Il più antico documento di etica medica di derivazione non ippocratica

Ritratto del dottore ideale

Medico al lavoro in un trattato del XIV secolo
12 maggio 2020

La storia della medicina ci ha lasciato diversi testi che tracciano il profilo umano e professionale del medico, a partire dal giuramento di Ippocrate e quindi in epoca posteriore alla variante cristianizzata di questo celebre scritto. Intorno al v secolo dopo Cristo è tuttavia possibile trovare per la prima volta un documento che appare svincolato dalla tradizione ippocratica e nel quale si traccia a tutto tondo il profilo del medico ideale. Nei manoscritti viene rubricato come una lettera di Arsenio, forse il padre del deserto egiziano, a un certo Nepoziano, ma evidentemente si tratta di una intestazione fittizia, che nulla toglie all’originalità di quella che si presenta come una singolare riflessione sull’arte medica.

Il testo si può dividere idealmente in quattro sequenze. Nella prima l’autore si sofferma sulle qualità individuali del medico. Che deve essere «sobrio, modesto, dialogante, gradevole, intelligente» ma più di tutto umile, perché l’umiltà, riconoscendo i limiti della persona e anche del suo sapere, rappresenta un prerequisito necessario per sostenere e alimentare la «volontà di imparare».

Nel secondo tratto del documento, lo sguardo è rivolto alle qualità sociali e relazionali che il medico deve coltivare e a come costruire il suo rapporto con gli altri. Innanzitutto viene messa in evidenza la sua dirittura morale. La sapienza infatti che egli ha acquisito si deve tradurre in comportamenti irreprensibili in modo da fare onore all’arte medica di cui egli in qualche modo si presenta come il sacerdote: «La medicina — scrive in un passaggio rivelatore di questa dimensione sacrale — non deve essere disdegnata ma invocata».

Nel terzo segmento l’anonimo autore riflette sulla luce di speranza che deve portare al malato e alla casa del malato. Non si tratta di un gesto gratuito quanto di un comportamento dettato dalla consapevolezza dell’efficacia delle cure che si stanno adottando. Scrive infatti che «in accordo con gli arcani insegnamenti che devono essere perseguiti nell’arte medica, il medico deve essere gioioso perché è uno che viene tranquillamente in aiuto». L’ultima parte dell’istruzione riguarda la tecnica medica, ovvero la conoscenza dei segni delle malattie e delle varietà delle erbe medicinali, che ne fanno un professionista della salute, un operarius sanitatis, che operando nel modo più opportuno, «libera dallo stato di bisogno».

Qui di seguito fornisco il testo tradotto per la prima volta integralmente in italiano a partire dall’edizione Hirschfeld, Archiv für Geschichte der Medizin, 20/4 (1928): «In primo luogo occorre saggiare il carattere per vedere se sia gentile e di indole buona, se sia accorto e incline nell’apprendere, sobrio, modesto, dialogante, gradevole, coscienzioso, intelligente, attento, affabile, in ogni singolo caso capace e abile. La nostra arte richiede infatti che egli sia amabile, umile e benevolo. L’umiltà infatti è disposta sempre a imparare, sempre ad accogliere, non va mai oltre e non offende nessuno. La buona volontà ristabilisce la dolcezza, ispira la sagacia, conserva la memoria nel cuore, l’amore nell’anima, la disponibilità ad obbedire, la sapienza ispirata al timore, alla diligenza e al rispetto, perché chi non ama e non teme non sarà capace e sicuro nell’operare».

Il medico — si legge anche — non deve essere «esitante o timido, aggressivo o orgoglioso, sdegnoso o lascivo, non deve essere loquace, venale, amante delle donne, ma buon consigliere, preparato e casto. Non deve essere né ubriacone né dissoluto né ingannatore né volgare né offensivo, né deve comportarsi in modo disdicevole (...). Poiché l’amore per la sapienza si rivela nei modi, egli si mostri irreprensibile perché è stato chiamato a un grande onore. La medicina non deve essere disdegnata ma invocata. Quanto più il medico ha degli onori, tanto più egli non deve cadere in fallo, ma deve possedere buon senso, riservatezza, pazienza, calma, eleganza, non essere vorace ma piuttosto deve sapersi limitare. Una delle virtù di quest’arte è lo zelo nell’acquisizione della sapienza, della pazienza e della mitezza. Il suo portamento deve essere lieto e ilare dal momento che come la lucerna illumina la casa e, allontanate le tenebre, permette agli uomini di vedere, così il medico lieto cambia le angustie e le tristezze in gioia, confortando tutte le membra del malato e ristorandone l’animo. In accordo con gli arcani insegnamenti che devono essere perseguiti nell’arte medica, deve essere gioioso perché è uno che viene tranquillamente in aiuto. Rianimando i corpi, ponendo un freno ai dolori, disseccando gli umori, prescrive una dieta, fa passare la febbre, riscalda le midolla, dà dei rimedi, ristabilisce le condizioni vitali. Conosce i segni della malattia e applica i farmaci benefici; è un conoscitore delle varietà delle erbe ed è un professionista della salute che prepara rimedi ragionevoli per ridare vigore».

di Lucio Coco