Pete Seeger, cantore della speranza

La certezza dell’alba

Pete Seeger performs on stage during the Farm Aid 2013 concert at Saratoga Performing Arts Center in ...
02 maggio 2020

Chiusi nelle nostre case, in questa lunga quarantena, abbiamo tutti — chi più chi meno — sfogliato l’album dei nostri ricordi. Abbiamo riflettuto sulle nostre vite e sulle occasioni colte e perdute. Abbiamo ripensato al vissuto, e rimpianto il non vissuto. Raccontato storie che abbiamo attraversato e immaginato storie che non abbiamo passato. Abbiamo avuto paura della notte che attraversiamo, e siamo ritornati bambini.

È stato così che alcuni giorni fa, di fronte allo scoramento di una persona cara, mi è tornata in mente una canzone bella e struggente di quello che a ragione è considerato il padre di molti cantautori del nostro tempo.

Si chiamava Pete Seeger. Oggi avrebbe compiuto 101 anni. Ricordarlo è un modo per ringraziarlo di una vita spesa a tramandare canzoni che parlano di generosità in un mondo che si avvita nell’egoismo; e di speranza in un tempo disperatamente disilluso.

Ha cantato fino a pochi mesi dalla sua morte, sei anni fa. Ha cantato canzoni le cui origini si perdono nella storia. E che oggi, nel tempo smemorato che viviamo, si sono forse perse nel presente.

Ha messo in musica un brano del Qoelet: «C’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo». Aggiungendovi, di suo, solo il verso finale: «C’è un tempo per la pace; e non è troppo tardi. Ci scommetto». Ha cantato e fatto cantare intere generazioni. Fino alla sua ultima (forse) apparizione in pubblico quando (novantaquattrenne, quasi senza voce, e senza fiato) riuscì a dirigere un coro di decine di migliaia di persone, invitando tutti a intonare con lui Amazing Grace, un canto secolare di ringraziamento scritto da un ex capitano di navi che trasportavano schiavi: «Un tempo ero perduto, ma ora sono ritrovato. Ero cieco, ma ora ci vedo».

Sono tante le cose che si potrebbero dire di questo protagonista della musica folk americana: il legame con Woody Guthrie; nato negli anni Trenta del secolo scorso, gli anni che seguirono la grande depressione economica; i rapporti con Bob Dylan negli anni Sessanta; l’amicizia con Bruce Springsteen nell’autunno della sua vita, ricambiata da quest’ultimo nel 2006 con un intero album a lui dedicato e intitolato We Shall Overcome: The Seeger Sessions.

Si potrebbero ricordare decine di canzoni che hanno segnato un’epoca. Come quella in cui si interroga sul futuro della terra e del genere umano, My rainbow race.

I poeti spesso vedono più lontano. Vedono — come in questa canzone — tempi che non hanno ancora pienamente vissuto. «Alcune persone preferiscono fare come gli struzzi, seppellire la testa nella sabbia, sognare sogni di plastica (...) Vai e dillo ai bambini, dillo alle madri e dillo ai padri: questa è la nostra ultima possibilità per imparare a condividere quel che ci è stato dato».

A me, in questo tempo in cui sono i più vecchi che se ne vanno tutti insieme, di fronte allo smarrimento di tanti per il buio che non passa, è tornata in mente anche un’altra canzone di Pete Seeger. Si intitola Quite early morning. Fu composta nel 1969, ma Seeger la rispolverò novantenne trasformandola quasi nel testamento spirituale di chi, avvertendo il compiere dei suoi giorni, non perde la speranza, ma la ritrova; e sente l’urgenza di tramandare la certezza che sempre viene un’alba dopo la notte. È una ballata semplice. Che sembra parlarci oggi, del momento buio che il mondo sta vivendo. Per dirci di non aver paura, di avere fede, di rimanere saldi, perché possiamo e dobbiamo guardare oltre.

Ecco le sue parole, da leggere. E da riascoltare. Parole di un vecchio che se ne è andato sicuro che la notte sarebbe passata e che la vita non finiva lì. (p.r.)

«Quite Early Morning»


Don’t you know it’s darkest before the dawn?
And this thought keeps me moving on
If we could heed these early warnings
The time is now quite early morning
If we could heed these early warnings
The time is now quite early morning

Some say that humankind won’t long endure
But what makes them so doggone sure?
I know that you who hear my singing
Could make those freedom bells go ringing
I know that you who hear my singing
Could make those freedom bells go ringing

And so keep on while we live
Until we have no, no more to give
And when these fingers can strum no longer
Hand the old banjo to young ones stronger
And when these fingers can strum no longer
Hand the old banjo to young ones stronger

So though it’s darkest before the dawn
These thoughts keep us moving on
Through all this world of joy and sorrow
We still can have singing tomorrows
Through all this world of joy and sorrow
We still can have singing tomorrows
 

Non sai che è più buio prima dell’alba?
E che è questo pensiero che mi fa andare avanti?
Se potessimo solo cogliere questi primi segnali...
Il tempo è questo. Si sta facendo mattina
Se potessimo dare ascolto a questi primi segnali
Il tempo è ora. Si sta facendo mattina

Alcuni dicono che l’umanità non durerà più a lungo
Ma cosa è che li rende così maledettamente sicuri?
Io so che voi che mi sentite cantare
Potreste far suonare queste campane della libertà
So che voi che sentite il mio canto
Potreste far suonare le campane della libertà

E allora continuiamo finché siamo vivi
Fino a quando non avremo più niente, più niente da dare
E quando le dita non ce la faranno più a suonare
Passate il vecchio banjo ai giovani più forti
E quando queste dita non avranno più forza
Passate il vecchio banjo ai giovani più forti

Anche se è più buio proprio prima dell’alba
Questi pensieri ci fanno andare avanti
Anche in questo mondo di gioia e dolore
Possiamo ancora avere dei domani per cantare
attraverso tutto questo mondo di gioia e dolore
Possiamo ancora avere un domani da cantare