La voce e i gesti di Papa Francesco

Il Papa in piazza San Pietro il 27 marzo 2020
11 maggio 2020

«Una preghiera per i nostri fratelli cinesi che soffrono questa malattia così crudele. Che trovino la strada della guarigione il più presto possibile»: è il 12 febbraio — in pratica un mese prima che l’Oms proclami lo stato di pandemia da covid-19 — quando Papa Francesco, al termine dell’udienza generale, fa sue l’angoscia e la sofferenza delle popolazioni coinvolte dai primi focolai del contagio, allora apparentemente confinato nella lontana regione asiatica. Due settimane dopo, il 26, sempre al termine dell’incontro settimanale del mercoledì con i fedeli di tutto il mondo, il Pontefice esprime «nuovamente vicinanza ai malati del coronavirus e agli operatori sanitari che li curano, come pure alle autorità civili e a tutti coloro che si stanno impegnando per assistere i pazienti».

Nei giorni successivi, con il precipitare della situazione soprattutto in Italia, anche l’agenda papale viene inevitabilmente modificata dalle misure anti-contagio. L’Angelus di domenica 8 si tiene dalla Biblioteca del Palazzo apostolico, non dalla finestra, e viene trasmesso in diretta streaming sugli schermi in piazza San Pietro. «È un po’ strana questa preghiera dell’Angelus di oggi, con il Papa “ingabbiato” nella biblioteca, ma io vi vedo, vi sono vicino» esordisce Francesco all’appuntamento di mezzogiorno nella seconda domenica di Quaresima; per poi tornare sul tema al termine della preghiera, dicendosi «vicino alle persone che soffrono per l’attuale epidemia». E la modalità di trasmissione in streaming viene scelta anche per la messa del mattino a Casa Santa Marta, senza più fedeli. Da allora quotidianamente, domeniche comprese, il vescovo di Roma offre la celebrazione per una particolare categoria di persone vittime della malattia o impegnate a contrastarla. Ammalati, medici, infermieri, farmacisti, volontari, vigili del fuoco, forze dell’ordine, giornalisti: ogni giorno un’intenzione — ormai una sessantina — fino a quella odierna, per chi ha perso l’occupazione o lavora in nero. E così avviene negli unici due appuntamenti “ordinari” rimasti settimanalmente: le recite domenicali dell’Angelus (e poi del Regina Caeli) e le udienze generali del mercoledì. Sempre un pensiero, un’orazione.

Martedì 10, il vescovo di Roma si rivolge con un videomessaggio alla sua diocesi, in occasione della messa, in assenza di fedeli, celebrata dal cardinale vicario Angelo De Donatis presso il santuario romano della Madonna del Divino Amore per la Giornata di preghiera e di digiuno.

Significativo è l’Angelus del 15 marzo, in cui Francesco esprime la propria preoccupazione per la regione italiana più colpita, la Lombardia, dove però vescovi e preti non si arrendono: «Vorrei ringraziare anche — dice — la creatività dei sacerdoti. Tante notizie mi arrivano dalla Lombardia su questa creatività... Sacerdoti che pensano mille modi di essere vicino al popolo, perché il popolo non si senta abbandonato...; che hanno capito bene che in tempi di pandemia non si deve fare il “don Abbondio”». E dopo aver recitato la preghiera mariana torna sull’argomento, raccomandando la comunione spirituale: «Siamo invitati a riscoprire e approfondire il valore della comunione che unisce tutti i membri della Chiesa. Uniti a Cristo non siamo mai soli, ma formiamo un unico Corpo, di cui Lui è il Capo. È un’unione che si alimenta con la preghiera, e anche con la comunione spirituale all’Eucaristia, una pratica molto raccomandata quando non è possibile ricevere il Sacramento». Poi nel pomeriggio si reca a sorpresa in due luoghi simbolici di Roma: la basilica di Santa Maria Maggiore e la chiesa di San Marcello al Corso — dov’è custodito il miracoloso crocifisso che salvò la città dalla peste — per invocare la fine della pandemia.

Giovedì 19 marzo, il Papa si unisce al rosario serale dei vescovi italiani per il Paese. E in un videomessaggio spiega: «In questa situazione inedita, in cui tutto sembra vacillare, aiutiamoci a restare saldi in ciò che conta davvero. È un’indicazione di cammino che ritrovo in tante lettere dei vostri Pastori che, nel condividere un momento così drammatico, cercano di sostenere con la loro parola la vostra speranza e la vostra fede». Nello stesso giorno la Penitenzieria apostolica, ex auctoritate Summi Pontificis, concede una serie di indulgenze legate al particolare periodo dell’emergenza.

E se domenica 22 il Papa rilancia quello che sembra un vero e proprio slogan programmatico — «Alla pandemia del virus vogliamo rispondere con l’universalità della preghiera, della compassione, della tenerezza» — mercoledì 25, a mezzogiorno, festa dell’Annunciazione, Francesco invita i capi delle Chiese e di altre confessioni cristiane a unirsi a lui nella recita di un Padre Nostro ecumenico.

La sera di venerdì 27, in una piazza San Pietro vuota e bagnata dalla pioggia, Papa Bergoglio scrive una delle pagine più belle del suo pontificato. Il momento di preghiera sul sagrato della basilica si articola tra ascolto della Parola di Dio, preghiera e adorazione del Santissimo Sacramento, con il quale al termine imparte la benedizione Urbi et orbi, a cui viene annessa la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria. Anche le parole dell’omelia sono di quelle destinate a rimanere nella storia: «Da settimane — scandisce tra l’altro Francesco in uno dei passaggi più toccanti — sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa».

Il 29 marzo, il Pontefice aderisce all’appello del Segretario Generale delle Nazioni Unite «per un “cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo”, richiamando l’attuale emergenza per il covid-19, che non conosce frontiere». Poi accenna a «tutte le persone che patiscono la vulnerabilità di essere costretti a vivere in gruppo: case di riposo, caserme». E in particolare fa riferimento ai detenuti, menzionando «un appunto ufficiale della Commissione dei Diritti Umani che parla del problema delle carceri sovraffollate».

Il 3 aprile, all’approssimarsi della Settimana Santa, il Papa invia un videomessaggio in segno di vicinanza alle famiglie italiane e del mondo: «Celebriamo in modo davvero insolito la Settimana Santa, che manifesta e riassume il messaggio del Vangelo, quello dell’amore di Dio senza limiti. E nel silenzio delle nostre città, risuonerà il Vangelo di Pasqua... È la speranza di un tempo migliore, in cui essere migliori noi, finalmente liberati dal male e da questa pandemia». Tutti i riti, aggiornati e adeguati al nuovo contesto, si tengono in Vaticano: nel Giovedì santo la messa del crisma non viene celebrata, a differenza di quella “nella Cena del Signore”, che però si svolge senza la tradizionale lavanda dei piedi; la Via crucis del venerdì — con le meditazioni scritte da detenuti padovani — non si tiene al Colosseo; nella veglia del Sabato santo non ci sono battesimi e l’Urbi et orbi del mattino di Pasqua viene impartita a una piazza vuota di gente. Ma il Papa continua a levare alta la propria invocazione ogni volta che ne ha l’occasione. E la domenica seguente, 19 aprile, esce dal Vaticano per celebrare la messa della Divina misericordia — nella festa istituita vent’anni prima da Giovanni Paolo II — nella vicina chiesa di Santo Spirito in Sassia. «La misericordia — dice all’omelia — non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente... Questa pandemia ci ricorda però che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Siamo tutti fragili, tutti uguali».

Verso la fine di aprile una nuova iniziativa: una lettera per invitare a dedicare «il mese di maggio, nel quale il popolo di Dio esprime con particolare intensità il suo amore e la sua devozione alla Vergine Maria», alla preghiera del «Rosario a casa, in famiglia. Una dimensione, quella domestica, che le restrizioni della pandemia ci hanno “costretto” a valorizzare, anche dal punto di vista spirituale» spiega.

Infine, e siamo ai giorni più recenti, domenica 3 maggio Francesco esorta la comunità internazionale a «mettere insieme le capacità scientifiche, in modo trasparente e disinteressato, per trovare vaccini e trattamenti e garantire l’accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano ad ogni persona contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie». E «poiché la preghiera è un valore universale», accoglie e rilancia «la proposta dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana affinché il prossimo 14 maggio i credenti di tutte le religioni si uniscano spiritualmente in una giornata di preghiera e digiuno e opere di carità, per implorare Dio di aiutare l’umanità a superare la pandemia».