La testimonianza del vignaiolo cosentino Alessandro Volpe

Il posto giusto

Al lavoro nell’azienda Rocca Brettia
15 maggio 2020

«Una vigna che sale sul dorso di un colle fino a incedersi nel cielo, è una vista familiare, eppure le cortine dei filari semplici e profonde appaiono una porta magica. Sotto le viti la terra rossa è dissodata, le foglie nascondono tesori, e di là dalle foglie sta il cielo». Non ricorda i giorni, Cesare Pavese, ma gli attimi. E gli attimi felici sono quelli trascorsi tra i vigneti a respirare l’odore delle stagioni, delle speranze, delle nostalgie. È la vigna il posto giusto. Di questo ne è convinto pure Alessandro Volpe, cosentino, classe 1984, titolare di Rocca Brettia, l’azienda vinicola situata a Donnici Inferiore (Cosenza), che, nel nome, raccoglie l’eredità culturale di un popolo, mentre, negli effluvi del suo vino, i profumi e i sapori dei boschi e delle uve di Calabria.

Prima del 2017, Alessandro lavora a Roma, in un settore completamente diverso da quello vitivinicolo, è abituato a viaggiare, a spostarsi all’estero. Poi, d’un tratto, più o meno come il giovane agente di borsa londinese Max Skinner in Un’ottima annata (Garzanti, 2006) di Peter Mayle, sente che qualcosa manca nella sua vita, abbandona il posto fisso, lascia l’indeterminato, i completi e le cravatte per inseguire un sogno tra i filari, il silenzio sulle cose, il gusto dell’antico. Rileva la proprietà dell’azienda e inizia a lavorare la terra, assistendo al rincorrersi del tempo in mezzo ai colori della macchia mediterranea e, soprattutto, scoprendo il valore della tradizione, disvelata da ogni singolo sorso di vino prodotto.

«È questo il posto giusto», ripete al telefono e più d’una volta Alessandro. Le sue parole sono disturbate dal vento che irrompe tra i filari perché quando risponde e racconta e spiega si trova in vigna, nella stanza a cielo aperto dove tutto si ferma. Fuori c’è la pandemia, ma dentro la natura è ostinata e irrefrenabile, e continua a fare il suo corso. «La vigna va avanti, bisogna prendersene cura — dice il vignaiolo come se si riferisse a una creatura in carne e ossa, a un essere vivente —. Ma da febbraio, a causa del coronavirus, la situazione è diventata difficilissima: le vendite si sono fermate, ai costi e alle spese si deve comunque sopperire e, se al momento non s’è visto alcun tipo di aiuto, pure se ci fosse, non si riuscirebbe a colmare quanto è stato perso». Perdite che si giustificano, più in particolare, con la chiusura di ristoranti e alberghi, ma anche con la sospensione e il rinvio, com’è ovvio, delle fiere, delle manifestazioni nazionali e internazionali legate all’enologia.

«Quella di Rocca Brettia — prosegue Alessandro — è una piccola produzione, di qualità e standard elevati, non destinata alla grande distribuzione. Lavoriamo coi ristoratori, con gli hotel, tuttavia ora è impossibile procedere; per questo abbiamo cercato di rafforzare le vendite online e a domicilio, ma non sappiamo, davvero, quando il mercato si riprenderà». Mentre si lavorano a mano le viti, avvolte dai respiri e dai sudori dei corpi, le preoccupazioni sono tante. Anche l’estate in vigna — con le relative visite guidate e degustazioni in cantina —, senza direttive chiare e precise, molto probabilmente salterà («si parla di iniziative virtuali, ma così si perde il senso stesso di queste attività, che puntano pure all’incontro, alla scoperta dell’altro», chiosa Alessandro).

Eppure, proprio la vigna, rimane il posto giusto. «Si resiste. Sotto al sole, con mascherine, guanti e distanziamento. È pesante — afferma — ma io e chi collabora con me lo facciamo, continuiamo a sporcarci le mani, consapevoli che questo lavoro, a qualsiasi livello, abbia profonda dignità. Vale per tutti, grandi cantine, piccole cantine, braccianti agricoli. C’è una storia dietro tutti noi».

In base a questo principio, volto a tutelare e garantire la dignità di ogni persona e del lavoro di tutti, Alessandro Volpe e i “colleghi” delle altre aziende del territorio, riuniti nel gruppo Vignaioli artigiani di Cosenza, hanno anche lanciato l’iniziativa delle cosiddette casse solidali: ogni box, di cui è promossa la vendita online, contiene sei bottiglie di vino assortite, di una quindicina di cantine diverse. Una vera e propria confraternita dell’uva, per citare John Fante, che fa della crisi manifesta un’occasione di rinascita, senza nemmeno dimenticare chi ha maggiore bisogno d’aiuto. «Non solo, senza competizione o concorrenza, cerchiamo di raccontare i nostri vigneti, i nostri territori, la nostra voglia di fare, ma, attraverso le casse solidali, aiutiamo chi aiuta. Il 30 per cento dei ricavi viene, infatti, devoluto a La Terra di Piero», la locale associazione, cioè, che dall’inizio dell’emergenza sanitaria, prepara e consegna pasti, ogni sera, a circa seicento famiglie in difficoltà e, ogni settimana, recapita suppergiù mille spese a chi ha bisogno. Lo scorso 27 aprile, questo presidio di solidarietà ha persino mantenuto la promessa della spesa circondariale, donando, proprio ai detenuti del carcere cosentino, in totale duecentocinquanta pacchi, contenenti beni alimentari e di prima necessità.

«Torneresti alla vita di prima?». Alessandro conclude la telefonata dicendo che questa è una domanda che spesso gli viene posta. «Ma, no — risponde —. Nonostante la fatica, le difficoltà, i problemi, stare qui è un privilegio». Qui dove, sempre per Pavese, «nulla può accadere che sia più vasto di questa presenza», della vigna.

di Enrica Riera