Colloquio con il vescovo di Gallup sulla situazione dei nativi americani colpiti dal coronavirus

Rafforzando lo spirito dei Navajo

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28 maggio 2020

Nella riserva statunitense degli indiani navajo è un momento critico per via del covid-19. Su oltre 173 mila abitanti si contano circa 4.800 contagi e 157 decessi secondo i dati pubblicati dal dipartimento salute della Navajo Nation. Questo territorio dell’America sudoccidentale situato tra Arizona, Utah e New Mexico ha il più alto tasso di contagi per abitante di tutti gli Stati Uniti. Una piaga che si abbatte su una popolazione povera e tra le più vulnerabili del Paese a causa della carenza di infrastrutture e di servizi sanitari minimi, di acqua corrente e di elettricità, fiaccata da problemi sociali e ambientali. Washington ha destinato nuovi fondi per l'emergenza dei nativi e degli indigeni. I vescovi americani hanno risposto con un plauso, auspicando che gli aiuti arrivino velocemente e che vengano coinvolti i leader delle tribù. In questa intervista rilasciata a «L’Osservatore Romano» il vescovo di Gallup, James Sean Wall, presidente della Sottocommissione per i rapporti con i nativi americani della Conferenza statunitense dei vescovi cattolici, fa un quadro della situazione.

Vescovo Wall, il covid-19 come sta colpendo la Navajo Nation?

Il covid-19 ha avuto un impatto devastante sulla Navajo Nation, la più grande riserva degli Stati Uniti. Ha anche uno dei più alti tassi di contagio. Questo per via della bassa qualità dell’assistenza sanitaria e della scarsa alimentazione per cui molti navajo stanno soffrendo di varie patologie come il diabete.

L’episcopato statunitense di recente ha chiesto l'intervento del governo per proteggere i nativi americani e le comunità indigene. Cosa è stato fatto finora e cosa si potrebbe ancora fare?

Nell’ottobre dello scorso anno la Conferenza episcopale degli Stati Uniti ha promosso un meeting di esperti sul tema della povertà fra i nativi americani che si è tenuto all’Università di Notre Dame. Durante l’incontro è stato sviluppato un piano di azione per mettere fine alla povertà, soprattutto nelle riserve in cui vivono queste persone. Sono stati indicati alcuni passi da compiere coinvolgendo il settore privato e il governo federale degli Stati Uniti. Il programma prevede un aumento del fondo statale (Cdfi) per le organizzazioni finanziarie che si occupano di sviluppo della comunità dei nativi. Queste istituzioni sviluppano modalità per assicurare investimenti e prestiti alle riserve indiane, anche se essi sono particolarmente problematici perché il terreno non può essere utilizzato come garanzia in quanto il governo federale ha il diritto di proprietà sul suolo. Il vertice antipovertà ha anche trovato una prova convincente per chiedere al governo federale di essere all’altezza delle proprie responsabilità derivanti dal trattato di Fort Laramie del 1868 e di sviluppare un sistema di voucher per finanziare le scuole cattoliche presenti nelle riserve.

Al di là dell’attuale emergenza sanitaria queste popolazioni devono affrontare varie difficoltà che rendono difficile il loro vivere quotidiano. Quali sono i loro bisogni?

Vi sono tre esigenze principali. Dal mio punto di vista il bisogno più importante è spirituale. La maggior parte dei nativi americani ha una profonda consapevolezza spirituale. La Chiesa cattolica ha una lunga storia tra loro, dal momento che siamo stati i primi a evangelizzare i popoli indigeni. Cerchiamo di rispondere in modo pastorale ai bisogni spirituali delle persone. All’origine di questa risposta c’è la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo. Un’altra esigenza è la necessità di un impiego. La riserva dei navajo aveva circa l’86 per cento di disoccupati già prima dell’emergenza di covid-19. L’ultima necessità è arrivare a un livello di istruzione di base adeguato. Sotto ogni punto di vista l’educazione pubblica nelle riserve non si avvicina agli standard di istruzione del resto del Paese. Le scuole cattoliche rappresentano una strada attraverso cui i nativi americani possono uscire dalla povertà, ma a causa delle restrizioni finanziarie gli istituti possono aiutare solo una piccola parte della popolazione.

Papa Francesco ha ricordato che ci sono tante altre pandemie che affliggono l’umanità: la fame, la guerra e l’analfabetismo minorile. In questo periodo la Chiesa americana come sta affrontando tali questioni e come protegge le minoranze?

Negli Stati Uniti la Chiesa cattolica è sempre stata una voce per chi non ha voce. Fin dal 1874, quando fu istituito l’Ufficio per le missioni indiane, la Chiesa cattolica ha lavorato per sviluppare percorsi finalizzati ad accrescere i bisogni spirituali, oltre che caritatevoli, dei nativi americani e di quelli dell’Alaska. Una delle parti più importanti della risposta offerta a queste esigenze è anzitutto l’ascolto della stessa leadership cattolica di queste popolazioni. Non è un “approccio dall’alto verso il basso”, piuttosto è una cooperazione. La leadership ha un ruolo importante nello sviluppo di percorsi di progresso sia per la fede che per la crescita economica.

Di cosa si occupa la Sottocommissione per i rapporti con i nativi americani che lei presiede e come realizza la sua missione cristiana?

La sottocommissione ha cinque obiettivi principali. Sta lavorando sui percorsi più adeguati di integrazione delle culture indigene all’interno della liturgia sacra. Siamo anche impegnati nella riconciliazione con le comunità dei nativi americani per quanto riguarda “l’epoca dei collegi”. In quel periodo i bambini furono prelevati con la forza dal governo federale e collocati in convitti, alcuni dei quali erano istituzioni cattoliche. Stiamo cercando di rendere più visibile il ministero dei nativi americani nella Chiesa cattolica. Stiamo lavorando per migliorare le vocazioni fra gli indigeni, e nei seminari per educare i futuri sacerdoti sul tema delle culture di queste persone. Infine, stimolati dallo sconcerto per la pandemia, ci stiamo impegnando per migliorare la nostra conoscenza riguardo le prestazioni sanitarie ai nativi americani, in modo da sostenere con la nostra voce la richiesta di riforma dell’assistenza medica.

La diocesi di Gallup che lei guida si trova nell’area della riserva Navajo. La Chiesa locale come promuove l’integrazione e il dialogo tra le culture nella vita quotidiana?

Cerchiamo di essere fedeli al comando che Nostro Signore ha dato alla Chiesa prima della sua ascensione alla destra del Padre: battezzare i discepoli, insegnare e sapere che Cristo è con noi fino alla fine dei tempi. Questo è il cuore della Chiesa missionaria, sapere che Cristo è venuto non per pochi, ma per tutte le persone.

In questo territorio ci sono varie scuole cattoliche. Che ruolo hanno nella costruzione del presente e del futuro dei ragazzi?

Abbiamo una storia lunga di educazione cattolica tra i nativi americani. Santa Katharine Mary Drexel fondò una comunità religiosa che diede assistenza a due fasce della popolazione americana tra le meno abbienti: gli afroamericani e i nativi. Lei e le consorelle hanno immaginato la propria presenza tra il popolo come una risposta caritatevole del Vangelo. Papa Francesco ci esorta a uscire verso le periferie. L’impegno a evangelizzare e catechizzare attraverso l’educazione cattolica è il modo con cui noi continuiamo il lavoro di santa Katharine, rispondendo così all’invito del nostro Santo Padre. Le scuole cattoliche sono fondamentali per l’eliminazione della povertà e per la presenza della fede nelle comunità dei nativi americani. La Sottocommissione per i rapporti con essi lavora a stretto contatto proprio con le organizzazioni scolastiche presenti nelle riserve, per mantenere la loro vitalità, la sensibilità culturale e per perseguire il successo accademico.

di Giordano Contu