Nell’ultimo libro di Fabio Rosini

Il linguaggio delle ferite

Marcolivio_2_x.jpg
02 maggio 2020

Ci sono libri che hanno la rara prerogativa di farsi leggere per poi, a loro volta, leggere nel cuore del lettore. L’arte di guarire. L’emorroissa e il sentiero della vita sana (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2020, pagine 336, euro 16) di Fabio Rosini è uno di questi testi.

Secondo di una trilogia iniziata due anni fa con L’arte di ricominciare, il nuovo libro di don Rosini è anch’esso la rielaborazione in forma scritta di un ciclo catechetico che il biblista romano, direttore del Servizio per le vocazioni della diocesi di Roma, ha tenuto circa un anno fa. Per Rosini catechesi e libri hanno lo stesso identico linguaggio: immediato, colloquiale, brillante e al tempo stesso profondissimo. Meditazioni che affascinano e conquistano non senza, talora, inquietare e “irritare”, perché toccano i nervi scoperti di ognuno di noi. Cristo non è venuto per i sani ma per i malati e riconoscere umilmente e onestamente le proprie malattie spirituali è il primo passo che ogni cristiano deve fare per avviarsi alla guarigione.

La figura dell’emorroissa guarita (vedi Luca 8,43-48) è in tal senso paradigmatica. Il Vangelo ci mette di fronte una donna ferita non solo nel fisico ma nella sua essenza vitale, nella sua intimità e femminilità. È una donna cui è precluso il diventare madre e ciò, per la cultura giudaica, è elemento di disonore e di emarginazione. Anche noi, come l’emorroissa patiamo ferite di cui stentiamo a comprendere l’origine. Ci rivolgiamo a medici sbagliati e valutiamo erroneamente i nostri sintomi, talora banalizzandoli, talora sopravvalutandoli. Eppure i sintomi sono «dei profeti, spesso inascoltati», scrive l’autore. Se si assolutizza il sintomo di una malattia spirituale, si rischia di perdere di vista la patologia vera e propria. E se la malattia, normalmente, è una o sono poche, i sintomi del nostro malessere possono essere molteplici: «Alcuni sono sempre scontenti di sé stessi, pensano di fare tutto male. C’è chi è tormentato dal proprio look, narcisisticamente — esemplifica Rosini —. Quelli che fanno le vittime e si fanno compatire. Chi sta col freno a mano tirato e non si lascia andare. Alcuni non dimenticano i torti subiti e hanno i conti in sospeso col mondo. C’è chi parla male degli altri qualunque discorso faccia. Chi non accetta critiche. Chi manipola i racconti per essere interessante. Alcuni si fanno i film mentali e vedono gli altri come dei mostri. Ci son quelli che non si sbilanciano e restano neutrali su tutto». E l’elenco continua.

Quando poi affronta il capitolo delle “patologie”, l’autore osserva che, a monte di ogni malattia dell’anima, c’è l’assenza d’amore, tuttavia, ricorda, «il contrario dell’amore non è l’odio ma la paura». È significativo che, dietro ogni forma di paura, vi sia un vizio capitale: la paura di deludere ha lo stesso carburante della superbia; la paura di perdere il controllo alimenta tanto l’avarizia quanto l’ira; la paura della frustrazione fomenta sia la gola che la lussuria. Alla radice di ogni paura c’è una menzogna demoniaca che assume anch’essa tante forme ma è sempre la stessa e si può trovare «in tutti i cuori, sepolta sotto mille facce, identica, cattiva, distruttiva e apparentemente irrisolvibile». Questa menzogna è individuabile nel disprezzo di sé, è in un «pensiero cattivo su se stessi».

A fronte di tante “terapie sbagliate”, che sono ispirate ai nostri idoli, che costano un occhio della testa e che ci fanno solo peggiorare, proprio come avviene per l’emorroissa, la guarigione si incontra soltanto nell’ascolto e nella relazione autentica che solo Gesù può darci. A questo punto «vale la pena di iniziare dal domandarsi se e quando qualcuno ci ha parlato di Gesù in modo che la nostra anima venisse scossa, toccata, illuminata e la vita messa in movimento». La stessa emorroissa è stata mossa da qualcuno che le aveva parlato di Gesù, facendole trovare il coraggio di toccargli il mantello, sfidando la folla e persino i discepoli che, superficialmente, pensano che quel tocco sia come quello di qualunque altro passante che lo aveva sfiorato per sbaglio. L’inizio della salvezza, dunque, è nell’arrivo al nostro orecchio della «voce di qualcuno che parli del Signore», ricordando che cosa ha toccato il nostro cuore e accendendo la speranza. «C’è una luce che un giorno è entrata nel nostro cuore — scrive Rosini — che contestava la nostra disperazione e il nostro disgusto di noi stessi in nome di Cristo che è morto e risorto per noi; questa “parola” disobbedisce per sua natura a tutti i meccanismi del male, ed è il seme che innesca la dinamica della guarigione».

di Luca Marcolivio