Per informare la popolazione sul covid-19

In Ciad tornano i “trovatori”

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11 maggio 2020

Per informare sui rischi della pandemia da covid-19 anche le popolazioni sperdute nelle aree rurali del Ciad, sono tornati i “trovatori” che vanno di villaggio in villaggio spiegando, nell’idioma locale, le regole per prevenire la trasmissione del virus. A differenza degli antichi menestrelli, questi sono armati di megafono, e si spostano nella aree più remote del Paese, viaggiando da una comunità all’altra su asini, cavalli o dromedari.

Il Ciad, situato nel cuore dell’Africa, è infatti un paese molto vasto ma poco popolato, oltre il 77 per cento della popolazione vive in zone rurali senza elettricità, tecnologia, cellulari e tanto meno internet. La radio è l’unico mezzo di diffusione ma le onde radio non coprono tutto il territorio e sono moltissime le famiglie che non posseggono un apparecchio. Per questo ci si affida ai trovatori, «essenziali — spiega la rappresentante delle Nazioni Unite per il Ciad, Violette Kakyomya — per evitare incomprensioni che possano trasformarsi in voci incontrollate, disinformazione e sospetti sugli interventi sanitari. Dunque i trovatori lavorano con il passaparola ed è il metodo più affidabile per queste comunità». Al fine di migliorare la comunicazione tra pari, sia urbana che rurale, le Nazioni Unite hanno anche assoldato 1040 lavoratori che si spostano in otto province per promuovere abitudini sane e dissipare ogni dubbio sul covid-19. Questi ufficiali sono scelti dalle comunità stesse e operano sotto la supervisione del ministero della Sanità pubblica. Inoltre l’Onu in Ciad ha finanziato la stampa di oltre 200.000 manifesti di sensibilizzazione che sono stati collocati in edifici pubblici, mercati, scuole, centri sanitari e altri luoghi frequentati in 16 province. Questi manifesti incoraggiano le persone a lavarsi le mani regolarmente, a salutarsi da lontano, a evitare di toccarsi il volto. «Molte persone dicono che il coronavirus non può sopravvivere al caldo del Ciad, ma ciò non è vero — dice Amina Gomnalta, assistente sociale nel distretto centrale della capitale N’Djamena —. Ci sono già casi nel nostro paese. Dunque è importante spiegare alla popolazione che il coronavirus è una pandemia globale e che qui, in questa fase, la cosa più importante è proteggere se stessi e gli altri». «Per questo ho affisso grandi manifesti alla porta del centro sanitario — aggiunge — nel posto dedicato al lavaggio delle mani e nella sala d’attesa. Ogni mattina chiedo alle persone di rispettare le misure di sicurezza, sia nei locali del servizio sanitario che a casa». Ma non è tutto.

A N’Djamena, più di 60 giornalisti di media pubblici e privati sono stati formati fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria sull’informazione responsabile, l’uso di fonti affidabili e l’identificazione di notizie false. Nelle aree urbane del Paese, la maggior parte delle persone guarda la televisione e ascolta la radio, motivo per cui i giornalisti sono informatori e opinion maker chiave.

Le Nazioni Unite stanno anche lavorando per prevenire covid-19 tra le popolazioni sfollate e colpite dalla crisi. Il Ciad ospita la più grande popolazione di rifugiati del Sahel: quasi mezzo milione di persone sono fuggite dalla violenza nei vicini Sudan, Nigeria e Repubblica Centrafricana. Inoltre, ci sono più di 200.000 sfollati interni nelle zone vicine al lago Ciad. Dunque le Nazioni Unite sono impegnate a sostenere gli sforzi di sensibilizzazione del governo e il piano di risposta nazionale per affrontare l’impatto socioeconomico della pandemia su queste popolazioni già gravemente provate dai cambiamenti climatici. La profonda crisi che vive da tempo il Paese è infatti legata alla tragica riduzione delle acque del lago Ciad, fonte di vita per milioni di persone. Le sue acque, che hanno assicurato risorse idriche a più di 20 milioni di abitanti che vivono nei paesi che circondano il bacino, si sono ridotte in pochi anni del 90 per cento con effetti devastanti sull’economia e sulla sicurezza del Paese, esposto a rischi di estremismo violento.

di Anna Lisa Antonucci