Nonostante la pandemia un giovane parroco di Palermo riesce a mantenere vivo il rapporto con i fedeli

Alla ricerca delle pecorelle smarrite

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06 maggio 2020

«Da quarant’anni viviamo e operiamo come ospiti di una pur amorevole comunità di suore. Ci siamo sistemati in modo tale da supplire alle mille carenze che una sistemazione precaria inevitabilmente porta con sé. Ma non demordiamo. E preghiamo e speriamo ogni giorno, con tutte le nostre forze, che presto qualcosa si sblocchi. E che la nostra magnifica parrocchia torni finalmente a una sua collocazione naturale, all’interno di una chiesa vera e propria. Soprattutto in questo periodo difficile che stiamo attraversando per colpa del coronavirus, i cittadini ne avrebbero davvero bisogno». Sono le parole di un sacerdote di periferia come padre Dario Chimenti, 32 anni, parroco della chiesa di Sant’Alberto Magno, a Palermo. Usa la prima persona plurale, il “noi”, come se avesse vissuto fin dall’inizio la particolare vicenda collegata a questa chiesa che non c’è più, mentre invece lui è arrivato a guidarla da meno di un anno. Ma per comprendere meglio di cosa stiamo parlando, occorre partire dall’inizio della vicenda.

«Tutto comincia intorno al 1978, quando il comune di Palermo decise di costruire viale Michelangelo, una strada considerata fondamentale per la viabilità, in quanto avrebbe attraversato l’intera città. Per far questo, però, i tecnici comunali stabilirono che dovesse essere sacrificata proprio la chiesa di Sant’Alberto Magno», racconta padre Dario. «Si trattava di una cappella che faceva riferimento alla cattedrale, in zona Santuario. Purtroppo, non si poté fare nulla per impedirlo e l’edificio fu abbattuto, con la promessa però che sarebbero presto arrivati fondi per costruirne un altro in cui ospitare i parrocchiani. Ma le cose poi sono andate diversamente», precisa padre Dario.

E così, sono passati quarant’anni senza che accadesse nulla. La parrocchia ha trovato una sua nuova sede, che in origine avrebbe dovuto essere provvisoria, ma che si è invece rivelata permanente: «Fin da subito, infatti, Sant’Alberto Magno è stata ospitata nei locali del convento delle suore francescane del Signore. Nella struttura, che oggi è una casa di ricovero per anziani, c’era un intero piano seminterrato adibito a garage per le automobili. E fu proprio lì che la parrocchia ha avuto da allora la sua opportunità di continuare a vivere e operare», continua il sacerdote.

I locali del seminterrato adibito a sede parrocchiale non sono ampi: «C’è un’aula liturgica che può contenere al massimo 200 persone, poi una sagrestia e una stanza da non più di una ventina di posti. Se consideriamo che nel territorio parrocchiale risiedono circa 2.500 persone, ci si rende conto di quanto una struttura così non sia adeguata per portare avanti la nostra attività come vorremmo», osserva il parroco, «anche se ciò non significa che non ci diamo da fare per portare quanti più fedeli possibili alle nostre attività». Grazie a finanziamenti della regione Sicilia, una decina di anni fa è stato possibile effettuare lavori di ristrutturazione che hanno reso tutto più vivibile.

Prima di padre Chimenti, in quarant’anni si sono succeduti ben undici parroci alla guida di Sant’Alberto Magno: «E solo uno di loro è rimasto per nove anni di seguito. Anche questo fatto, insieme con una certa sensazione di precarietà dovuta alla collocazione della parrocchia, ha contribuito a far sì che i fedeli, gradualmente, si allontanassero. Io sono stato inviato qui dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, proprio per questo: alle spalle ho solo cinque anni di sacerdozio, ma ho già dato una mano a risolvere problemi simili nelle altre cinque parrocchie in cui sono stato finora. E l’arcivescovo ha grande fiducia che anche stavolta riuscirò nel mio compito», auspica padre Chimenti.

Che cosa sta facendo per riportare in chiesa la gente del suo territorio? «Fino a quando è stato possibile, prima delle restrizioni da coronavirus, ho fatto in modo di essere molto presente fisicamente nel quartiere. Pur non avendo una mia canonica, ho preferito non tornare ogni sera a dormire a casa dei miei genitori, che pure abitano solo a qualche chilometro da qui. Sono ospite di un altro sacerdote e questo mi ha consentito di mantenere costantemente il rapporto con la mia gente, che ha potuto vedermi spesso in giro per le vie del quartiere, capendo che può contare su di me», fa notare il sacerdote.

Ma l’attività della sua parrocchia abbraccia anche altri fronti: «Abbiamo un gruppo scout di cui fanno parte 101 persone, sto cercando di far crescere una quindicina di ragazzi e adulti per l’Azione cattolica, sono riuscito a raccogliere fondi con cui ho allestito una piccola sala cinema, dove proiettare i film per parrocchie. Purtroppo, al momento è tutto fermo. Anche la parrocchia è stata chiusa per motivi di sicurezza, visto che non consentirebbe di mantenere le giuste distanze tra i fedeli. Per fortuna mi ha salvato la mia passione per Internet, che sto sfruttando per assicurare ai miei parrocchiani un normale svolgimento delle attività». Com’è possibile? «Già prima del coronavirus, tramite Facebook i parrocchiani impossibilitati a essere presenti fisicamente potevano assistere in diretta alla catechesi o perfino alle adorazioni eucaristiche: non sa quanti anziani hanno imparato a usare Internet in questo modo, hanno aperto nuovi profili Facebook, mi arrivavano richieste di adesioni anche da persone che non sono della mia parrocchia», racconta padre Chimenti. «Oggi che siamo costretti a restare a casa, faccio tutto via streaming: trasmetto la messa in diretta sui principali social network, tengo aggiornati i parrocchiani tramite WhatsApp, mando in onda meditazioni insieme con un teologo durante la giornata. Diversi parroci di Palermo mi stanno contattando per fare lo stesso».

Nel frattempo, resta pienamente attivo il rapporto con la Caritas diocesana: «Prima dell’emergenza il centro aperto presso la mia parrocchia assisteva una ventina di famiglie del quartiere. In poche settimane sono diventate circa duecento, grazie alla collaborazione della nostra zona che sento particolarmente sensibile a questa esigenza», sottolinea padre Chimenti.

Che cosa immagina per il futuro, quando il pericolo del coronavirus si sarà finalmente ridimensionato? «I fedeli si adattano, è vero, ma percepisco un senso di stanchezza, dopo quarant’anni di promesse non mantenute. E pensare che solo cinque anni fa sembravamo vicini a una svolta». La regione aveva infatti concesso un terreno confiscato alla mafia da destinare proprio alla costruzione di una nuova chiesa per Sant’Alberto Magno: 4.500 metri quadri che avrebbero ospitato anche un campo sportivo e una sala multimediale. Quando tutto sembrava pronto per avviare i lavori, continua padre Chimenti, c’è stato un intoppo burocratico, «una questione di vincoli e autorizzazioni in Comune ha fatto saltare il progetto originario e ora bisogna ricominciare tutto daccapo».

Il giovane sacerdote di Palermo, tuttavia, non ha alcuna voglia di smettere di lavorare affinché la sua parrocchia ritrovi una “casa” come si deve. E ora sa di poter contare anche sulla benedizione più importante: «Nel corso di un’udienza generale ho avuto l’opportunità di raccontare a Papa Francesco la situazione della parrocchia di Sant’Alberto Magno. Lui mi ha ascoltato volentieri e mi ha incitato a continuare il mio lavoro di recupero delle pecorelle smarrite. Le sue parole mi hanno dato ancora più forza».

di Valentino Maimone