PER LA CURA DELLA CASA COMUNE
Per un’impresa basata su una integralità eco-nomica

La quinta stagione

Residents of the Anjezika neighborhood help volunteers from the association Le Caméléon by ...
21 maggio 2020

«Casa comune e sviluppo locale oltre lo scarto» è il tema del web seminar che si tiene alle 18.30 di venerdì 22 maggio, organizzato dalla Pontifica università Antonianum e dall’Osservatorio per le Policy transdisciplinari internazionali, in sinergia con Laudato si’ Revolution e Gipc Ofm (per partecipare https://bit.ly/ospti). Pubblichiamo il testo dell’intervento di apertura di padre Giuseppe Buffon, ordinario di Storia della Chiesa e direttore del percorso professionale in Ecologia integrale dello stesso ateneo.

Il covid-19 ha come inaugurato una quinta stagione, che si profila differente da quelle a noi note. Essa è differente perché sembra averle messe tutte in stallo, costringendoci a una stasi invernale, che si prolunga, attraversando la primavera e correndo velocemente verso l’estate, con la previsione che possa giungere a superare lo stesso autunno, per ricongiungersi all’inverno. E poi non sappiamo ancora cosa potrà succedere. Si tratta di una stagione trasversale che è l’esito della stagione dell’impresa.

Proprio l’impresa, infatti, fin dal XIX secolo ha inaugurato una sua stagione, facendo diventare produttivo anche l’inverno, che fino a quel momento era una sorta di “non stagione”. La stagione del non lavoro, la stagione della stasi. La creazione di un luogo di lavoro artificiale, l’allestimento di un laboratorio ad uso dell’impresa, ha permesso di rendere produttivo anche l’inverno. Salvo poi a dover inventare una favola della gratuità per rispondere all’ossessione dell’efficienza. È Dickens che ce lo insegna, con A Christmas Carol («Canto di Natale»), non meno che la grande invenzione commerciale del Natale.

Proprio la pianificazione industriale, con l’incentivazione della monocultura, ha infranto gli equilibri degli ecosistemi, ha mandato in frantumi il tempo delle stagioni, producendo la crisi sanitaria che sperimentiamo.

È questa la quinta stagione di una natura malata, che ammala i corpi e costringe all’inverno anche quell’industria che aveva creduto di potersi creare una stagione a sé stante. Potrà mai l’impresa accettare il ritorno delle stagioni naturali? Potrà adeguarsi alle stagioni ritmate dall’armonia cosmica? Potrà ripensarsi dentro a un tempo stagionale?

In realtà, Gilles Clément, l’ideatore del terzo giardino (Manifesto del Terzo paesaggio, 2005, Quodlibet), pensa ad un ibrido. Non ritiene proponibile un ritorno alla natura pura, non un ritorno al deserto incontaminato, liberato dall’intrusione della mano umana. Egli pensa ad una specie di intreccio, dove l’essere umano, nella cornice della sua proposta tecnica, riconosce lo spazio alla natura e permette ad essa un suo sviluppo autonomo. «L’uomo-giardiniere le osserva, ne comprende i meccanismi e alla fine agisce nell’intento di favorire una sorta di incolto addomesticato». Non più un hortus conclusus, un giardino sigillato per la sola utilità del monaco contadino, ma un giardino aperto, senza palizzate, dove crescono erbe incolte, per la pura contemplazione della bellezza, senza l’ansia di utilitarismi.

È questo il giardino di Francesco d’Assisi, spazio ludico non protetto da diritti di proprietà, né da coartazioni funzionaliste. Ed è molto simile a quello di Clément: «È molto importante accettare di non controllare tutto, perché in questo modo si possono scoprire cose che non arriveremmo mai a comprendere da soli, cose che non avremmo mai potuto immaginare e che non saremmo mai stati capaci di inventare. Perché questi luoghi sono molto complessi, sono fatti di esseri viventi che si incontrano e realizzano situazioni nuove, imprevedibili».

A Parigi, Clément crea un giardino (Museo di Quai Branly) per l’incontro tra culture e religioni differenti. Un giardino che diventa ambiente educativo. Un giardino, biodiversità performativa, che educa al pluralismo sociale, all’asimmetria ospitale, dove le relazioni tra differenti intonano una vera armonia, una democrazia creativa, capace di innovazione sociale e imprenditoriale.

Ridare primato all’ambiente e non solo rassegnarsi a concedere attenzione alle sue esigenze. Non solo un ambiente tollerato e inserito a forza in una pianificazione imprenditoriale che si è scontrata con la pandemia. L’ambiente non deve essere una zavorra, la sostenibilità ambientale un peso di cui farsi carico, solo perché lo impone a forza l’attuale crisi sanitaria. L’ambiente deve diventare parte della pianificazione aziendale. Anzi l’ambiente deve diventare lo spazio educativo da cui ripartire per una riconfigurazione dell’impresa. Se davvero l’impresa intende rinnovarsi per rispondere a questa emergenza, occorre trovare nuove coordinate educative, nuovi canoni per sostenere una creatività che permetta il nuovo. E quale modello migliore dell’ambiente naturale, che in millenni di storia ha forgiato la casa dove l’essere umano è stato ospitato?

Le stesse neuroscienze, ad esempio, dicono che la nostra conoscenza deriva dall’esperienza motoria, che condividiamo con la specie animale. Le scimmie, infatti, sono state occasione, direi opportunità, anzi, oserei perfino dire, luogo educativo per quegli scienziati che hanno potuto pervenire alla scoperta dei neuroni specchio. Nella riconfigurazione dell’impresa del dopo pandemia, l’ambiente naturale non deve perciò essere considerato soltanto come centrale, bensì come vero luogo educativo, da cui ripartire per una nuova visione della realtà, dell’essere umano, delle sue relazioni e della sua stessa attività lavorativa.

L’impresa, per prima, dovrebbe porsi come meta quella di difendere il diritto all’ambiente, bene primario per l’essere umano. Se viene meno la salubrità dell’ambiente, come vediamo in questi giorni, nessun altro bene prodotto dall’industria umana può supplirla. Senza l’ambiente sano a salvaguardia della salute qualsiasi altro bene prodotto dall’uomo perde la sua utilità, il suo beneficio. L’integrazione ambiente-economia, dunque, è d’obbligo. Anzi, una visione integrale della realtà, una “economia integrale” è condizione imprescindibile per progettare un futuro davvero sostenibile. La quinta stagione dell’impresa dovrà essere costruita sulla base di una integralità eco-nomica, perché il pensare dell’ecologia e il fare dell’economia sono entrambi necessari per la costruzione della casa comune.

di Giuseppe Buffon