine di un giornale, difficilmente può essere misconosciuto: le parole stampate erano un grido levato senza timore e con il tono vibrante di chi ricercava la verità e non temeva di servirla, pronto a pagarne il prezzo. Come avvenne.

Non esistono molti studi riguardo agli interventi de «L’Osservatore Romano» riguardo al nazionalsocialismo. Al di là dei cenni disseminati in molte pubblicazioni, ci consta di una sola ricerca specifica, anche se — come suole dirsi oggi — “datata”: Fritz Sandmann, «L’Osservatore Romano» e il Nazionalsocialismo (1929-1939), edito nel 1976.

Sulla sua scia ho voluto sfogliare in particolare gli ultimi tre anni di pontificato di Pio XI (1937-1939). Agli inizi, «L’Osservatore Romano» sembra mostrare una certa incertezza verso il movimento nazionalsocialista: probabilmente non ne capiva a fondo l’ispirazione ed era combattuto tra il rigoroso e quasi scrupoloso rispetto, che contraddistingueva il quotidiano, a proposito delle vicende politiche degli Stati e fors’anche dalla convinzione che esso rappresentasse aspirazioni comprensibili dopo le trattative di pace per la prima guerra mondiale, iniquamente umilianti per la Germania. «L’Osservatore Romano», però, rapidamente prese coscienza della “diversità” del nazionalsocialismo rispetto ai valori cristiani e con crescente decisione ne sottolineò i limiti e ne criticò gli atteggiamenti. Il quotidiano della Santa Sede nel corso degli anni sembra sempre più muoversi come tra Scilla e Cariddi: evitare lo scontro esplicito ma non mancare al dovere della denuncia.

Evitare lo scontro esplicito era una necessità, soprattutto nei mesi in cui ci si affrettò a raccogliere l’invito a sottoscrivere un concordato con il nuovo Reich, che recepisse a livello dell’intera nazione tedesca quanto sino ad allora era stato relativo ad alcuni Stati, come la Baviera e la Prussia. Secondo questa esigenza si può notare che «L’Osservatore Romano» si mostrò prudente. Insieme, però, fu esplicito: non mancò di servire la verità e, dunque, di rischiare, intervenendo nella denuncia delle violazioni dei diritti delle persone e della propaganda anticristiana. Proprio perché la Chiesa cattolica si sentiva voce di chi non aveva voce, la posizione de «L’Osservatore Romano» divenne sempre più critica: basterebbe leggere alcuni articoli del 1935.

Accanto alla denuncia «L’Osservatore Romano» assunse anche l’impegno della supplenza: cominciò a pubblicare integralmente le lettere pastorali dei vescovi tedeschi, le loro omelie, i loro interventi. Era un modo per dare voce alla Chiesa tedesca, controllata sempre più dalla polizia del regime. Era, insieme, un modo per far conoscere al mondo intero — quel mondo “che conta” — il volto effettivo del nazionalsocialismo. Era un modo per ammonire le coscienze degli statisti e per renderli vigilanti contro ogni cedimento alla dittatura di Hitler.

Certamente un posto a parte merita l’attenzione data a quel manifesto antinazista che fu l’enciclica Mit brennender Sorge, datata 14 marzo 1937, e letta in tutte le chiese tedesche la domenica successiva, 21 marzo, Domenica delle Palme. Non possiamo tacere il significato della datazione: la condanna del nazionalsocialismo fu voluta da Pio XI prima di quella del comunismo bolscevico, contenuta nell’enciclica Divini Redemptoris, datata il 19 marzo, per far percepire che la condanna del nazismo doveva essere fatta prima di quella del comunismo.

Singolare il 1937: in quel solo anno furono pubblicati 143 articoli e molti di loro raccolgono al loro interno paragrafi — e dunque notizie e commenti — dedicati ad argomenti diversi. Potremmo tranquillamente dire che non passò giorno che «L’Osservatore Romano» non intervenisse sul dramma che si consumava in Germania. Non a caso l’anno si chiuse col coraggioso discorso natalizio, eloquente sin dal titolo, L’alta, accorata parola del Santo Padre per la persecuzione che affligge la Chiesa, quando Pio XI parlò con toni da nuovo Mosè: «Vogliamo chiamare le cose col loro nome. Nella Germania c’è la persecuzione religiosa». Non c’erano sfumature, come si vede. Né fu da meno l’anno successivo: «L’Osservatore Romano» nel solo 1938 intervenne per 231 giorni su 310 giorni editoriali, ma, se sommiamo gli articoli di diverso calibro, arriviamo a un dato ancor più clamoroso: 408 articoli.

La tensione si fece palpabile con l’avvicinarsi della venuta di Hitler in Italia nei primi giorni di maggio del 1938, sino al voluto silenzio da parte del quotidiano sulla presenza del Führer, per ordine di Pio XI: il 29 aprile — un appunto anonimo, ma con grafia che richiama quella del Sostituto Montini: «Ho detto all’O. R. che non pubblicassero questa notizia e tacessero sulla venuta di Hitler fino a nuovo ordine» e due giorni dopo (1° maggio): «Si continui a tacere».

La denuncia si fece per certi versi affannosa negli ultimi giorni di vita Pio XI: tra il 1° gennaio e il 10 febbraio 1939, giorno della sua morte, «L’Osservatore Romano» pubblicò cinquantasette interventi, talvolta con contenuti e titoli taglienti: Povertà scientifica del razzismo in un libro di Werner Sombart (3 febbraio 1939), mentre il pensiero di Alfred Rosenberg, che dal 1933 ricopriva la carica di Delegato del Führer per l’educazione e la formazione intellettuale e filosofica del Partito Nazionalsocialista, postulava «una sapienza e un’intelligenza, che non emergevano» (6 febbraio 1939).

«L’Osservatore Romano» non si limitò alla difesa degli “interessi” cattolici, ma sostenne anche le voci del dissenso protestante, come quando il 19 gennaio 1939 riportò la conferenza di Karl Barth, esule in Svizzera, nella quale aveva definito il nazionalsocialismo «una “antichiesa” deliberatamente ostile al cristianesimo, di fronte alla quale non è possibile osservare un’apatica neutralità religiosa». Quando poi il Führer affermò davanti al Reichstag (31 gennaio 1939) che in Germania ogni libertà era garantita, il commento fu lapidario: della «Libertà (...) si è perduta ormai quasi ogni traccia nel terzo Reich». Comprensibile il silenzio del governo e della stampa naziste alla morte di Pio XI: era il segno “assordante” per il troppo e troppo chiaro parlare del Papa, diffuso attraverso il suo giornale ufficioso.

di Ennio Apeciti