L’amicizia tra William Wordsworth, nato 250 anni fa, e Samuel Taylor Coleridge

Versi, rime, ballate
E faccende domestiche

William Wordsworth interpretato dall’attore John Sackville
22 aprile 2020

Ma riuscireste a immaginarvi due poeti che armeggiano davanti a un pozzo, si passano i secchi e poi pian pianino si incamminano verso un cottage per un sentiero anche piuttosto accidentato tra saliscendi impegnativi che a ogni curva però svelano paesaggi di rustica ma incantevole bellezza? Se alla fine del Settecento aveste abitato nel distretto dei laghi nel nord dell’Inghilterra, a pochi chilometri dalla Scozia, questa scena vi sarebbe sembrata così usuale da non notarla affatto.

William Wordsworth, di cui oggi ricordiamo il 250 anniversario della nascita e Samuel Taylor Coleridge sono proprio quei due poeti lì, impegnati nelle inevitabili mansioni pratiche del quotidiano mentre magari discutono i contenuti della prefazione alla loro prima raccolta di poesie, le Lyrical Ballads. Ancora non possono saperlo, ma quello che stanno progettando diverrà uno dei più chiari, esaurienti e citati manifesti del romanticismo europeo.

I due artisti abitavano vicini in quell’angolo dell’Inghilterra centrosettentrionale, una specie di cantuccio geografico così difforme dalla morfologia dell’isola. Un dedalo di liquide meraviglie, incanto di laghi ma anche di sorgenti intervallate da piccoli fiordi, collinette aspre e spesso avvolte nella nebbia, ma anche un luogo impervio per abitarci. E al netto di romantici e inevitabili trascendimenti, bisognava mettere assieme il pranzo con la cena, usare l’acqua di quel pozzo lontano più volte, lavarsi, riscaldare le stanze delle dimore spesso affollate da augusti ospiti. Per di lì passò nientemeno che sir Walter Scott, l’autore di Ivanohe, ma anche John Ruskin, forse il più visionario e poetico storico dell’arte di tutti i tempi, era di casa da quelle parti. Insomma era una vita che nulla aveva a che fare col tòpos del poeta nella sua torre d’avorio separato dalle incombenze della quotidianità.

Wordsworth e Coleridge sono talmente complementari che anche nel loro fare poesia si integrano alla perfezione: mentre il secondo deve infondere tra i versi ed evocare il soprannaturale, Wordsworth invece ha il compito di sublimare il quotidiano, di far ascoltare la musica della natura e intarsiarla di senso e di profondità. Un compito che il poeta assolve con una straordinaria limpidezza di sguardo e di stile, con una precisione degna di una tela di Vermeer e che proprio in virtù di questa esattezza rimanda a una essenza metafisica, nitida e fissata per sempre, come di un paesaggio appena lustrato con una laccatura di smalto.

La notiamo non solo nella sua opera più ambiziosa, il Preludio, ma soprattutto nelle liriche più brevi, come la celebre Daffodils o ne Il rovescio della medaglia, dove invita il lettore ad abbandonare gli studi per immergersi tra le seduzioni più istruttive della natura. Lo aveva poi scritto a chiare lettere nella citata prefazione alla raccolta delle Lyrical Ballads. La poesia nasce da un’emozione rivissuta in tranquillità e il compito del poeta è quello di rimanere “in compagnia della carne e del sangue” condividendo la nascosta musica dell’umanità. Una visione estetica talmente connaturata alla vita da trasparire immediatamente nei versi, come nella lirica che chiude la raccolta Tintern Abbey. Lì il poeta si immagina anziano ma ancora ammaliato dalla bellezza della natura e per rivivere appieno questa profondità di esperienza si affida agli occhi più giovani della sorella, come a dirci che anche l’esperienza più singolare — che è quella dell’emozione poetica — ha bisogno di un tu, deve essere porta, condivisa, vissuta nel rapporto con l’altro, perché lo sguardo che vivifica il mondo è un dono e un dono per sua natura deve essere offerto.

E poi quella di Wordsworth è una delle prime poesie “camminate” della storia della letteratura. Sono versi che assumono vigore da uno sguardo errante che si posa come un’ape sui fiori e trasmette il suo nettare alla visione successiva, così che ogni paesaggio deve qualcosa al precedente e nello stesso tempo dona un’ulteriore qualità al successivo. Il poeta così è in grado di sommare stupore a stupore ma sempre con una sobrietà pudica e consapevole che quella bellezza non ha bisogno di troppi aggettivi. Il poeta deve solo comunicarne il fascino.

Proprio nel suo capolavoro Il Preludio Wordsworth ci dice dove può condurci questo sguardo. «I luoghi segreti della mia forza / sembrano aperti, mi avvicino e subito si chiudono; / ora vedo a barlumi, e con l’età / forse non vedrò più; ma vorrei dare / finché è possibile, per quanto possono le parole / una sostanza e una vita a quel che sento: / chiudere in un tabernacolo lo spirito del passato / per trarne salute in futuro. Salute e salvezza che dal suo futuro illuminano ancora il nostro presente».

di Saverio Simonelli