Scoperte, riscoperte e tutela a piazza del Pantheon

Roma restituisce altri gioielli

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06 maggio 2020

Nella città deserta, sospesa in un’atmosfera suggestiva e surreale, spuntano piccole porzioni della storia della Roma antica, quasi per ricordarci che l’Urbe, la metropoli eterna, non muore e, anzi, conserva un’infinita stratigrafia, che mantiene intatte tutte quante le stagioni di una storia incessante. È sorprendente che queste memorie riaffiorino proprio quando la città appare ferma, immobile, bloccata da un forzoso coprifuoco, che pare segnare la fine, l’explicit, l’estuario estremo dove sfociano le idee, i fatti, i gesti delle civiltà, che si sono alternate, sovrapposte, intersecate nei secoli, nelle ere, nello spazio, nel tempo. Le novità vengono da quella piazza del Pantheon, che oggi appare come uno spazio irrimediabilmente vuoto, quasi una piazza metafisica di Giorgio de Chirico, ma che, invece, rappresenta uno dei luoghi irrinunciabili di un turismo internazionale che, alla ricerca della Roma antica, si ferma anche per vivere un momento magico della “dolce vita”, ricreato dai bar storici stracolmi di clienti e dai negozi di souvenir.

Il fulcro della piazza è rappresentato dal celebre Pantheon, così come lo definì Plinio il Vecchio (Naturalis Historia XXXIV, 13),  romanizzando il termine greco πάνθεον ίερον (“tempio di tutti gli dei”). Il sontuoso monumento fu fondato nel 27 avanti Cristo da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, e ricostruito in età adrianea, tra il 120 e il 124 dopo Cristo, in seguito a due rovinosi incendi, che avevano distrutto l’edificio nell’80 e nel 110.

Il tempio è caratterizzato da un portico colonnato e timpanato, che introduce a una maestosa rotonda, sormontata da un corpo cupolato di tipologia emisferica e interamente costruita in calcestruzzo. La cupola, che presenta un oculo nello zenit per l’illuminazione, rappresenta, ancora ai nostri giorni, uno degli elementi architettonici circolari più grandi del mondo e propone una delle costruzioni, a un tempo, più ardite ed armoniose dell’antichità, fornendo un esempio emblematico dell’uso massiccio del calcestruzzo romano.

Il maestoso monumento di origine augustea si collocava al centro di un quadrante topografico della Roma del tempo assai prestigioso, nell’ambito del Campo Marzio. Il progetto e la realizzazione fu affidata a Lucio Cocceio Acuto, che fece situare il grande corpo di fabbrica tra i Saepta Iulia, la basilica di Nettuno e le terme dello stesso Agrippa, proprietario dell’area. La memoria del genero di Augusto rimane nell’iscrizione, che ancora si legge nella ricostruzione adrianea del tempio: Marcus Agrippa Lucii filius consul tertium fecit, riferendosi, appunto, al terzo consolato di Agrippa , che cade nel 27 avanti Cristo.

Del tempio augusteo, rispetto al rifacimento adrianeo, sono affiorati, già nel XIX secolo, i resti, che disegnano un ambiente rettangolare di 50 metri per 20, con una cella trasversale, assai simile nell’organizzazione architettonica al tempio della Concordia al Foro Romano, mentre i parati murari prevedevano grossi blocchi di travertino rivestiti da lastre di marmo.

I rinvenimenti di questi giorni comprendono una decina di lastre di travertino, che fungevano da pavimentazione dell’epoca di Adriano dinanzi alla Rotonda, come oggi ama definire il Pantheon il popolo romano. La scoperta, o come vedremo meglio, la riscoperta è seguita all’apertura di una voragine, che ha subito allertato la Soprintendenza speciale di Roma, archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero dei Beni e delle attività culturali e per il turismo.

A circa tre metri dell’attuale pavimentazione della piazza, si sono rinvenute le lastre, già rintracciate negli anni Novanta, a seguito di lavorazioni, che furono dettagliatamente documentate, tanto è vero che, come ha potuto sottolineare la soprintendente Speciale di Roma, Daniela Porro, i materiali, allora protetti da uno strato di pozzolana, sono riemersi assolutamente intatti. Il fenomeno rappresenta un esempio assai eloquente della professionalità dei funzionari della Soprintendenza. L’interazione dei documenti di archivio e delle operazioni archeologiche dimostra che una nuova stagione si è aperta per l’Archeologia Urbana, che spesso è coinvolta, nel momento in cui si aprono cantieri di emergenza. Eppure questi interventi, seppure limitati nel tempo e nello spazio, ci regalano tasselli importanti della Roma antica e stratificata, disegnando le fasi topografiche della città, osservata nel suo divenire, nelle modificazioni funzionali, nella riorganizzazione degli assetti urbani.

I lavori della Soprintendenza, in questo senso, rappresentano occasioni strategiche per indagare le fasi di una città, che è cresciuta su se stessa e che gli scavi archeologici, anche di emergenza, raccontano, con strutture e materiali, da calare nel tempo e nella storia dell’Urbe.

Dobbiamo poi sottolineare anche la cura con cui questi resti sono conservati, affinché chi li rintraccerà in futuro potrà metterli in dialogo con le nuove emergenze. Sembra importante, insomma, valorizzare il lavoro complesso e sempre urgente dei funzionari delle Soprintendenze della città, per le continue notizie che ci forniscono, nella prospettiva di collocarle nella “carta archeologica” della metropoli, guardata nei secoli, nella storia, nell’ordito monumentale delle stagioni di una città sempre in vita, che ha lasciato tracce più o meno eloquenti, delle sue diverse stagioni. Auguriamo, dunque, a Marta Baumgarten, archeologa della Soprintendenza, responsabile dell’area di scavo, un buon proseguimento delle indagini, che potrebbero farci avere un’idea più nitida dell’estensione della pavimentazione, che dovrebbe svilupparsi, verso settentrione, sino al Mausoleo di Augusto.

di Fabrizio Bisconti