Il 7 maggio di cent’anni fa moriva il più celebre illustratore di romanzi dell’età vittoriana

L’ultimo tocco di Hugh Thomson

Un’illustrazione per «Northanger Abbey» di Jane Austen
05 maggio 2020

Sin da giovanissimo aveva coltivato il sogno di diventare uno scrittore. Già tenere la penna in mano gli dava i brividi. Ma scoprì ben presto che non aveva talento sufficiente per affermarsi nell’empireo letterario. Tuttavia non si perse d’animo, e dalla penna passò al pennino e lo scenario cambiò. In questo campo, infatti, il talento era cristallino: ben presto sarebbe diventato il più famoso illustratore di opere dell’età vittoriana. Il 7 maggio di cent’anni fa moriva Hugh Thomson, irlandese, la cui superba mano vergò i disegni che andarono a impreziosire i romanzi, tra gli altri, di Jane Austen, George Eliot, Charles Dickens, William Tackeray.

Sapeva unire prolificità di produzione e qualità di esecuzione. Come annotò nel suo diario, le illustrazioni rappresentavano l’ultima tappa di un cammino che muoveva dallo studio attento dell’opera che andava leggendo. In quest’ottica Thomson sentiva di rispettare un principio etico perché l’illustrazione non doveva configurarsi come uno sfoggio di bravura avulso dal testo. Al contrario, essa doveva costituire un suggello espressivo dei temi contenuti in opere, la maggior parte delle quali, visti gli autori, erano per giunta capolavori. Frequentò la Belfast School of Art, ma per lo più fu autodidatta, passando intere giornate (comprese le veglie notturne) a riprodurre sulla carta, con l’ausilio dell’inseparabile matita, tutti i soggetti, animati e inanimati, che gli si offrivano alla vista. Nel 1883, «con il cuore in gola», come egli stesso evidenziò nel diario, si trasferì a Londra: nella piccola valigia erano stipati fogli, matite, pennini, colori, e tanti sogni. Thomson aveva una certosina cura per il dettaglio, valorizzato all’interno di un gioco di ombre e di luci mutuato dai grandi artisti, da Delacroix a Constable, da Ingres a Turner. E come i maestri, anche lui dedicò lunghe sessioni di lavoro all’esercizio di copiare i capolavori del passato: trascorse dunque proficue giornate al British Museum e al Victoria and Albert Museum. La svolta avvenne quando cominciò a collaborare per l’English Illustrated Magazine, fucina di eccelsi disegnatori. Quando cominciarono a circolare i suoi primi disegni, sia la critica che il pubblicò manifestarono un alto gradimento. In un articolo pubblicato, nel 1913, sul «Daily News» si elogiava la capacità di Thomson di catturare l’attenzione del lettore con disegni formati da pochi ma incisivi e illuminanti tratti. E quando la richiesta dell’acquisto, da parte del pubblico, dei romanzi di Dickens e della Austen s’intensificò, si pensò bene di stringere una proficua alleanza con la maestria di Thomson che con le sue illustrazioni avrebbe dato a quelle opere «il tocco finale»: espressione, questa, che all’epoca finì per diventare proverbiale. Tuttavia, al periodo di lavoro dinamico e redditizio seguì una fase critica, che coincise con la prima guerra mondiale. Allora le richieste per le sue illustrazioni subirono un netto calo: questa sventura andò a incidere sul suo stato di salute, già precario. Terminata la guerra, cercò di riannodare le fila della florida attività di un tempo. Ma il tentativo risultò vano: sarebbe infatti morto il 7 maggio 1920. Thomson usava dire di essere onorato di poter illustrare i capolavori di grandi scrittori e scrittrici, ma non mancava di aggiungere di essere anche intimorito, soprattutto quando si trattava di comporre disegni riguardo ai romanzi di Dickens. Le caratterizzazioni dei suoi personaggi, infatti, erano già esse stesse impeccabili disegni. Ogni volta dunque che Thomson metteva mano alla matita non solo aveva paura di non aggiungere nulla al “disegno” di Dickens, ma anche di togliergli qualcosa, violando così una perfezione che non ammetteva interferenze. Ma l’ultimo tocco di Hugh Thomson, in realtà, non fu mai indiscreto.

di Gabriele Nicolò