Come ha inciso nella personalità di Karol Wojtyła

La famiglia di un Papa santo

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14 maggio 2020

Nel suo «servizio al popolo di Dio, san Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia». Le parole di Francesco durante la canonizzazione di Karol Wojtyła e Angelo Roncalli, il 27 aprile di 6 anni fa, trovano oggi un significato particolare mentre ci avviciniamo al centenario della nascita del santo Papa polacco. Celebrare l’inizio della sua vita terrena, infatti, ci porta naturalmente a voler “incontrare” la sua famiglia, a cercare di scoprire quale sia stato il “segreto” dei suoi genitori, per i quali la settimana scorsa è stata avviata in Polonia la fase diocesana della causa di beatificazione. Anche solo leggendo i dati biografici essenziali della madre Emilia e del padre Karol, da cui prese il nome, si comprende quanto la loro testimonianza abbia inciso profondamente nella personalità del futuro Pontefice. Si può anzi affermare, senza dubbio, che alcuni pilastri del ministero sacerdotale e poi pastorale dell’arcivescovo di Cracovia prima e successivamente del vescovo di Roma siano stati gettati già nei primi anni della sua esistenza a Wadowice, piccolo centro all’estremo sud della Polonia, dove nacque il 18 maggio del 1920.

«Sulla tua bianca tomba sbocciano i fiori bianchi della vita. Oh quanti anni sono già spariti senza di te, quanti anni?». Queste parole struggenti dedicate alla madre, in una poesia scritta a Cracovia nella primavera del 1939, sottolineano il dramma che per il giovane Karol Wojtyła rappresentò la morte della mamma, avvenuta quando il futuro santo aveva solo 9 anni. Emilia, di salute molto cagionevole, aveva portato a termine la gravidanza tra mille difficoltà, nonostante i medici le avessero sconsigliato di proseguirla. Il suo fisico ne era uscito fortemente compromesso tanto che i 9 anni successivi al parto furono costellati da continui ricoveri in ospedale e un costante affievolimento delle forze fino alla morte.

L’appassionata difesa della vita umana, specie in condizioni di fragilità — uno dei tratti distintivi del ministero petrino di Wojtyła — trovava dunque una linfa inesauribile nell’amore materno. È naturale pensare che la figura, a lui particolarmente cara, di Gianna Berretta Molla, che beatificò nel 1995 e poi canonizzò nel 2004, gli ricordasse l’esempio della madre che, per difendere la vita di suo figlio, sacrificò la propria. Significativamente, i cittadini di Wadowice hanno dedicato a Emilia Kaczorowska Wojtyła un’opera in favore delle donne che, nonostante le difficoltà, custodiscono il frutto della loro maternità: la Casa della Madre Sola. «Sono grato — affermò Giovanni Paolo II, nella visita alla sua terra natale del giugno del 1999 — di questo grande dono del vostro amore per l’uomo e della vostra sollecitudine per la vita». «La mia gratitudine — proseguì — è tanto maggiore perché questa Casa è intitolata a mia madre Emilia. Credo che colei che mi mise al mondo e circondò d’amore la mia infanzia, avrà cura anche di questa opera».

Tre anni dopo la prematura scomparsa della madre, un altro lutto scuote la famiglia Wojtyła: la tragica morte, a soli 26 anni, di Edmund, l’amato fratello maggiore che Karol guardava con ammirazione. Una figura eccezionale che è stata ricordata in questo periodo contrassegnato dall’eroismo di tanti medici e infermieri che hanno messo a repentaglio la propria vita per curare i malati di coronavirus. Promettente medico, in servizio a Cracovia, Edmund perse infatti la vita nel 1932 per essersi preso cura di una giovane malata di scarlattina, morbo per il quale all’epoca non esisteva un vaccino. Il giovane medico sapeva a cosa poteva andare incontro, ma come il buon Samaritano non fece calcoli per sé ma badò solo a soccorrere il prossimo bisognoso. La sua morte, come raccontò molti anni più tardi, fu per il futuro Papa uno shock per le circostanze drammatiche in cui avvenne e anche perché aveva raggiunto un’età più matura rispetto a quando aveva perso la mamma. Per sempre rimase inciso nella memoria di Karol Wojtyła l’esempio di quel “martire del dovere” che fu suo fratello. Era stato Edmund a incoraggiarlo negli studi, a insegnargli a giocare a pallone e soprattutto a custodirlo, assieme al papà, dopo la morte della mamma.

A soli 12 anni, Karol si trova dunque solo con suo padre, un militare di carriera dell’esercito polacco. Un uomo buono e rigoroso, con una fede incrollabile nonostante le tante tragedie personali vissute, che «accompagnò» il suo unico figlio rimasto all’età adulta, al consolidamento della personalità insegnandogli, innanzitutto con la condotta della vita, alcuni principi come l’onestà, il patriottismo, l’amore alla Vergine Maria che diventeranno quasi un secondo Dna di Karol Wojtyła. Commuove il ritratto che, ormai divenuto vescovo di Roma, traccerà di suo padre in una conversazione con l’amico giornalista André Frossard. «Mio padre — confida Giovanni Paolo II — è stato ammirevole e quasi tutti i miei ricordi di infanzia e di adolescenza si riferiscono a lui». Il Papa sottolinea quindi che le tante sofferenze vissute invece di rinchiuderlo in se stesso avevano aperto in lui «immense profondità spirituali». «Il suo dolore — è il ricordo del futuro santo — si faceva preghiera. Il semplice fatto di vederlo inginocchiarsi ha avuto un’influenza decisiva sui miei giovani anni». Un’influenza anche sulla sua vocazione sacerdotale. Nel libro autobiografico Dono e Mistero, pubblicato significativamente nel cinquantesimo del suo sacerdozio, ricorda che con suo padre «non si parlava di vocazione al sacerdozio, ma il suo esempio fu per me in qualche modo il primo seminario, una sorta di seminario domestico». E nel libro-intervista Varcare la soglia della speranza rammenta che suo padre gli regalò un libro in cui c’era la preghiera allo Spirito Santo. «Mi disse di recitarla quotidianamente — confida a Vittorio Messori — così da quel giorno, cerco di fare. Allora compresi per la prima volta che cosa significhino le parole di Cristo alla samaritana sui veri adoratori di Dio, cioè su coloro che Lo adorano in spirito e verità».

Gli anni della maturità sono decisivi per il suo affidamento totale al Signore e alla Madre. Karol e suo padre vivono ormai a Cracovia, dove il giovane studia all’università, quando irrompe l’occupazione nazista. Le sofferenze della sua famiglia si intrecciano e si fondano con quelle della patria polacca diventando tutt’uno. A 21 anni il futuro Pontefice perde anche il padre, morto in una fredda notte d’inverno, il 18 febbraio 1941, forse il giorno più doloroso nella sua vita. Karol Wojtyła è solo al mondo. Eppure proprio grazie all’amore, all’esempio, all’insegnamento di quei «santi della porta accanto», come direbbe Francesco, che sono stati i suoi genitori e suo fratello sa che c’è una Speranza che nessuna malattia e neppure la morte può sopraffare. Nel lungo cammino della sua esistenza, nel suo peregrinare per il mondo annunciando il Vangelo, Karol Wojtyła ha sempre avuto con sé la sua famiglia. Come sua madre, ha difeso la vita con coraggio. Come suo fratello, si è speso per gli altri fino alla fine. Come suo padre, non ha avuto paura, perché ha aperto, anzi spalancato le porte a Cristo.

di Alessandro Gisotti