Presentato il Rapporto globale sulle crisi alimentari

Una chiamata a rispondere alla pandemia con coraggio e solidarietà

Persone davanti alla chiesa di S. Anna a Barcellona in attesa di pacchetti alimentari (Reuters)
22 aprile 2020

L’edizione 2020 del Rapporto Globale sulle Crisi Alimentari, presentato martedì 21 aprile scorso dalla Rete Globale contro le Crisi Alimentari, cui partecipano quindici Organismi della Comunità internazionale impegnati ad affrontare in modo sostenibile le cause profonde delle crisi alimentari, tra cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione (Fao), il Programma alimentare mondiale (Pam) e l’Unione europea, ha rilevato come il numero di coloro che soffrono di fame acuta sia aumentato ulteriormente nel 2019, arrivando tale sciagura a riguardare circa 135 milioni di persone in 55 Paesi nel mondo, rispetto ai precedenti 113 milioni presenti in 53 Paesi che erano stati registrati nel 2018.

Una situazione che, purtroppo, come sottolinea lo stesso Rapporto, è destinata a peggiorare notevolmente nell’anno in corso, se si pensa che alle già allarmanti cause dell’estrema mancanza di cibo — conflitti, cambiamenti climatici e shock economici — si aggiunge la tragica ondata pandemica del coronavirus. Essa ha, infatti, appianato le differenze tra Paesi ricchi e Paesi poveri e ha fatto calare la sera sul mondo intero.

Come ricordava il Santo Padre nel Momento straordinario di preghiera del 27 marzo scorso: «Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi». L’oscurità in cui questa pandemia ci ha confinati ha acuito la nostra fragilità e il nostro senso di smarrimento. Riprendendo le parole di quel giorno del Romano Pontefice, essa «lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità» e ci ricorda quali siano, invece, i nostri bisogni primari.

Tra essi vi è la necessità di assicurarsi il pane quotidiano, che per molti nel terzo millennio sembrava una questione superata, confinata semmai in Paesi distanti, anche idealmente, dall’immaginario comune.

La fame, invece, ha oggi bussato, seppur con forza diversa, alle porte di tutti e ha risvegliato un dramma che in molte aree del pianeta era rimasto sopito dalla Seconda Guerra Mondiale. È per questa intenzione che, più volte, il Vescovo di Roma ha offerto la quotidiana Messa mattutina a Santa Marta. «Preghiamo oggi per le persone che per la pandemia stanno incominciando a sentire problemi economici, perché non possono lavorare e tutto questo ricade sulla famiglia», diceva il 23 marzo scorso; «preghiamo il Signore perché ci aiuti ad avere fiducia e a tollerare e vincere le paure» tra cui «la paura dei lavoratori senza lavoro fisso che pensano come dare da mangiare ai loro figli e vedono venire la fame», incalzava il 26 marzo; «preghiamo per le famiglie che incominciano a sentire il bisogno a causa della pandemia», perché «si incomincia a vedere gente che ha fame», affermava il 28 marzo.

Diviene necessario pregare perché l’improvviso cataclisma che si è abbattuto addosso a tutti sta costringendo il mondo a fermarsi, portando con sé un’ondata nuova di denutrizione e povertà, che nel mondo occidentale e nelle economie avanzate si traduce in persone confinate in casa in quarantena, fabbriche chiuse, servizi sospesi, sistemi sanitari indeboliti dall’emergenza e consistenti crisi economiche, ma nel resto del pianeta, già gravemente provato, significa il dilagare della miseria e della morte.

È proprio questo il problema: il Fondo monetario internazionale, nel recente aggiornamento del World Economic Outlook, ha quantificato il disastro generato dalla pandemia in una contrazione del Pil globale che nel 2020 si aggirerà intorno al 3 per cento, con perdite complessive pari a quasi 9 mila miliardi di dollari fra il 2020 e il 2021 e con fenomeni di recessione tanto nelle economie avanzate quanto in quelle in via di sviluppo.

Questo significa che nei Paesi economicamente più avanzati aumenterà la disoccupazione e molte più famiglie soffriranno la fame, ma sta ad indicare anche che in Paesi già seriamente martoriati dalle preesistenti e persistenti crisi umanitarie, come ad esempio lo Yemen, l’Afghanistan, la Repubblica Democratica del Congo, la Siria, il Sud Sudan, il Venezuela, Haiti e il Nord della Nigeria, in cui la maggioranza della popolazione viveva già in condizioni di povertà estrema o dove l’accesso ai servizi sanitari era da tempo fortemente diseguale e totalmente insufficiente, focolai di covid-19 potrebbero portare a effetti catastrofici e il tributo di vite umane potrebbe raggiungere un ordine di grandezza superiore a quello di qualsiasi Paese sviluppato.

In tale contesto, tutti ci sentiamo smarriti e cerchiamo di correre ai ripari per proteggere noi e i nostri cari dalle conseguenze nefaste provocate dal virus. Ciò nonostante, è proprio in quest’ora che viene richiesto a ciascuno di noi, in primis ai governanti, ai politici e alle istituzioni ma anche alle imprese, alle associazioni e ai cittadini, di unirci in un audace sforzo di pensiero a lungo termine, perché non è questo il tempo degli egoismi: la sfida che stiamo affrontando ci accomuna tutti e non fa differenza di persone.

Papa Francesco ci ha messo in guardia, il 19 aprile, nella Santa Messa in occasione della Festa della Divina Misericordia, dal rischio di venire sopraffatti da un virus ancora peggiore del covid-19, che è quello dell’egoismo indifferente: «Si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso». Questa crisi ci invita, invece, a essere valorosi, a uscire da noi stessi per mettere a disposizione di tutti i cinque pani e i due pesci che possediamo e che riusciranno, grazie al miracolo della condivisione, ad alimentare le folle. Come ha esortato il Successore di Pietro durante la Veglia Pasquale dello scorso 11 aprile: «Mettiamo a tacere le grida di morte, basta guerre! Si fermino la produzione e il commercio delle armi, perché di pane e non di fucili abbiamo bisogno».

Possa il Rapporto che è stato pubblicato dalla Rete Globale contro le Crisi Alimentari ricordare a ciascuno di noi e agli attori della Comunità internazionale che, nonostante il periodo di incertezza che tutti stiamo vivendo, l’unico modo per sconfiggere la pandemia sarà quello di agire tempestivamente insieme e in uno spirito di solidarietà, nella consapevolezza di un impegno non solo morale, ma anche concreto, alimentato da una visione saggia e lungimirante che tenda alla realizzazione dei nostri bisogni in connessione con quelli altrui, nel reale perseguimento del bene comune.

di Fernando Chica Arellano