Sperimentare il teatro in una Rsa

Oltre lo sguardo

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25 maggio 2020

Stiamo attraversando un tempo strano. Una pandemia che ci ha portato a limitare, se non quasi annullare, la relazionalità mediante il corpo.

Stiamo iniziando la fase 2 che ci porterà lentamente a tornare ad una parvenza di ordinarietà. Alcune attività però dovranno ancora aspettare.

Io sono un attore, e, tra le varie cose, mi occupo di teatro sociale, chiamato anche teatro di comunità o educativo. Si realizza quando viene utilizzata l’arte teatrale come strumento di formazione ed emancipazione delle persone, si svolge in diversi contesti: con i minori, con gli anziani, con i detenuti, con gli ex tossicodipendenti, con i migranti, con i portatori di disabilità e con tutte le categorie di persone considerate fragili all’interno della società.

Uno dei contesti nei quali lavoro è all’interno della casa di riposo femminile Mater Amabilis della Società Cooperativa Sociale Auxilium, attraverso l’associazione La Ribalta – Centro Studi Enrico Maria Salerno. Da marzo abbiamo dovuto sospendere il nostro lavoro. E, conseguentemente, la messa in scena dello spettacolo previsto a giugno è stato rimandato a data da destinarsi. Quando iniziai questo percorso ero preoccupato perché non sapevo se sarei stato all’altezza e se loro avrebbero riposto fiducia nel seguire ciò che io proponevo.

Donne che ne hanno viste tante, che portano con sé il valore di una vita lunga e intensa, ricca di esperienze, che si ritrovano a fare cose mai fatte finora: recitare. Esporsi davanti agli altri quando magari non sono mai state troppo abituate a farlo, anzi, spesso invitate a mettersi da parte il più possibile. Durante la loro giovinezza era abitudine riservare questo atteggiamento nei confronti delle donne.

Ed è così che ho conosciuto Amelia, Rita, Nicoletta, Bibiana, Floria, Maria, Eufrosine, Olesia e tutte le altre.

Ho capito che pretendere di avere un programma mio da poter imporre su di loro non poteva certo essere una via percorribile. È necessario che tutto nasca da una relazione. Certo, io porto loro degli spunti su cui lavorare e cerco di dare una forma ai contributi che provengono da loro, ma occorre che la creatività nasca da un rapporto.

A Natale abbiamo fatto uno spettacolo che raccontava la loro femminilità, ognuna ha espresso un po’ di se stessa, a seconda delle proprie caratteristiche. E sono uscite fuori abilità insospettabili, sconosciute sia agli operatori della Rsa che ai parenti. Queste signore, ottantenni e novantenni, avevano ancora la possibilità di sorprendere: le loro vite avevano ancora qualcosa di nuovo da dire.

Lo spettacolo poi è un momento importante perché è un modo per dare voce a chi solitamente si ritrova sempre sullo sfondo.

Olesia, 97 anni, si ricorda moltissime poesie e dice che raccontarle la fa sentire bene: «Non saprei dire bene perché. Non lo so, io so solo che mi fa piacere raccontare quello che so. E quando facciamo lo spettacolo sono contenta».

Floria, 92 anni, quando era giovane cantava e ballava nelle sale «Duravo anche tutta la notte, ero proprio un’appassionata», spronata a farlo ci regala ancora bellissime canzoni attraverso una voce melodiosa, nonostante a suo dire di voce oramai non ne ha più. Nessuno sapeva di questa sua dote.

A me ha fatto conoscere la canzone Addormentarmi così cantata per la prima volta da Lidia Martorana e poi interpretata anche da Luciano Tajoli, Teddy Reno, Adriano Celentano, Mina, Gigliola Cinquetti. Canzone bellissima e molto intensa. Ogni volta che Floria la intona è sempre un’emozione per chi la ascolta, ed è stato emozionante anche per chi ha assistito allo spettacolo.

Molto divertente il siparietto che Floria intrattiene con me ogni volta che le chiedo di cantare (così è stato anche la sera dello spettacolo). Lei fa sempre un po’ la ritrosa, fa la timida dicendo che non può cantare perché «Sennò prendo le stecche. Non c’ho più la voce». E allora coinvolgo gli altri nel mostrarle quanto noi tutti desideriamo sentirla cantare e, così, catalizzata l’attenzione su di lei, si esibisce in quello che le dà ancora così tanta gioia.

«Ora di anni ne ho parecchiucci, il laboratorio di teatro mi fa essere su di morale perché posso cantare. Io canto volentieri. Mi fa ricordare di quando ero giovane, di quando cantavo e ballavo tutta la notte nelle sale da ballo. Per un momento mi fa essere allegra, mi tira su e fa andare via la triste malinconia che accompagna noi anziani. Io ho ballato e cantato e nella mia vita non ho rimorsi, sono stata felice».

Imparo tante cose quando vado a “fargli fare teatro” ed esco sempre molto più di buon umore rispetto a quando sono entrato, eppure sono andato in una casa di riposo. Chi penserebbe mai che possa essere un luogo di incontro fecondo e fonte di gioia?

Vorrei prossimamente farvi conoscere anche le altre signore, perché la vecchiaia non è un momento della propria esistenza da tenere nascosto. È un elemento che arricchisce e dona profondità. Tante volte mi è sembrato di scorgere cosa sia la giovinezza in uno volto attempato, uno sguardo stanco ma vigoroso. Uno sguardo penetrante, volente o nolente, che contiene in sé l’essere giovani, l’essere adulti, e l’essere anziani. Uno sguardo che ti permette davvero di vedere l’oltre.

di Simone Bobini