Lavoro e filiera alimentare

Le sfide per l’agricoltura in tempo di pandemia

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16 maggio 2020

In questo periodo di pandemia tutto sembra essersi fermato, fuorché la natura che continua il suo inarrestabile corso. Con essa, anche i terreni rivelano una capacità produttiva importante, che per il 2020 è addirittura aumentata rispetto agli anni precedenti.

Il capo economista della Fao, Maximo Torero, ha infatti evidenziato, in un articolo recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista «Nature», che si è avuto un raddoppiamento della scorta mondiale di mais rispetto ai siccitosi anni 2007-2008, quando le carenze alimentari nei Paesi esportatori condussero ad una crisi alimentare globale. Allo stesso modo, egli ha sottolineato come siano aumentate dell’80 per cento e del 40 per cento circa le scorte di riso e di semi di soia.

Tuttavia, la fertilità dei terreni non aiuterà ad evitare la carenza di cibo se non sarà consentito ai braccianti e ai lavoratori stagionali di operare in sicurezza per garantire il cibo sulle nostre tavole. Si tratta di un problema generale, che accomuna paesi europei come la Francia, la Germania, la Spagna e l’Italia, con nazioni di altri continenti, come gli Stati Uniti, il Canada e l’Australia: molti fanno affidamento su braccianti stranieri, che rimangono i soli disposti a queste umili e faticose mansioni.

Se da un lato, alcuni paesi dell’Est Europa, come Romania, Polonia e Bulgaria, stanno concludendo accordi con Stati, come Germania, Francia e Spagna, al fine di assicurare la manodopera necessaria per far fronte alla raccolta, dall’altro lato numerosi braccianti provenienti dal Nord Africa o dall’America latina e dai Caraibi non potranno varcare i confini nazionali per raggiungere i territori contigui.

Il covid-19 ha, infatti, imposto maggiori restrizioni alla libertà di circolazione delle persone, da cui è dipesa la sospensione, da parte di alcune ambasciate, dei visti di breve durata per lavoro stagionale.

Si teme che i lavoratori stranieri possano propagare la malattia e per questo viene impedito il loro accesso, mentre la coltivazione si guasta nelle campagne.

Plurime conseguenze sono state innescate dal coronavirus, che può dirsi effettivamente come una malattia globale per la prima volta nella storia dell’umanità, considerato il grande numero di paesi coinvolti nei cinque continenti.

Prima fra tutte, la Fao rileva come le catene globali di approvvigionamento alimentare stiano vacillando di fronte all’impossibilità di garantire il trasporto di merci e, in particolar modo, di prodotti deperibili dal luogo di produzione a quello di consumo effettivo. Le navi cariche di cereali, frutta e verdura fresche attraccano in ritardo e i loro equipaggi non possono sbarcare in tempo; non riescono a raggiungere tempestivamente i mercati all’ingrosso e i consumatori finali, causando uno spreco di cibo sempre maggiore e l’impoverimento della qualità delle diete alimentari.

Lo si vede, ad esempio, in contesti come l’India, in cui gli agricoltori alimentano le mucche con le fragole perché non possono trasportare la frutta ai mercati delle città; negli Stati Uniti e in Canada, in cui gli allevatori hanno dovuto sversare il latte per il medesimo motivo o in Perú, dove i produttori sono costretti a svuotare tonnellate di cacao bianco in discarica perché i luoghi di ristorazione che normalmente comprerebbero sono chiusi. Nel continente africano, invece, la perdita di cibo si registra in tutte le fasi: dalla produzione, allo stoccaggio e al trasporto, a causa di infrastrutture e tecnologie carenti, oltre alla mancanza di risorse.

Allo stesso modo, la paura e l’ansia generale causata dalla pandemia, spinge i consumatori finali in numerosi Stati a comprare quanto più possibile, senza tener conto delle effettive necessità, lasciando molto spesso guastare il cibo nei frigoriferi di casa: non per niente, la Fao ha recentemente denunciato che il più grande spreco avviene durante la distribuzione e nell’ultimo anello della catena di approvvigionamento, quello dell’utente finale.

Elementi, questi, che erano già stati denunciati dal Santo Padre nel messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione del 2019, in cui Egli affermava: «È crudele, ingiusto e paradossale che, al giorno d’oggi, ci sia cibo per tutti e, tuttavia, non tutti possano accedervi; o che vi siano regioni del mondo in cui il cibo viene sprecato, si butta via, si consuma in eccesso o viene destinato ad altri scopi che non sono alimentari». Ed aveva rincalzato, nel messaggio inviato all’apertura della seconda sessione ordinaria del Comitato esecutivo del Pam del 2019: «Lo spreco alimentare lede la vita di tanti individui e impedisce il progresso di popoli».

Altro ambito di forte ripercussione della presente pandemia è rappresentato dal mondo del lavoro, di cui si è discusso molto in questo periodo. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) a riguardo riferisce che i lavoratori agricoli sperimentano il più alto tasso di povertà lavorativa, considerato che un quarto di essi si trova in uno stato di povertà estrema. Pur avendo un ruolo importante nelle economie nazionali, perché forniscono il collegamento con le strutture globali della produzione e del commercio agricolo e alimentano, di fatto, il mondo intero, molti braccianti e le loro famiglie soffrono di povertà e insicurezza alimentare.

La Chiesa, dal canto suo, ha più volte richiamato l’attenzione su tale tema. Basti pensare al recente monito del Pontefice, che nell’udienza generale del 6 maggio scorso aveva fatto riferimento al dramma di tanti braccianti che operano nelle campagne italiane: «Purtroppo, tante volte vengono duramente sfruttati. È vero che c’è crisi per tutti, ma la dignità delle persone va sempre rispettata. Perciò accolgo l’appello di questi lavoratori e di tutti i lavoratori sfruttati e invito a fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e la dignità del lavoro».

Ed enfatizzava, nella lettera inviata a suo nome dal sostituto alla Segreteria di Stato vaticana, l’Arcivescovo Peña Parra, al segretario generale di Fai-Cisl, Onofrio Rota: «È certamente condivisibile la necessità di venire incontro a quanti, privati di dignità, avvertono in modo più acuto le conseguenze di un’integrazione non realizzata, venendo ora maggiormente esposti ai pericoli della pandemia. È dunque auspicabile che le loro situazioni escano dal sommerso e vengano regolarizzate, affinché siano riconosciuti ad ogni lavoratore diritti e doveri, sia contrastata l’illegalità e siano prevenute la piaga del caporalato e l’insorgere di conflitti tra persone disagiate».

Un appello recentemente richiamato da alcune Conferenze episcopali. Tra queste, i responsabili della pastorale per i migranti della Conferenza episcopale degli Stati Uniti hanno chiesto, per mezzo di un messaggio riportato nei giorni scorsi da questa testata, che: «Tutti gli alloggi e i trasporti siano conformi alle attuali linee guida dell’organismo federale della sanità. […] Che la diffusione di informazioni per una corretta igiene della salute sia facilmente accessibile in più lingue e infografiche per i lavoratori analfabeti. […] Che venga onorata la dignità del lavoro dei braccianti e assicurato che venga loro versato uno stipendio sufficiente per coprire i rispettivi bisogni offrendo più particolarmente in questo momento la possibilità di ottenere aiuti per proteggere la loro salute e la loro sicurezza, così come quella delle loro famiglie».

Allo stesso modo, la Conferenza episcopale italiana, nelle parole del suo presidente, il cardinale Bassetti, ha sostenuto: «Chiediamo a chi ha il compito di promuovere il bene comune di non dimenticare queste persone, questi nostri fratelli e sorelle, e di indicare le vie per una loro regolarizzazione, non solo di quelli che possono esserci “utili”, ma di tutti coloro che sono nel nostro Paese, come premessa indispensabile alla tutela della salute di tutti e al ripristino della legalità».

Si tratta di moniti che non devono lasciarci indifferenti, anzi, iniziative concrete, come quella della diocesi e del comune di San Severo in Puglia in favore dei braccianti dei ghetti della Capitanata nel foggiano o come il recente dl Rilancio del governo italiano, che vanno nella direzione di togliere le persone da una condizione di irregolarità e sfruttamento, scoraggiando il caporalato.

In ogni caso, molto resta ancora da fare affinché le richieste di tutela dei diritti della persona si concretizzino universalmente in una salvaguardia della dignità del lavoro per quanti, mai come in questo periodo, svolgono un ruolo essenziale per la collettività, pur in assenza di adeguate protezioni.

Giova, in questo senso, sottolineare che ovunque le riforme legislative devono considerare la centralità di ogni persona, che necessita di essere messa al centro di ogni riflessione e dibattito politico. Solo tutelando la legalità di ogni rapporto lavorativo si potrà meglio garantire il bene integrale della persona, che si manifesta nel riconoscimento dei diritti e dei doveri che sono propri del lavoratore e che consentono un suo positivo inserimento nella società.

A questo riguardo, riaffiorano alla mente le parole di Papa Benedetto XVI, nell’omelia alla celebrazione eucaristica che Egli tenne per i lavoratori nella solennità di San Giuseppe del 2006, in cui affermava: «Il lavoro riveste primaria importanza per la realizzazione dell’uomo e per lo sviluppo della società, e per questo occorre che esso sia sempre organizzato e svolto nel pieno rispetto dell’umana dignità e al servizio del bene comune».

In presenza di tutte queste emergenze, un unico approccio a livello internazionale può preservare il flusso di cibo e tamponare l’evidente grave crisi economica e sociale collegata alla pandemia: quello della cooperazione internazionale. Come ricordava il dottor Torero nell’articolo che si citava in apertura: «[Posizioni contrarie alla globalizzazione] ignorano quante nazioni, anche ricche, dipendono l’una dall’altra per ingredienti di base, pesticidi, fertilizzanti, alimenti per animali, personale ed esperienza. Quello che accadrà dopo la pandemia dipenderà dal fatto che le nazioni resistano alle pressioni isolazioniste».

Il Santo Padre Francesco lo ebbe a ricordare nell’udienza generale del 22 aprile 2020, dedicata alla giornata della Terra: «La tragica pandemia di coronavirus ci sta dimostrando che soltanto insieme e facendoci carico dei più fragili possiamo vincere le sfide globali».

Una di queste grandi sfide è certamente quella di tornare ad infondere la dovuta attenzione sul settore primario: primario e fondamentale nell’assicurarci il nostro stesso stile di vita sano, ma troppo spesso ultimo e negletto nei complessi sistemi dell’economia globale, dimentica della terra e dei suoi lavoratori.

di Fernando Chica Arellano