Le religioni monoteiste in Argentina e il covid-19

Una visione comune sull’etica della cura

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16 maggio 2020

Cinque principi fondamentali a partire dai quali far derivare altre procedure — come la parità di trattamento, i tempi di attesa, la distribuzione e l’adeguata assegnazione delle risorse, il non abbandono, una comunicazione efficace e chiara tra il professionista e il paziente — tese all’ottimizzazione dell’intero processo e a evitare soprattutto il degrado della qualità delle cure, compromettendo la sicurezza fisica e morale della persona: «È proprio in questi principi che si produce un incontro tra scienza e fede, salvaguardando la dignità di ogni essere umano, assicurandone la custodia e la difesa dei diritti fondamentali». L’Istituto di bioetica della Pontificia università cattolica argentina ha riunito un gruppo di riconosciuti bioeticisti appartenenti a varie confessioni monoteiste, al fine di elaborare un documento quadro che stabilisca i principi guida e le loro applicazioni in relazione alla presente pandemia di coronavirus. Il risultato è il testo Marco bioético de las religiones monoteístas en ocasión del covid-19, firmato il 13 maggio a Buenos Aires da padre Rubén Oscar Revello, direttore dell’istituto, dal rabbino Fishel Szlajen, dall’imam Marwan Sarwar Gill, dal pastore evangelico Gabriel Ballerini e da Benjamín De Hoyos Estrada, per la comunità mormone.

È la prima volta nella storia dell’Argentina che prestigiosi esperti di bioetica del cristianesimo, dell’ebraismo e dell’islam sottoscrivono una dichiarazione accademica non teologica congiunta su questa materia. Le tre religioni condividono una visione comune dell’essere umano e dei diritti e doveri derivanti dalla sua condizione umana. Perciò «abbiamo deciso di redigere questa dichiarazione congiunta come contributo in questi tempi di pandemia e incertezza, sia per coloro che condividono la nostra opinione, sia per ogni persona di buona volontà che desideri aprirsi al dialogo». L’importanza del documento sta nell’univocità raggiunta dalle fedi riguardo le norme bioetiche e la loro messa in pratica in situazioni limite, garantendo principi etici fondamentali condivisi anche dalla scienza. «L’attuale situazione di pandemia — si legge nell’introduzione — solleva per la medicina e la bioetica un dibattito sulla giusta pianificazione delle risorse per l’assistenza sanitaria pubblica di massa. Entrano in collisione i diritti individuali e collettivi, rispetto ad altri diritti particolari e all’insieme sociale. Considerando tali conflitti, qualsiasi pianificatore di politiche volte al contenimento, al controllo e alla cura della salute pubblica deve preparare in anticipo procedure che ottimizzino le scarse risorse sanitarie. Questo è ciò che viene definito triage, dove concorrono l’urgenza, il sovraffollamento, l’angoscia fisica e psicologica, insieme alla carenza di risorse sanitarie sufficienti in termini di attrezzature, infrastrutture e personale, di fronte all’accelerazione del numero di casi di pazienti potenzialmente mortali».

Tale situazione, secondo i firmatari, richiede una comprensione fondamentale dell’etica e della sua applicazione, per ottenere le misure più appropriate che si concretizzano in un protocollo di azione. In altre parole, «quando le risorse disponibili non sono in grado di soddisfare le necessità esistenti, occorre un sistema di classificazione per migliorare la qualità dell’assistenza e dare priorità ai casi secondo linee guida basate su principi bioetici». Nel documento se ne individuano cinque: protezione di ogni vita umana e sua integrità fisica; principio di totalità o terapeutico; libertà responsabile; principio di giustizia; sussidiarietà. «Il diritto fondamentale di ogni persona è il rispetto e la protezione della sua vita e integrità fisica. Se questo è sopraffatto, manca la base per tutti gli altri diritti; da qui il suo primato in ogni considerazione etica. Questa affermazione forte e chiara nelle religioni millenarie è condivisa dalla scienza che conosce il danno di annullarla». Altro principio importante è il rispetto della libertà individuale, perché difende l’autonomia sia del paziente sia del personale sanitario, «superando il conflitto tra le parti, promuovendo l’alleanza medico-paziente, bilanciando il diritto di ogni persona di prendere decisioni sulle proprie cure mediche proteggendo i propri valori, convinzioni e credenze, con quello del personale sanitario». Questo rispetto, si sottolinea, «non costituisce un mero atteggiamento di tolleranza nei confronti del paziente o del personale sanitario, ma implica piuttosto un’azione in modo che possano decidere autonomamente».

Uno degli aspetti più delicati è la scelta del medico su chi curare. Al riguardo, si afferma, «il sistema di triage deve cercare di salvare la maggior parte delle vite, senza considerare in modo vincolante alcuna regola per età, qualità della vita o di sopravvivenza, condizioni socio-economiche, religione, nazionalità. La strumentazione medica non può essere tolta a un paziente che ne ha bisogno a favore di un altro che eventualmente abbia maggiore vitalità o possa aggravarsi». Nel caso in cui le procedure mediche non risultino terapeutiche, il paziente «non deve essere abbandonato o indotto ad alcuna pratica di eutanasia» ma essere indirizzato a un’unità di cure palliative poiché «quando non è possibile curare è sempre possibile prendersi cura».

di Giovanni Zavatta