Storie di integrazione in «This is not cricket» di Jacopo De Bertoldi

L’unico futuro possibile

Fernando Cittadini e Shince Thomas in una scena del documentario
04 maggio 2020

È un esperimento narrativo di estrema efficacia This Is Not Cricket di Jacopo De Bertoldi. Un racconto di formazione girato nell’arco di 8 anni, riprendendo attimo per attimo la vita di due adolescenti, un italiano e un romano di origine indiana, entrambi appassionati dello stesso sport, legati dagli stessi sogni e dalle stesse aspirazioni, come spesso accade ai giovani.

Fernando, figlio di una colf siciliana nostalgica dell’Msi piena di pregiudizi e preclusioni, e Shince che ogni giorno si domanda quale immagine arrivi di sé a quella nuova patria adottiva che è Roma. Città da entrambi molto amata anche nei suoi limiti e difetti.

Il campo da cricket è il luogo che i ragazzi frequentano e dove nasce e cresce la loro amicizia ma è soprattutto il luogo-metafora dove l’incontro tra diversi (per origine, appartenenza sociale, religione) può caricarsi di significato altro. È l’idea, nemmeno tanto utopica, di un mondo e un futuro possibili.

Un tema delicato, affrontato con la grazia e la sensibilità di chi ha sempre avuto uno sguardo aperto sulle marginalità di etnie, popoli e culture. Non è un caso che questo docu-film o video-diario esca il 7 maggio sulla piattaforma Za-lab, ideata e creata da Andrea Segre, e neppure che sia stato prodotto dalla Mir cinematografica di Francesco Virga.

Da molti anni Andrea Segre, a volte in collaborazione con altri registi, sceglie di raccontare storie che da un lato documentano l’odissea di migranti che sbarcano in Europa per urgenze di varia natura, dall’altro segue l’integrazione di questi nel nuovo paese dove mettono radici.

In Come un uomo sulla terra aveva raccontato il lungo viaggio dall’Etiopia a Roma di Dag Ymer, che era studente universitario ad Addis Abeba, fuggito per ragioni politiche e approdato a Roma dove trova accoglienza, studia, cresce, e oggi è regista. C’è stato poi A Sud di Lampedusa che volutamente filmava solo il lungo viaggio dei migranti fino allo sbarco, chiudendo lì il racconto. Ne Io sono Li la faticosa e dolente storia di Li, arrivata dalla Cina che ha per unico scopo quello di far giungere in Italia il figlio e che, nella solitudine di una Chioggia lunare, troverà aiuto in un uomo da tutti chiamato “il poeta” che da trent’anni è in Italia, profugo dall’Est Europa.

Jacopo De Bertoldi, regista veneziano cresciuto professionalmente negli Stati Uniti, ha filmato This Is Not Cricket nel quartiere Esquilino, soprattutto a Piazza Vittorio, la piazza più autentica e multiculturale di Roma per raccontare l’Europa del futuro attraverso una «storia esemplare come unico futuro possibile».

Un insolito circolo di cricket, fa da sfondo a un’amicizia duratura, mostrando come basti davvero un’occasione apparentemente banale per annullare confini fisici e barriere psicologiche. Il cricket, nell’epoca post coloniale paradossalmente rappresenta il cordone ombelicale tra i giovani immigrati e i loro paesi d’origine. Il fil rouge che riporterà Schinte in India per fargli capire quanto ormai l’Italia fosse parte della sua esistenza. Perché la vera patria è, per ognuno, un luogo interno, quello delle radici di affetti e conoscenze che ognuno sceglie di avere, e non ha nulla a che vedere con nazionalismi retorici.

Con leggerezza Di Bertoldo racconta i controsensi del nostro tempo, le speranze e le delusioni della nuova generazione incredula di fronte agli stereotipi imposti da una società in cui spesso non si riconoscono.

La nazionale giovanile italiana di cricket nel 2009 ha vinto il campionato europeo, ma nessuno dei suoi atleti era italiano. Era sufficiente vivere in Italia da almeno 7 anni per poter entrare in squadra. La Federazione nazionale di questo sport già da qualche anno aveva modificato il regolamento riconoscendo per prima, parità di diritti ai suoi atleti.

di Giulia Alberico
e Flaminia Marinaro