Pandemia e immigrazione la doppia sfida del parroco di Lampedusa

Tutti sulla stessa barca

msl.jpg
14 maggio 2020

Il primo gesto pastorale importante, appena le decisioni governative per l’emergenza coronavirus lo consentiranno, sarà un pellegrinaggio di quattro chilometri a piedi fino a Cala Madonna, al santuario della Madonna di Porto Salvo, patrona di Lampedusa. «Come comunità parrocchiale la ringrazieremo per averci risparmiato dal contagio. Siamo pronti a farlo appena possibile». Don Carmelo La Magra, parroco della chiesa di San Gerlando a Lampedusa, è in prima linea nelle iniziative di solidarietà e nella denuncia delle ingiustizie nei confronti dei migranti. Ci racconta come la comunità lampedusana sta vivendo la doppia sfida legata al rischio covid-19 e l’intensificarsi degli sbarchi (che in realtà non sono mai cessati) con la bella stagione.

Alla guida dell’unica parrocchia di Lampedusa da quattro anni, con seimila abitanti, don Carmelo ci tiene a sottolineare: «Per noi non ci sono distinzioni tra migranti e lampedusani, facciamo 50 e 50». È già pronto a riprendere la celebrazione delle messe dal 18 maggio in poi, nel piazzale antistante la parrocchia o davanti al santuario, dove possono entrare anche cinquecento persone. Il clima siciliano, quasi tunisino, consentirà infatti di organizzarle all’aperto. «Funerali per fortuna non ce ne sono», dice. L’unico caso di contagio nell’isola pelagica ha riguardato una donna che tornava da un’altra zona d’Italia. È guarita bene e si è riusciti a bloccare subito la diffusione del virus. «Siamo in isolamento nell’isolamento» racconta don Carmelo. I lampedusani «amano vivere in una dimensione di socialità che ora è impedita ma finora siamo stati bravi a rispettare le regole».

Nonostante la quarantena che rende difficili gli spostamenti e gli incontri, la parrocchia si è trovata a dover intervenire di nuovo in diverse situazioni di necessità. La più eclatante mediaticamente è l’aumento degli sbarchi, con oltre quattrocento persone soccorse dalla Guardia costiera e dalla Guardia di finanza in una settimana. Nei giorni in cui l’hotspot di Contrada Imbriacola era pieno, almeno duecento persone, compresi bambini piccoli, sono state lasciate all’addiaccio sul molo Favarolo, in attesa di una nave che li trasferisse verso la terraferma. Il sindaco sta chiedendo da tempo una nave dove i migranti dovrebbero trascorrere la quarantena obbligatoria. Secondo La Magra, «sarebbe meglio trasferire le persone in terraferma con i traghetti di linea».

Ai primi di maggio molti hanno dormito sul molo, avvolti da coperte termiche, anche due o tre giorni. È stato allora che la parrocchia ha deciso di accogliere una cinquantina di queste persone, soprattutto donne sole con figli e famiglie, ospitandoli nella Casa della fraternità su richiesta della prefettura, almeno per dare loro un tetto. Il cibo è stato portato dai gestori dell’hotspot. Una soluzione provvisoria, al massimo per un paio giorni: «È un grande salone con i servizi, non ci sono letti», precisa il parroco. «Lo abbiamo fatto per dare un segno ma non è risolutivo. Altrimenti avremmo compiuto un’ingiustizia secondo il Vangelo. Siamo preoccupati e arrabbiati — prosegue — perché sappiamo tutti, da anni, che con la bella stagione gli sbarchi diventano quotidiani. Invece la gestione continua a essere sempre emergenziale».

Nei vari decreti legati alla crisi sanitaria, a esempio, «non è previsto come agire in questi casi», fa notare con amarezza il sacerdote. «Si improvvisano quarantene in luoghi strani, sui ponti delle navi in acqua o sul molo. Ricordiamo che qui di giorno ci sono 30 gradi al sole e le notti invece sono fredde e umide. Con i provvedimenti si pensa a proteggere solo noi dall’epidemia ma così non si rispetta la dignità delle persone. Questa emergenza ci ha dimostrato ampiamente che siamo tutti nella stessa barca; o ci salviamo tutti o non si salva nessuno».

La dimostrazione è che anche tra i lampedusani le difficoltà economiche a causa del lockdown iniziano a farsi sentire. La popolazione solitamente vive d’inverno con i proventi della stagione turistica, che inizia a Pasqua. Invece in questo periodo sono raddoppiate le richieste d’aiuto alla parrocchia. «Ogni anno seguiamo una ventina di famiglie», spiega don Carmelo. «Distribuiamo buoni alimentari per fare la spesa nei negozi locali o piccoli aiuti per il pagamento delle utenze. Ora vengono da noi almeno una quarantina di famiglie, molte per la prima volta». Inoltre nelle isole il mare, con le sue enormi distanze, rende complicato anche curarsi, avere accesso a servizi sociali ed educativi che sono scontati nelle grandi città. La parrocchia, insieme a benefattori privati, sta perciò aiutando una decina di pazienti oncologici a spostarsi sulla terraferma per le terapie: «Li faremo partire tutti insieme su un aereo di linea, con pernottamento di una notte a Palermo».

Gli ammortizzatori sociali previsti dai decreti governativi a Lampedusa sono già esauriti, oppure hanno potuto usufruirne solo realtà alberghiere o di ristorazione più strutturate. Al contrario, «un padre di famiglia che lavora solo quattro mesi all’anno per sfamare una famiglia non può accedere a quegli aiuti», osserva il parroco di San Gerlando. «Il piccolo paga per tutti. La chiusura non fa bene all’economia, al lavoro, alle relazioni, al cuore delle persone. Dobbiamo imparare a convivere con il virus ma senza capri espiatori. Chi ha sostenga gli altri. Se gli spostamenti e le attività turistiche non riprenderanno, rischiamo di avere grossi problemi nei prossimi mesi, perché in inverno le famiglie che vivono qui non potranno spendere ciò che non hanno guadagnato in estate», conclude.

di Patrizia Caiffa