Durante l’emergenza coronavirus

Se la speculazione attacca l’Africa

Men load sacks of rice among other food aid in a truck, to be distributed for those affected by ...
04 maggio 2020

In queste settimane le agenzie di rating, nel silenzio più assoluto della stampa internazionale, hanno declassato le economie dei mercati emergenti, molti dei quali africani, nel corso della pandemia del coronavirus. Si tratta di un fenomeno, con un impatto fortemente speculativo, sia per quanto concerne l’aumento del costo dei prestiti, come anche in riferimento all’indebolimento dell’offerta di capitale da parte degli investitori stranieri.

Sta di fatto che sono dieci i paesi africani che hanno subito il declassamento dall’inizio della pandemia: Angola, Botswana, Camerun, Capo Verde, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Nigeria, Sudafrica, Mauritius e Zambia. Queste decisioni si basano fondamentalmente sulle previsioni riguardanti la debolezza dei sistemi fiscali e sanitari dei rispettivi paesi. Come ha pertinentemente osservato il professor Misheck Mutize, docente di economia finanziaria all’Università di Città del Capo, «le decisioni di downgrade riflettono un tempismo negativo monumentale. Direi anche che, nella maggior parte dei casi, erano prematuri e ingiustificati».

Per certi versi si sta riproponendo quanto avvenuto nel passato, durante il cosiddetto meltdown finanziario della fine dello scorso decennio che ebbe un impatto devastante sull’economia reale di molti paesi del globo. A tale proposito è utile leggere il dettagliatissimo documento, di oltre 650 pagine, intitolato The financial crisis inquiry report redatto da una commissione bipartisan e pubblicato dal governo statunitense nel 2011, nel quale vengono evidenziate le gravi responsabilità delle agenzie di rating, prima e durante la grande crisi finanziaria del 2007-8. «La crisi non sarebbe potuta avvenire — scrissero gli estensori del rapporto — senza le dette agenzie. I loro rating, prima alle stelle e poi repentinamente abbassati, hanno mandato in tilt i mercati e le imprese». Com’è noto, con la parola anglosassone rating si intende la valutazione della solvibilità di titoli obbligazionari e imprese rispetto al rischio finanziario in cui incorrono nel contesto dei loro rispettivi paesi. Essi dunque vengono presi in considerazione dai mercati per giudicare lo stato di salute delle varie economie nazionali e, di conseguenza, per definire anche i tassi d’interesse sul debito pubblico. Nel passato, la Banca Centrale Europea (Bce) li usava addirittura per definire l’affidabilità delle obbligazioni pubbliche dei paesi membri dell’Unione europea (Ue) e per decidere se accettare o meno tali titoli in garanzia per operazioni di credito e di finanziamento. Si tratta di una procedura che per fortuna le autorità bancarie europee hanno deciso di non applicare a seguito del covid-19 per evitare che si acuissero i processi di speculazione sui paesi dell’Unione.

Poiché le agenzie di rating hanno un enorme potere di influenzare le aspettative del mercato e le decisioni di allocazione del portafoglio degli investitori, i declassamenti indotti dalla crisi del coronavirus minano i fondamentali macroeconomici dell’intero continente. Una volta avvenuto il declassamento, quasi fosse una sorta di oracolo di sventure, anche i paesi meglio equipaggiati, quelli che sarebbero in grado di superare la crisi, si trovano in sofferenza. Emblematico è il caso del Sud Africa. Per questo paese, che appartiene all’aggregato geoeconomico dei Brics, l’agenzia Moody’s ha rilevato un aumento del debito del 62,2 per cento rispetto al Pil, con una previsione fino al 91 per cento entro il 2023; inoltre ha giudicato la crescita inferiore all’1 per cento, prevedendo una recessione del -5,8 per cento entro il prossimo triennio. Il governo di Pretoria si augurava che il giudizio di Moody’s non fosse pubblicato così in anticipo, non solo per constatare il reale impatto del virus sul paese ma anche per avere il tempo di constatare l’effetto delle misure economiche adottate su scala nazionale. L’effetto del downgrade ha generato un effetto a catena per cui poco dopo l’altra agenzia di rating Fitch ha ulteriormente declassato i titoli di stato considerandoli junk, dunque “spazzatura”. Sempre Fitch ha tagliato il rating sovrano del Gabon a “CCC” da “B”. In questo caso il declassamento è dipeso dalla presunzione che i rischi per la capacità di rimborso del debito sovrano aumentassero a causa della pressione di liquidità dovuta al crollo dei prezzi del petrolio.

La Nigeria è stata declassata più o meno per le stesse ragioni da Standard and Poor’s (S&P) da “B” a “B-”. Il motivo sarebbe legato al fatto che il coronavirus avrebbe aumentato il rischio di shock finanziari derivanti dalla riduzione dei prezzi del petrolio e dalla recessione economica. Sempre la S&P ha declassato anche il Botswana, una delle economie più stabili del continente africano che precedentemente aveva un rating “A”. L’agenzia ha denunciato l’indebolimento delle entrate a causa di un calo della domanda di materie prime e della prevista decelerazione economica a causa di covid-19. Il declassamento del Botswana, curiosamente, è avvenuto quattro giorni dopo che fosse imposto il lockdown e prima che nel paese fosse ufficialmente dichiarato il primo caso di covid-19.

Questi downgrade, alla prova dei fatti, stanno sortendo un effetto molto negativo che acuisce a dismisura le sofferenze delle popolazioni contaminate dal covid-19. Anzitutto perché riducono il valore delle obbligazioni sovrane come garanzia nelle operazioni di finanziamento delle banche centrali e spingono i tassi di interesse in alto. Essendo i valori delle obbligazioni sovrane fortemente scontati, aumentano allo stesso tempo i costi delle rate di rimborso degli interessi, contribuendo in definitiva a un aumento del costo del debito. Questo scenario, naturalmente, sta penalizzando fortemente l’economia reale a livello continentale. Si ricordi che in più circostanze, sia il cartello del G8 come anche quello dei G20 hanno prodotto una copiosa letteratura, fatta di documenti e dichiarazioni, attraverso la quale si stigmatizza il comportamento delle agenzie di rating e si chiede una loro profonda riforma. Le agenzie di rating, è bene rammentarlo, sono entità economico-finanziare private, pesantemente segnate da un conflitto di interessi in quanto vantano partecipazioni azionarie importanti provenienti dalle più grandi banche e fondi di investimento e corporation internazionali. Non v’è dubbio, poi, che in tempi di crisi come quella attualmente in corso, le suddette agenzie dovrebbero posticipare la pubblicazione dei report, assicurandosi di poter disporre di tutte le informazioni necessarie per effettuare una valutazione equa dei loro profili di rating. Come suggerito dal professor Mutize e da altri osservatori africani, sarà compito dell’Unione africana (Ua) e dei paesi membri adottare dei meccanismi di sostegno ai governi del continente perché possano tutelare i loro mercati dalla speculazione finanziaria. Un’istanza legittima che per i credenti trova la sua risonanza nelle parole di Papa Francesco: «Le questioni sociali ed economiche non possono essere estranee al messaggio del Vangelo».

di Giulio Albanese