La poesia, risorsa contro l’isolamento

Custodi del fuoco

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11 maggio 2020

Pochi giorni dopo l’inizio del lockdown, una mattina presto, faceva ancora freddo, mi sono recato in chiesa. L’ho trovata vuota, avvolta nella penombra e nel silenzio e sono stato sopraffatto da una opprimente malinconia. Mancava qualcosa; eppure ogni cosa era al suo posto, anche io mi sentivo al cospetto del Signore, né più né meno. Poi ho capito: mancavano gli altri.

Negli anni a venire si diranno molte cose su questa pandemia. Esperti di ogni settore ci spiegheranno, nella loro competenza, tutto quello che non abbiamo capito, perché «Come una lente rovesciata, il passato ci mette a fuoco» (Corrado Benigni). Ma una cosa è certa e chiara fin da ora. Credevamo di essere una società ipertecnologica e che la tecnologia avrebbe soddisfatto ogni nostra pur intima esigenza, credevamo di essere autosufficienti, autonomi, indipendenti, di poter badare a noi stessi. In sostanza credevamo di poter fare a meno dell’altro, che infatti era spesso un incomodo da disconoscere e comunque da tenere a debita distanza.

E invece ci siamo accorti nell’arco di un giorno che la cosa che ci mancava di più era proprio l’altro, il suo contatto, quanto meno la sua vicinanza, la sua presenza. E per cosa? Per la cosa più semplice delle relazioni umane, la condivisione, quel partecipare insieme, l’offrire del proprio, il coinvolgere e coinvolgersi nelle vite altrui che ci rende sempre in qualche modo responsabili. E abbiamo così preso atto della «zigzagante linea di / frattura / fra tecnica e natura» (Valerio Magrelli). Nel mio piccolo “esilio” ho subito pensato a come poter continuare a “condividere” le cose care in generale e tra queste, per me, naturalmente la poesia.

Ho pensato a vari progetti, ma tutti mi sembravano piuttosto laboriosi; invece la condivisione è tanto più importante quanto è spontanea. Avevo lì una poesia, che non avevo scritto pensando direttamente alla surreale situazione che ci apprestavamo a vivere, ma che certamente era “adeguata” al momento. Il testo si chiude con i versi «per quanto possiate dubitare / voglio pregarvi salvi / questo non lo potete impedire», una specie di abbraccio insomma, da rivolgere idealmente agli amici.

Così ho fatto una lista dei miei contatti WhatsApp (il telefono è la cosa che abbiamo utilizzato di più in questo periodo) e ho inviato un breve video in cui leggo la poesia. Dopo pochi minuti, un poeta amico da Bologna (Alberto Bertoni) mi ha risposto con una sua videolettura. Dopo poco da Roma, un’altra amica poetessa mi ha risposto con una sua videolettura. «Adesso che il fantastico ha intaccato il reale — ecco lo sguardo del poeta — in assenza di corpi, il corpo urbano è astratto, scarnificato / paesaggio con sirene, uno sconcerto» (Maria Grazia Calandrone). Ovviamente (con il loro permesso) ho girato i video alla mia lista di contatti.

Da allora, ogni giorno per più di un mese ho ricevuto brevi videoletture che ho “fatto girare” alla mia lista di contatti; lista che si è andata ampliando perché (evidentemente, sparsa la voce) altre persone, spesso a me sconosciute, chiedevano di esservi inserite e ricevere quindi le videoletture. Ho così condiviso circa sessanta contributi; qualche nome? Ricordo a caso: Claudio Damiani, Rossella Tempesta, Daniele Mencarelli, Tiziano Broggiato, Valerio Magrelli, Elena Buia, Massimo Morasso, Salvatore Ritrovato, Franco Buffoni, Gian Mario Villalta, Gianfranco Lauretano, Filippo Davoli, Simone Di Biasio, Umberto Piersanti, Davide Rondoni, Corrado Benigni e molti altri poeti. Ma anche gli attori Davide Riondino, Simona Marchini, Greg, Maria Letizia Gorga e anche un inedito Nichi Vendola o il sax di Beppe D’Argenzio. Spesso si è trattato di poesie inedite, a volte di editi che però in qualche modo potevano riferirsi al momento che stiamo vivendo. Voci diverse, differenti scritture, quasi sempre immerse nel presente, perché «forse sei solo come gli altri, nell’opera del mondo» (Emanuele Franceschetti). Ma «per andare avanti / devi fermarti a mezza strada / far entrare la luce alle radici» (Valentina Colonna) e pensare al domani, quando «torneremo in superficie», a dispetto della paura «costringe a stare nella durata di un altro» (Carmen Gallo).

Tutto qui, niente di più e niente di meno; si è trattato solo di brevi video ripresi con il cellulare e girati via WhatsApp. Ogni volta ho girato i video che ricevevo a una lista di circa 250 contatti. So che molti a loro volta hanno girato i video su vari gruppi o altri social, la rivista online «Ciminiera» ne pubblica un paio ogni settimana e ancora oggi vedo i video che rimbalzano in rete. Mi sembra un buon pubblico, non solo attento, ma che, ci tengo a dirlo, non è fatto solo da poeti o da amanti della poesia. E infatti ho ricevuto moltissimi messaggi di risposta e commenti, anche e soprattutto da persone che so che non hanno mai frequentato la poesia. Ho smesso la mia iniziativa salutando tutti affettuosamente, alla vigilia della Fase 2 con una poesia “profetica” che Valentino Zeichen ha scritto nel 1987 e che è stata letta dalla figlia Marta. Lascio ad altri le interpretazioni su questo piccolo fenomeno, ma forse anche questa è una prova che la poesia è una voce nel vento che resiste, sempre (Omero lo sapeva bene).

Per quanto mi riguarda, ho sentito intensamente una pur minima condivisione, come una fiamma pilota pronta a rinvigorirsi presto. E mi piace l’idea di avere spruzzato l’aria con un po’ di poesia, sanificando l’ambiente per quando sarà tutto finito.

di Nicola Bultrini

 

Alba a Roma


(…)
È l’alba di un nuovo giorno;
lungo Via dei Fori Imperiali
un cinese fa dello jogging;
con la coda dell’occhio
sbircia le tavole geografiche
che documentano le progressive
conquiste dell’Impero Romano.
È probabile che sogni
per conto del suo governo,
il dominio del mondo;
confidando nella certezza
che il pericolo giallo, in Occidente
viene associato solo alle cicliche
epidemie influenzali.

                                                    di Valentino Zeichen

(da Museo interiore, Mondadori, 1987)