Un secolo fa la canonizzazione

La chiamavano Giovanna

Giovanna in una pittura conservata nel Centre Historique des Archives Nationales, Parigi
15 maggio 2020

«Tutti nel mio villaggio mi chiamavano Giovanna da quando sono nata». Così si presentò Giovanna d’Arco all’inizio degli interrogatori che la condussero, nel 1431, al termine di un lungo e tendenzioso processo, alla condanna a morte per eresia. Fu bruciata viva nella piazza del Vecchio Mercato di Rouen, in Normandia. Due sculture innalzate sul luogo dell’esecuzione esprimono il mistero della sua vita e della sua morte. Nella prima le fiamme di pietra sembrano elevare Giovanna verso il cielo; nella seconda, di bronzo, posta nell’interno della chiesa di Santa Giovanna d’Arco, il fuoco avvolge la ragazza come se, invece di provenire da fuori, in realtà venisse da dentro, promanasse dal suo stesso corpo. E certamente la luce che irradiò Giovanna nella sua vita veniva dal cielo e al tempo stesso brillava profondamente dentro di lei.

Quasi cinque secoli dopo la sua condanna Giovanna d’Arco fu canonizzata il 16 maggio del 1920 da Benedetto XV. In occasione di questo centenario cominciano a sorgere iniziative molto diverse per ricordare la sua storia e far conoscere la sua vita. È sorprendente l’attrattiva che questa ragazza e la sua vicenda hanno esercitato e tuttavia esercitano su moltissime persone di ambiti diversi, anche oltre le frontiere visibili della Chiesa.

Una delle fotografie forse più commoventi che abbiamo di Teresa di Lisieux è quella in cui appare vestita come la sua eroina francese del Medioevo, che ammirava moltissimo e su cui scrisse nel Carmelo due opere e varie poesie.

Charles Péguy, che nacque a Orleans, la città dove Giovanna fu protagonista di una delle vittorie più famose delle sue campagne militari, nutrì anch’egli verso di lei una profonda devozione. Le dedicò la sua prima opera teatrale, che andò completando durante la vita per pubblicarla infine col titolo: Il mistero della carità di Giovanna d’Arco. La sua storia è stata spesso rappresentata in teatro, all’opera e al cinema: per citare solo alcuni esempi, il celebre film di Dreyer La passione di Giovanna d’Arco del 1928; 20 anni più tardi, l’interpretazione insuperabile di Ingrid Bergman in Giovanna d’Arco di Victor Fleming; e di nuovo, qualche anno dopo, la stessa attrice nei panni dello stesso personaggio ma sotto la direzione di Roberto Rossellini.

In Spagna, José Luis Martín Descalzo, un sacerdote molto conosciuto, scrittore e giornalista, nel 1983 scrisse un’opera di teatro religioso sulla santità della piccola Giovanna, Il rogo felice, che è un gioiello di spiritualità. Attualmente si stanno preparando nuove messe in scena: ed è una cosa impressionante, un grande paradosso. La contadina di Domrémy, che non imparò mai a leggere né a scrivere, è stata oggetto di innumerevoli composizioni poetiche, musicali, rappresentazioni pittoriche, sculture, ricerche storiche, racconti biografici, saggi, studi teologici... Ma cosa c’è in questa donna, che morì a soli 19 anni su un rogo, a suscitare tanto interesse?

Questa figura del cristianesimo medievale è da un lato tremendamente lontana e distante dai nostri attuali modelli di santità. Soldato ed eroina del popolo francese, Giovanna è stata sottoposta costantemente a interpretazioni nazionalistiche, politiche e militari. Persino il motivo della sua canonizzazione fu interpretato da alcuni come una strategia politico-religiosa, dopo la Prima guerra mondiale, per ravvivare il sentimento patriottico dei francesi. In effetti l’iconografia la rappresenta generalmente vestita da soldato, bardata con l’armatura di ferro, i capelli corti e al vento, lo stendardo in mano... motivi che per altri versi giocarono un ruolo importante nella sua condanna, dato che il tema del suo abbigliamento e l’accusa di travestimento occuparono gran parte degli interrogatori.

Ma al di là di questi dati, la vita di Giovanna ha misteriosamente sprigionato una bellissima luce pasquale, suscitando un’attrattiva legata alla pienezza dell’umano che in lei si può intravedere. Quest’umanità realizzata è il segno della santità cristiana ed è propriamente ciò che la rende interessante per tutti.

In Giovanna vi era una convinzione assoluta della sua chiamata e della sua missione divina. Questa certezza della voce di Dio nella sua interiorità fu il suo scudo più potente, la forza di fronte a tutte le battaglie che affrontò nella sua breve esistenza, non solo quelle militari ma, ancora di più, la battaglia interiore per accettare la sua vocazione, abbandonare l’ambiente familiare, rinunciare alla sua piccola ma amata vita di filatrice e contadina nella bellissima regione della Lorena. La sua ferrea convinzione di agire in obbedienza alla voce di Dio rese possibile l’impossibile, in un’epoca come la sua: che una ragazzina riuscisse a farsi ascoltare e a ottenere credito di fronte alla Corte e al cospetto dello stesso Delfino di Francia. E che si ponesse a capo di un esercito di più di 1000 soldati stanchi e abbattuti fino al punto da rinfocolare gli animi e vincere le battaglie.

Giovanna rimase fedele a questa chiamata anche nell’insuccesso, nel tradimento e nell’abbandono da parte del suo debole re, fino a perdere la vita per la verità della sua chiamata, perché questa era in realtà la ragione per cui viveva: «la missione per cui sono nata», diceva lei.

A partire dai suoi 13 anni, Giovanna era accompagnata da quelle che lei chiamava “le voci”. Primo, san Michele Arcangelo — a cui si riferiva come al suo “consigliere” — seconda, Santa Margherita; terza, Santa Caterina d’Alessandria. Poi, le campane, annuncio della voce stessa di Dio.

Le voci sono il simbolo dello spazio interiore in cui Dio attende e parla segretamente al cuore di ogni uomo e di ogni donna, disvelando, con la sua Parola e la sua Presenza, la nostra verità più profonda. Queste voci personali, chiuse nel centro della persona, cantano, sussurrano, parlano e ci dicono che siamo abitati e salvati dal Mistero, «un Tu che ci fa». Allora l’esistenza si riconosce amata da sempre e sognata da Dio, in modo tale che il “mestiere di vivere” smette di essere uno sforzo, un progetto più o meno chiaro o il frutto di una genialità personale capace di arrivare a un risultato che solo alcuni fortunati raggiungono, per aprirsi invece a una missione che coincide con la vita stessa, senza che importi tanto il risultato, ma che include anche l’accettazione del fallimento, perché la missione è legata al rapporto, fiducioso e libero, con Colui che, sostenendo la vita, la ama incondizionatamente e la colma di senso nella comunione con Sé.

Questa convinzione pose Giovanna all’ombra della protezione di Dio. Ella apparteneva a Gesù e tutti lo sapevano. I rudi soldati con cui viveva al fronte, la povera gente di campagna che con profonda venerazione riconosceva in lei questa forza di Dio che si manifesta nella debolezza, la chiamavano la Pucelle, ovvero la Pulzella d’Orleans. Un nome che parla della purezza e del rispetto che comunicava la sua sola presenza. Giovanna d’Arco amava pazzamente Gesù, scrisse il suo Nome sulla bandiera bianca — come il suo cavallo, anch’esso bianco — che teneva alta durante le battaglie, e ripeté il nome di Gesù più di dieci volte mentre veniva consumata dalle fiamme. Il suo ultimo respiro fu un grido chiaro e forte, perché tutti potessero sentirla: Gesù!

Si conformò a Lui e accettò il suo destino di compassione, perdendo la vita perché gli oppressi, gli umili e i piccoli del suo tempo potessero godere un futuro di libertà e di pace. Essi la accompagnarono fino alla fine, erano la folla immensa che contemplava piangendo la sua esecuzione. Dicono gli atti del processo che una profonda pietà commuoveva tutti coloro che vi assistevano. Persino i cuori di pietra si spezzarono, e quegli stessi che avevano voluto il processo e la condanna, in quel giorno e nei giorni immediatamente seguenti sentirono un groppo di pentimento fino a versare lacrime. Avevano bruciato la verità.

E così, anche se tutti i suoi resti e le sue ceneri furono dispersi nella Senna per evitare qualunque devozione o esaltazione posteriore, le voci segrete di Giovanna risuonarono alte, come si odono da lontano le campane al tocco della messa, e molti compresero quella musica e la riconobbero. È la stessa melodia che risuona dentro di noi e ci chiama a offrire la vita per Gesù, senza riserve, perché questa è la missione per la quale anche noi siamo nati.

di Carolina Blázquez Casado
Priora del Monasterio de la Conversión, Sotillo de la Adrada (Ávila, Spagna)