A Buenos Aires i «curas villeros» chiedono misure sanitarie urgenti contro la pandemia

Più aiuto a chi vive ai margini

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02 maggio 2020

In Argentina circa il 70 per cento dei casi di covid-19 accertati sono stati riscontrati nella città di Buenos Aires e nel cordone urbano della provincia omonima, dove risiede più della metà degli abitanti del paese. Ma i settori sociali e sanitari più vulnerabili sono quelli delle villas de emergencia, le villas miseria di quest’area, soprattutto del cosiddetto conurbano bonaerense, ossia i municipi che circondano Buenos Aires. Per questo i curas villeros, i preti che da decenni assistono personalmente quanti vi risiedono, hanno preparato una dichiarazione dove chiedono misure sanitarie urgenti per le villas e gli altri insediamenti precari. Questi preti — che a suo tempo hanno ricevuto un’attenzione speciale da parte dell’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio — oggi possono contare su un vescovo ausiliare diocesano e un ministero pastorale in pieno sviluppo, dati gli elevati indici di povertà e di emarginazione dell’area.

Nella dichiarazione congiunta hanno affermato che la pandemia «ci porta necessariamente a riflettere sull’eventuale diffusione e circolazione locale del virus tra la popolazione delle villas e degli insediamenti precari, nei quali si sono diffusi anche la dengue e la tubercolosi». Hanno poi aggiunto: «Nei nostri quartieri la responsabilità dello Stato è ancora più grande in considerazione della violazione preesistente dei diritti sociali, che è evidente nelle omissioni relative alla disponibilità di posti nelle scuole, alloggi, alimenti, misure ambientali e naturalmente assistenza sanitaria. La scuola, l’alloggio e la salute sono ambiti molto deteriorati, gli spazi di promozione (tra i quali le arti e lo sport, per esempio) stanno diventando inaccessibili di fronte alla crisi economico-finanziaria, dove la disoccupazione e la sottoccupazione stanno aumentando, mentre la capacità di contenimento da parte dello Stato e della società civile sta notevolmente diminuendo».

Dinanzi all’urgenza della pandemia e all’imminente crescita di casi autoctoni che richiedono attenzione e presenza da parte del personale sanitario, i sacerdoti hanno espresso una preoccupazione che è estranea agli abitanti della classe media dei centri urbani. Hanno spiegato che «nei nostri quartieri le autoambulanze non entrano se non accompagnate dalle forze dell’ordine e i posti disponibili nelle scuole elementari e secondarie sono insufficienti. Gli incentivi da parte degli organismi statali a favore dell’istruzione secondaria sono anch’essi insufficienti. Il sistema sanitario si limita all’assistenza di base. Attualmente a questa ingiustizia sociale radicata, che evidenzia una violazione preesistente dei diritti, si aggiungono, in molti quartieri, l’epidemia di dengue dovuta alla mancanza di misure preventive durante l’inverno da parte dello Stato, e l’eventuale diffusione e circolazione locale di un virus altamente contagioso e dalla forte comorbilità».

In Argentina sono state consigliate misure di prevenzione in sintonia con quelle raccomandate dall’Organizzazione mondiale della sanità. Fra esse c’è quella relativa all’igiene e al costante lavaggio delle mani. A tale riguardo i curas villeros hanno detto che «molte delle misure preventive consigliate dalle autorità sanitarie in materia di dengue (non accumulare acqua, per esempio) o in materia di covid-19 (lavarsi le mani varie volte al giorno con acqua e sapone, usare gel a base alcolica, pulire superfici di contatto frequente con acqua e candeggina, stare in isolamento per quattordici giorni in caso di presenza di sintomi, tra le altre cose) sono di impossibile o di difficile attuazione in quartieri dove esiste una grave carenza di acqua potabile, di qualità dell’acqua, e dove molte persone vivono nei vicoli dei quartieri privati dei beni più elementari (adolescenti e giovani che fanno uso di paco, per esempio) e che hanno accesso al cibo solo nelle mense comunitarie».

C’è, sottolineano ancora, «una responsabilità comunitaria, e della stessa Chiesa cristiana, che noi portiamo avanti promuovendo e articolando azioni. Ma la responsabilità statale non può ridursi né sentirsi esentata dal lavoro di tanti abitanti delle villas e degli insediamenti precari che si prodigano per i più sofferenti».

Di fronte a questa situazione, infine, hanno fatto un esplicito appello affinché «si adottino misure specifiche per villas e insediamenti precari, volte a poter ottemperare alle misure sanitarie preventive, stabilendo le condizioni abitative necessarie e fornendo le risorse materiali indispensabili per la sanità, l’igiene, l’acqua potabile e l’alimentazione alla popolazione, soprattutto alle mense comunitarie, che non possono smettere di fornire la loro assistenza ad adulti e bambini».

In questo documento pubblico, i firmatari — il presbitero José María “Pepe” Di Paola, il presbitero Lorenzo “Toto” De Vedia, il presbitero Carlos “Charly” Olivero, il fratello salesiano Mario Daniel “Coco” Romanín, suor Cecilia Lee, suor Yolanda Galka, suor Marta Pelloni, María Elena Acosta, Ángela García Elorrio, Gustavo Barreiro, il dottor Alberto Palacio e il dottor Gustavo Daniel Moreno — concludono dicendo di essere consapevoli che «le circostanze attuali dell’emergenza sanitaria nei nostri quartieri (provocata da covid-19 e dengue) vanno ben oltre le nostre forze; per questo occorre dare la priorità alla ricerca di accordi e di proposte di soluzioni, per la qual cosa suggeriamo l’immediata istituzione di tavoli di lavoro e di comitati di crisi in ogni giurisdizione del paese, con la partecipazione degli abitanti stessi, che consentano di concordare e mettere in atto misure efficaci nei nostri quartieri».

di Marcelo Figueroa