Sant’Agostino di Canterbury

L’apostolo dell’Inghilterra

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26 maggio 2020

Proveniva da Roma l’“apostolo dell’Inghilterra” e lo è diventato suo malgrado. Si chiamava Agostino ed era priore del monastero benedettino romano dedicato a Sant’Andrea, fondato da Gregorio Magno nella sua casa paterna sul Celio. Nel 596 Papa Gregorio pensò ad Agostino per rievangelizzare la Britannia, dove il cristianesimo portato dai missionari celti era stato soppiantato dall’idolatria e dai culti pagani dei nuovi conquistatori sassoni, angli, juti e frisoni nel v secolo.

Agostino e Gregorio si conoscevano da tempo e si erano formati insieme alla vita monastica. San Gregorio scelse trentanove monaci da affiancare ad Agostino e fornì loro lettere di presentazione per abati e vescovi franchi sul cui territorio dovevano passare. Agostino partì con la benedizione del Papa, giunto però nell’isola di Lérins davanti alla costa francese di Cannes, si spaventò dei racconti che si facevano riguardo alla crudeltà dei sassoni.

Terrorizzato, rientrò a Roma e chiese al Papa di essere sollevato dall’incarico, ma Gregorio non cambiò idea e lo riconfermò a capo della missione. Nel 597 Agostino arrivò sull’isola inglese di Thanet, accolto dal re del Kent, Etelberto, e dalla sua sposa Berta, della stirpe dei Merovingi. La regina, figlia del cristiano Cariberto I, re di Parigi, svolse un ruolo fondamentale nella diffusione del cristianesimo in Inghilterra e nel successo della missione di Agostino. Infatti, quando andò in sposa a Etelberto, aveva portato con sé un cappellano, il vescovo di Senlis, Liudhard. Grazie alla tolleranza del re, la piccola comunità cristiana aveva avuto il permesso di costruire a Canterbury, l’antica Durovernum, una chiesa dedicata a san Martino di Tours, patrono dei Merovingi.

La chiesa bretone accolse con generosità i missionari inviati da Roma e la loro opera fu così efficace che nella solennità di Pentecoste del 597 il re ricevette il battesimo. Il Natale successivo ben 10 mila persone furono pubblicamente battezzate. Gregorio Magno espresse la sua gioia per i successi in alcune lettere a Berta e al patriarca Eulogio di Alessandria. Incaricò Virgilio, vescovo di Arles, di conferire l’ordinazione episcopale ad Agostino, che fissò la sua cattedra nella chiesa di San Pietro in Canterbury. Nel 601 il Papa gli inviò il pallio arcivescovile e un ordinamento della nuova comunità cristiana, insieme a molte reliquie, codici e suppellettili liturgiche. Gregorio Magno ordinò anche l’erezione di dodici sedi episcopali suffraganee di Canterbury nei territori evangelizzati dai monaci.

Agostino ricevette l’ordinazione episcopale ad Arles o forse ad Autun. Era diventato arcivescovo metropolita e primate d’Inghilterra. Stabilì la sede a Canterbury, capitale del regno del Kent, e non a Londra, come aveva suggerito Gregorio, ed eresse solo due delle dodici sedi suffraganee: Londra e Rochester.

Nel 604 Agostino consacrò due suoi compagni della prima ora, Mellito vescovo di Londra e Giusto vescovo di Rochester. Nella sua opera evangelizzatrice, d’accordo con Gregorio Magno, cercò di salvare quante più tradizioni pagane possibili, cristianizzandole. Si impegnò anche moltissimo per fondere l’elemento celta o britanno con l’anglosassone. Nonostante le differenze si riducessero a cose secondarie, come il rito del battesimo, il ciclo pasquale e la forma della tonsura, egli non riuscì nel suo intento. Troppo il risentimento dei bretoni verso i nuovi conquistatori per potersi riunire in un’unica Chiesa.

Si creò così una situazione in Britannia molto particolare: gli ex invasori germanici erano ormai cristiani di rito romano, mentre i celti rimanevano fedeli alle loro tradizioni cristiane precedenti la missione di Agostino. Solo dopo il sinodo di Withby del 664 la Chiesa celtica avrebbe rinunziato alle sue tradizioni.

Agostino morì il 26 maggio del 604, lo stesso anno della morte del suo amico san Gregorio Magno. Aveva dato vita alla Chiesa anglosassone, alla quale aveva impresso la caratteristica monastica della regola benedettina, conservata fino a Enrico VIII. (nicola gori)