Il secondo capitolo della saga dei Whiteoak

Epopea di respiro vittoriano

La scrittrice canadese Mazo De La Roche (1879-1961)
30 maggio 2020

Tutte le famiglie felici si somigliano, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. La celebre frase di Lev Tolstoj potrebbe essere l’epigrafe adatta alla saga dei Whiteoak. Un classico della letteratura canadese firmata da Mazo De La Roche, autrice di punta nei primi decenni del secolo, figura umbratile e un po’ misteriosa, riscoperta da poco e tradotta per la prima volta in Italia. Lo scorso anno era stata la volta di Jalna (2019), ora de Il gioco della vita (Roma, Fazi Editore, 2020, pagine 480, euro 18), secondo capitolo della saga.

Jalna è il ritratto spigoloso della borghesia americana, uscito qualche anno prima di Via col Vento e del quale in qualche modo anticipa le suggestioni.

Jalna è il nome indiano della tenuta ribattezzata dal capitano Philip Whiteoak e sua moglie Adeline per rendere omaggio ad un territorio vergine e splendido com’è l’immensa pianura dell’Ontario. È lì che vive la famiglia tentacolare di gentiluomini di campagna che si avvicendano di generazione in generazione e che l’autrice ritrae in ben 16 volumi.

È il 1924 e Adeline è centenaria ma ancora dispotica, capricciosa e in grado di governare con cipiglio la numerosa discendenza. La nuova generazione scalpita insofferente ad una vita che scorre lenta e uguale tra serate in salotto, pranzi di famiglia e discussioni. L’affresco di una società borghese, ricca e florida in cui si intrecciano amori, intemperanze e tentativi di fuga, in cui il mélange psicologico è vario articolato. Un capofamiglia Renny, seduttore impenitente e l’arrivo di due nuore, che scompaginano l’equilibrio asfittico dei Whiteoak.

Pheasant, figlia illegittima del vicino il cui ingresso verrà accolto come un oltraggio e la brillante e dinamica newyorkese Alayne che spingerà il giovane Eden nel mondo dell’arte intuendo in lui la stoffa del poeta. Un romanzo fatto prevalentemente di atmosfere e di sentimenti, privo di incidenti scatenanti se non il fluire inesorabile di un tempo che sembrerebbe fermo. Un’epopea di respiro vittoriano che rimanda ai romanzi seriali ambientati in quell’epoca come I Cazalet o gli Aubrey da cui Jalna si distanzia per la narrazione tutta incentrata sui “suoi mattoni, il suo portico e i suoi camini”. Jalna è il luogo da cui scappare e a cui tornare, la rappresentazione stessa di famiglia, di dimora e di tradizioni. Il luogo dal fascino irresistibile dove amori ed errori si intrecciano nel tempo e fanno venire a galla sentimenti repressi o ignorati.

«E Jalna cos’era? La casa, lui lo sapeva bene, aveva un’anima. Ne aveva udito i sospiri, i movimenti nella notte». Seguiremo i numerosi Whiteoak attraverso fughe e ritorni alla base, perché Jalna esercita una sorta di incantesimo, come percepisce Alayne che non appartiene pienamente alla famiglia ma «era la casa stessa, Jalna, ad averla catturata allungando un braccio per trarla a sé». Il romanzo si snoda in capitoli brevi e fitti dialoghi, schermaglie verbali, conversazioni e interrogativi come fossero i Whiteoaks, sempre intorno ad una tavola riccamente imbandita o un grande camino acceso. Una lettura di estrema piacevolezza per gli amanti del genere.

di Giulia Alberico
e Flaminia Marinaro