Il ruolo degli ordini religiosi nella costruzione dell’Europa

Lievito fecondo

Innocenzo III e san francesco.jpg
29 maggio 2020

Recenti successi editoriali mostrano come la cultura laica, anche quella distante  da interessi religiosi, è sempre più  attratta dall’esperienza del monachesimo cristiano occidentale, ritenendolo uno dei principali artefici dell’identità europea.

Si avverte la necessità di una attenta  riflessione su quell’esperienza, che conobbe una grande fioritura soprattutto in età medievale, per cercare di disvelare le radici della nostra cultura e la fonte dei valori, la cui riaffermazione può contribuire a rafforzare le  basi per la costruzione dell’Europa come  entità politica e sociale.

Un ruolo significativo nella secolare e travagliata vicenda storica del nostro continente ebbero in generale gli ordini religiosi, a partire naturalmente dal monachesimo benedettino.  Nel vi secolo, intorno al 529,  Benedetto da Norcia fondò il monastero di Montecassino, nel quale uomini di ogni ceto sociale e culturale erano chiamati a cercare la perfezione cristiana  attraverso una rigida ascesi e  la vita  comunitaria, disciplinata da una equilibrata  Regola,  il cui fulcro  era  sintetizzato nel motto «Ora et  labora».

Si trattò di un evento davvero rivoluzionario che consentì al monachesimo benedettino di diffondersi  in tutta Europa con i suoi  insediamenti, i suoi amanuensi, le sue biblioteche, le sue proprietà fondiarie, realizzando così la  trasmissione della cultura dell’antichità all’occidente cristiano  e promuovendo con le aziende agricole annesse ai suoi monasteri  la bonifica di vasti territori.

Più tardi, nel XIII secolo, la nascita dei cosiddetti ordini mendicanti, che, a differenza di quelli monastici,  non praticavano la  stabilitas  loci, ma si muovevano  da  città a città per predicare il Vangelo  ed esortare i fedeli  ad ispirare la propria vita ai principi evangelici,  introdusse nuove forme di vita religiosa, imperniate sulla pratica di una rigorosa povertà evangelica, sull’umiltà, sulla penitenza,  sull’impegno nel mondo attraverso la predicazione.

Il fenomeno della nascita e diffusione degli ordini mendicanti è legato, tra l’altro, al processo storico della rinascita delle città e della nascita dei liberi Comuni a partire dal secolo undicesimo. I Mendicanti, gli ordini cosiddetti “regolari”, perché governati da una “Regola”, soddisfecero un bisogno di assistenza spirituale, di cura animarum, avvertito dalla crescente popolazione urbana, al quale evidentemente il clero secolare, i parroci, non erano in grado di sopperire del tutto.

Nel 1210  Francesco d’Assisi ed i suoi primi confratelli ottennero da  Papa Innocenzo III  il riconoscimento della forma di vita religiosa da essi scelta. Questi  fratres  minores si proponevano la diffusione dei valori profondi della morale evangelica, l’amore per Dio e l’amore fra gli uomini.

Nel 1216  Papa Onorio III approvò  l’ordine dei domenicani che si  dedicò  soprattutto alla predicazione ed alla  difesa della fede cristiana. Più tardi,  nei secoli XVI e XVII  e  nell’ambito della Riforma cattolica, nuovi ordini religiosi accentuarono questa proiezione verso la società secolare,  in cui  svolsero un ruolo capitale  per la diffusione  dell’istruzione  superiore (è il caso della Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola nel 1534) e popolare (è il caso degli scolopi, fondati  da Giuseppe  Calasanzio  nel 1617), e per l’assistenza delle classi povere  duramente  colpite dalla crisi provocata dalla depressione economica, dagli sconvolgimenti bellici  e  dalle pestilenze che tormentarono specialmente il secolo XVII. A tale proposito l’attività soprattutto dei Fatebenefratelli, fondati nel 1540, e dei camilliani, nati nel 1584, si rivelò molto significativa. 

La spinta alla diffusione del messaggio cristiano comportò peraltro anche l’interesse  dei gesuiti e di altri ordini religiosi alle missioni in Cina, Giappone e nell’Estremo Oriente. 

Per ragioni politiche, sociali ed economiche, e nell’ambito di ampi processi di secolarizzazione intervenuti nei Paesi cattolici europei del XVIII e XIX secolo, gli ordini religiosi furono colpiti da leggi di soppressione che comportarono l’acquisizione da parte dello Stato dei loro beni.  Nonostante ciò, le comunità monastiche e conventuali riuscirono a sopravvivere ed infine riottennero il riconoscimento civile, come avvenne in Italia con i Patti Lateranensi del 1929.

Oggi, nonostante la forte crisi delle vocazioni, le comunità religiose certamente  continuano a costituire  un “lievito” fecondo nella vita della  Chiesa, ma  sono anche guardiani di valori che l’Europa contemporanea deve custodire.

Si tratta di valori insieme spirituali, storici e culturali, che caratterizzano il vecchio continente  e, tra questi, figurano anche quelli ispirati  al cristianesimo. L’Europa, infatti, prima di essere un concetto geografico, è  soprattutto  un’entità culturale che si è evoluta nel corso di millenni di storia  ed è contrassegnata da caratteri ben specifici. E sono  proprio queste  radici storiche e culturali,  tra cui rientra  anche il cristianesimo, a rendere più salda l’identità e la memoria. Solo chi ha un’identità e una memoria ben forti e consolidate può accogliere l’altro e dialogare con lui.

Come è noto,  sia san Giovanni Paolo II che Benedetto XVI auspicarono vivamente l’inserzione nel testo della Costituzione europea, entrata in vigore il 1° dicembre 2009, di un riferimento alle “radici cristiane” dell’Europa accanto a quello riguardante l’eredità greco-romana. Entrambi questi riferimenti non furono  accolti  e nel preambolo della Costituzione, frutto di un serrato dialogo, sono menzionate le eredità culturali, religiose ed umanistiche dell’Europa. Il tenore dell’articolo 51 del testo costituzionale, che evoca il riconoscimento dei diritti delle Chiese e il «dialogo strutturale fra le istituzioni europee e le Chiese», conferma lo spirito  “laico” che,  per volontà della maggioranza dei Paesi europei, si è voluto conferire alla Costituzione europea, rinunciando  a riconoscere  gli elementi qualificanti del patrimonio  storico e culturale  dell’Europa.

Un  grande filosofo laico Benedetto Croce scrisse un breve saggio dal titolo Perché non possiamo non dirci “cristiani”. La Chiesa cattolica circoscrive lo spazio dell’Europa occidentale almeno  dalla riforma gregoriana dell’xi secolo fino alla Riforma del XVI secolo. Ed oggi si tende, abusando della parola identità, a risagomare il passato sotto quella insegna.

È evidente, quindi, che l’identità non può essere avulsa dal sistema di  valori che essa racchiude, e che  tali valori sono largamente diffusi e condivisi dalle popolazioni.

Certamente l’asserzione delle radici cristiane fa riferimento ad un patrimonio del passato, individuato tra i tanti principi entrati nelle carte costituzionali degli Stati europei, come i diritti fondamentali, l’esercizio delle libertà, il rispetto della dignità delle persone, la parità di genere, ma costituisce  anche un orizzonte capace di allargare il perimetro dei valori oltre la  formula astratta, affrontando le nuove sfide  cui i flussi migratori hanno dato luogo nel vecchio continente. È un’arena di confronto, dove quel patrimonio medievale tornerà molto utile per agganciare il futuro dell’Europa  alle radici cristiane.

di Michele Di Bari