Cristiani e musulmani nel solco tracciato dal Documento di Abu Dhabi

Testimoni degli stessi valori

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13 maggio 2020

Il 4 febbraio 2019 Papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar, Ahmed Al Tayeb, firmavano ad Abu Dhabi il «Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune». A oltre un anno da quello storico incontro — che ha ispirato la nascita dell’Alto comitato per la fratellanza umana, promotore della giornata di preghiera per l’umanità del 14 maggio — quali sono state le principali iniziative cattoliche per accompagnare il dialogo intrapreso e che accoglienza ha avuto tale evento in ambito musulmano? Risponde il direttore delle riviste edite in Italia dalla Custodia di Terra Santa in una riflessione uscita sul fascicolo 1/2020 del mensile «Vita e Pensiero». Ne pubblichiamo stralci.

In ambito cattolico, le iniziative a sostegno del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune non sono mancate, in Italia, in Europa e in Medio oriente. Ne ricordiamo tre, tra le più significative. Nel marzo 2019, per celebrare l’ottavo centenario dell’incontro di Francesco d’Assisi con il sultano Al-Malik Al-Kamil, si è tenuto in Egitto, a Damietta e al Cairo, un incontro cui hanno preso parte varie autorità sia ecclesiali sia civili; a un mese dalla firma di Abu Dhabi, presso l’università Al-Azhar sia cristiani sia musulmani hanno riflettuto insieme sui temi contenuti nel Documento sulla fratellanza umana. A Gerusalemme, sempre nel segno dell’incontro tra san Francesco e il sultano, si sono tenuti a inizio ottobre una serie di seminari sul tema dell’incontro e del dialogo. Culmine dell’evento è stata la visita e l’incontro, il 3 ottobre, con Muhammad Ahmad Hussein, gran mufti di Gerusalemme, all’interno degli spazi della moschea di Al-Aqsa. A Milano, il 6 novembre, l’arcivescovo Mario Delpini ha voluto incontrare i rappresentanti e i responsabili delle oltre cento realtà legate al mondo musulmano presenti nel territorio della Chiesa ambrosiana. Insieme cattolici e musulmani hanno sottoscritto il Documento di Abu Dhabi, solenne impegno a lavorare per la pace e il dialogo.

Ma quali sono le considerazioni, risonanze (e le resistenze) in ambito musulmano? Abbiamo la reale percezione del cammino che si sta compiendo e dei primi frutti che stanno maturando? Anouar Kbibech, vicepresidente del Consiglio francese del culto musulmano, non ha dubbi: «È a tutti gli effetti un documento storico, destinato a gettare le fondamenta della fraternità umana. Esistono tre cerchi di fraternità che vanno estendendosi: c’è la fraternità tra credenti della stessa religione; la fraternità tra credenti delle religioni monoteiste e, infine, la fraternità tra tutti gli esseri umani. Questo documento permette a cristiani e musulmani di uscire dal primo cerchio della fraternità tra credenti della stessa religione per aprirsi alla fraternità con altri credenti, cristiani, musulmani, ebrei». Sempre in Francia è stato sottoscritto da un gruppo di intellettuali sunniti, sciiti e sufi un documento intitolato La fratellanza per la conoscenza e la cooperazione, che definisce il testo di Abu Dhabi un «punto di partenza e di non ritorno». Il documento, nato su iniziativa della Comunità religiosa islamica (Coreis) italiana e dell’Istituto di studi islamici di Francia, spiega come la firma di Abu Dhabi sia «un evento istituzionale senza precedenti nella storia delle relazioni tra cristiani e musulmani», l’avvio di una nuova fase orientata «verso il riconoscimento della legittimità e la provvidenziale diversità di rivelazioni, teologie, religioni, lingue e comunità religiose». Sul versante italiano, l’imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis, rimarca come per i leader e gli intellettuali musulmani firmatari del documento parigino sia ormai chiaro che le diversità religiose non sono «una chiamata alla conquista o al proselitismo, o un pretesto per una semplice tolleranza di facciata», ma piuttosto un’opportunità per mettere in pratica la fraternità che è «una vocazione contenuta nel piano di Dio per la creazione».

Da Trieste gli fa eco l’imam Akkad Nader, tra gli esponenti musulmani più attivi sul versante del dialogo con il mondo cattolico e convinto sostenitore del Documento sulla fratellanza umana: «Grazie alla lungimiranza di Papa Francesco e del grande imam di Al-Azhar, cristiani e musulmani possono finalmente chiamarsi fratelli. Inoltre, in quanto credenti, siamo chiamati a realizzare questa fratellanza, a essere solidali con i più deboli e a cooperare per preservare insieme la casa comune che è la nostra terra. Non sono parole, ma si tratta di un dialogo che vuole farsi carne, diventare opere, come indicato anche dalla Laudato si’, un’enciclica che è stata accolta con grande favore anche nel mondo musulmano». Le critiche — l’imam Nader non lo nasconde — non sono mancate: «C’è chi, anche fra i musulmani, vede le relazioni con il mondo esclusivamente nella logica dello scontro. Ma si tratta di una minoranza. Noi crediamo al dialogo e ci battiamo per una cultura che metta al primo posto la fratellanza umana».

Adnane Mokrani, docente presso il Pontificio istituto di studi arabi e islamistica di Roma, osservatore attento delle relazioni islamocristiane, rimarca come il testo «sia stato ben accolto dai musulmani in Europa e in Italia, ma anche in alcuni paesi arabi come l’Egitto, la Giordania e il Libano. Dobbiamo poi ricordare il fatto che Papa Francesco, per celebrare gli 800 anni dell’incontro tra san Francesco e il sultano al-Kamil in Egitto, ha voluto visitare due paesi arabi a maggioranza islamica: gli Emirati Arabi, all’estremo oriente del mondo arabo, e il Marocco, all’estremo ovest. Sul piano simbolico, il Papa, che porta il nome del santo di Assisi, ha voluto incontrare due “sultani”. È un abbraccio al mondo arabo in tutta la sua complessità, in un momento storico molto difficile. Il primo incontro tra san Francesco e il sultano avvenne all’epoca delle crociate; anche l’incontro recente cade in un’epoca piena di conflitti. Il messaggio rimane lo stesso: andare controcorrente per parlare di pace e di diritti».

L’input dato da Papa Francesco e ripreso da Ahmed Al-Tayeb sulla necessità di diffondere, leggere, studiare e, soprattutto, mettere in pratica il Documento sulla fratellanza umana sembra sia stato preso sul serio a vari livelli. Dal 7 al 10 dicembre 2019, sempre nella capitale degli Emirati Arabi Uniti, si sono riuniti alcuni fra i più noti network internazionali di sapienti musulmani. Al termine dell’assise è stata firmata la Carta per la nuova alleanza delle virtù, nella quale si ribadisce la responsabilità delle «persone di tutte le fedi, ciascuna attingendo alla propria rispettiva tradizione, per elevare le virtù che portano al rispetto, alla tolleranza e alla pace». Scopo comune: «Estinguere le fiamme della guerra e sconfiggere gli agenti del terrore e del conflitto».

Un anno è certamente poco per tracciare un bilancio definitivo ma i semi che vengono sparsi stanno contribuendo a scrivere pagine nuove, finora inesplorate. Testimonianze in tal senso arrivano da Tripoli del Libano (dove il mufti Malek a-Shaar collabora attivamente con la Chiesa locale e i francescani nel costruire percorsi d’incontro, conoscenza reciproca e dialogo, e dove è stata intitolata, per ricordare l’incontro tra il santo e il sultano, una via cittadina a san Francesco d’Assisi) e da Aleppo, Siria, dove il mufti Mahmoud Akkam (che vive sotto scorta per le minacce ricevute dai jihadisti musulmani) sostiene, insieme al vicario apostolico di Alep, monsignor Georges Abou Khazen, un progetto comune di assistenza ai bambini orfani di guerra. Insomma, l’insegnamento del Papa sull’islam e il Documento sulla fratellanza umana stanno rafforzando tutti coloro che credono nel dialogo, ma anche le immense schiere di musulmani che si sentono offesi dal discredito che il terrorismo che si dice islamico ha gettato sulla loro fede. Il cammino aperto ad Abu Dhabi riafferma con forza che cristianesimo e islam non sono religioni in guerra, ma condividono i valori della fede in Dio e della dignità umana. Di più: credono nella stessa missione comune al servizio dell’umanità. E condividono la stessa responsabilità di chiamarsi fratelli davanti a Dio e agli uomini.

di Giuseppe Caffulli