
Recenti successi editoriali mostrano come la cultura laica, anche quella distante da interessi religiosi, è sempre più attratta dall’esperienza del monachesimo cristiano occidentale, ritenendolo uno dei principali artefici dell’identità europea.
Si avverte la necessità di una attenta riflessione su quell’esperienza, che conobbe una grande fioritura soprattutto in età medievale, per cercare di disvelare le radici della nostra cultura e la fonte dei valori, la cui riaffermazione può contribuire a rafforzare le basi per la costruzione dell’Europa come entità politica e sociale.
Un ruolo significativo nella secolare e travagliata vicenda storica del nostro continente ebbero in generale gli ordini religiosi, a partire naturalmente dal monachesimo benedettino. Nel vi secolo, intorno al 529, Benedetto da Norcia fondò il monastero di Montecassino, nel quale uomini di ogni ceto sociale e culturale erano chiamati a cercare la perfezione cristiana attraverso una rigida ascesi e la vita comunitaria, disciplinata da una equilibrata Regola, il cui fulcro era sintetizzato nel motto «Ora et labora».
Si trattò di un evento davvero rivoluzionario che consentì al monachesimo benedettino di diffondersi in tutta Europa con i suoi insediamenti, i suoi amanuensi, le sue biblioteche, le sue proprietà fondiarie, realizzando così la trasmissione della cultura dell’antichità all’occidente cristiano e promuovendo con le aziende agricole annesse ai suoi monasteri la bonifica di vasti territori.
Più tardi, nel XIII secolo, la nascita dei cosiddetti ordini mendicanti, che, a differenza di quelli monastici, non praticavano la stabilitas loci, ma si muovevano da città a città per predicare il Vangelo ed esortare i fedeli ad ispirare la propria vita ai principi evangelici, introdusse nuove forme di vita religiosa, imperniate sulla pratica di una rigorosa povertà evangelica, sull’umiltà, sulla penitenza, sull’impegno nel mondo attraverso la predicazione.
Il fenomeno della nascita e diffusione degli ordini mendicanti è legato, tra l’altro, al processo storico della rinascita delle città e della nascita dei liberi Comuni a partire dal secolo undicesimo. I Mendicanti, gli ordini cosiddetti “regolari”, perché governati da una “Regola”, soddisfecero un bisogno di assistenza spirituale, di cura animarum, avvertito dalla crescente popolazione urbana, al quale evidentemente il clero secolare, i parroci, non erano in grado di sopperire del tutto.
Nel 1210 Francesco d’Assisi ed i suoi primi confratelli ottennero da Papa Innocenzo III il riconoscimento della forma di vita religiosa da essi scelta. Questi fratres minores si proponevano la diffusione dei valori profondi della morale evangelica, l’amore per Dio e l’amore fra gli uomini.
Nel 1216 Papa Onorio III approvò l’ordine dei domenicani che si dedicò soprattutto alla predicazione ed alla difesa della fede cristiana. Più tardi, nei secoli XVI e XVII e nell’ambito della Riforma cattolica, nuovi ordini religiosi accentuarono questa proiezione verso la società secolare, in cui svolsero un ruolo capitale per la diffusione dell’istruzione superiore (è il caso della Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola nel 1534) e popolare (è il caso degli scolopi, fondati da Giuseppe Calasanzio nel 1617), e per l’assistenza delle classi povere duramente colpite dalla crisi provocata dalla depressione economica, dagli sconvolgimenti bellici e dalle pestilenze che tormentarono specialmente il secolo XVII. A tale proposito l’attività soprattutto dei Fatebenefratelli, fondati nel 1540, e dei camilliani, nati nel 1584, si rivelò molto significativa.
La spinta alla diffusione del messaggio cristiano comportò peraltro anche l’interesse dei gesuiti e di altri ordini religiosi alle missioni in Cina, Giappone e nell’Estremo Oriente.
Per ragioni politiche, sociali ed economiche, e nell’ambito di ampi processi di secolarizzazione intervenuti nei Paesi cattolici europei del XVIII e XIX secolo, gli ordini religiosi furono colpiti da leggi di soppressione che comportarono l’acquisizione da parte dello Stato dei loro beni. Nonostante ciò, le comunità monastiche e conventuali riuscirono a sopravvivere ed infine riottennero il riconoscimento civile, come avvenne in Italia con i Patti Lateranensi del 1929.
Oggi, nonostante la forte crisi delle vocazioni, le comunità religiose certamente continuano a costituire un “lievito” fecondo nella vita della Chiesa, ma sono anche guardiani di valori che l’Europa contemporanea deve custodire.
Si tratta di valori insieme spirituali, storici e culturali, che caratterizzano il vecchio continente e, tra questi, figurano anche quelli ispirati al cristianesimo. L’Europa, infatti, prima di essere un concetto geografico, è soprattutto un’entità culturale che si è evoluta nel corso di millenni di storia ed è contrassegnata da caratteri ben specifici. E sono proprio queste radici storiche e culturali, tra cui rientra anche il cristianesimo, a rendere più salda l’identità e la memoria. Solo chi ha un’identità e una memoria ben forti e consolidate può accogliere l’altro e dialogare con lui.
Come è noto, sia san Giovanni Paolo II che Benedetto XVI auspicarono vivamente l’inserzione nel testo della Costituzione europea, entrata in vigore il 1° dicembre 2009, di un riferimento alle “radici cristiane” dell’Europa accanto a quello riguardante l’eredità greco-romana. Entrambi questi riferimenti non furono accolti e nel preambolo della Costituzione, frutto di un serrato dialogo, sono menzionate le eredità culturali, religiose ed umanistiche dell’Europa. Il tenore dell’articolo 51 del testo costituzionale, che evoca il riconoscimento dei diritti delle Chiese e il «dialogo strutturale fra le istituzioni europee e le Chiese», conferma lo spirito “laico” che, per volontà della maggioranza dei Paesi europei, si è voluto conferire alla Costituzione europea, rinunciando a riconoscere gli elementi qualificanti del patrimonio storico e culturale dell’Europa.
Un grande filosofo laico Benedetto Croce scrisse un breve saggio dal titolo Perché non possiamo non dirci “cristiani”. La Chiesa cattolica circoscrive lo spazio dell’Europa occidentale almeno dalla riforma gregoriana dell’xi secolo fino alla Riforma del XVI secolo. Ed oggi si tende, abusando della parola identità, a risagomare il passato sotto quella insegna.
È evidente, quindi, che l’identità non può essere avulsa dal sistema di valori che essa racchiude, e che tali valori sono largamente diffusi e condivisi dalle popolazioni.
Certamente l’asserzione delle radici cristiane fa riferimento ad un patrimonio del passato, individuato tra i tanti principi entrati nelle carte costituzionali degli Stati europei, come i diritti fondamentali, l’esercizio delle libertà, il rispetto della dignità delle persone, la parità di genere, ma costituisce anche un orizzonte capace di allargare il perimetro dei valori oltre la formula astratta, affrontando le nuove sfide cui i flussi migratori hanno dato luogo nel vecchio continente. È un’arena di confronto, dove quel patrimonio medievale tornerà molto utile per agganciare il futuro dell’Europa alle radici cristiane.
di Michele Di Bari