Un paese in cerca di un futuro di pace

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04 aprile 2020

L’appello del Santo Padre nell’Angelus della quinta domenica di quaresima per un «cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo (...) favorendo la creazione di corridoi per l’aiuto umanitario», ha riportato lo sguardo, nel quadro dell’attuale emergenza per il covid-19, su quei conflitti che perdurano, nonostante le cronache quotidiane siano giustamente concentrate sulla pandemia in atto.

Il 15 marzo scorso siamo entrati nel decimo anno della guerra in Siria, che ha provocato il numero più elevato di profughi dalla Seconda Guerra Mondiale, costringendo più di 5,5 milioni di persone a lasciare il Paese, mentre gli sfollati interni ammontano a più di 6 milioni. In un conflitto che non trova ancora una risoluzione, l’aumento esponenziale della violenza continua a causare grandi spostamenti di popolazione. Le cronache a singhiozzo dei media testimoniano come nelle ultime settimane migliaia di uomini, donne e bambini siano in fuga da quei territori martoriati con il solo desiderio di ricominciare una vita e di ritrovare una casa.

Il dramma che là si vive rappresenta purtroppo una tematica vigente e attuale. Si tratta, tra l’altro, di un argomento che è sempre stato nel cuore di Papa Francesco, il quale, fin dall’inizio del pontificato, ha mostrato grande attenzione per la questione, sollecitando costantemente una soluzione politica pratica attraverso gli strumenti del dialogo e della diplomazia. La Siria ha rappresentato una costante nei messaggi Urbi et Orbi e negli appelli all’Angelus e al Regina Caeli: la più grande preoccupazione è sempre stata rivolta alla sorte dei civili innocenti, soprattutto dei più deboli e indifesi.

Secondo alcuni recenti dati del Programma Alimentare Mondiale (Pam) relativi alla Siria nordoccidentale, dal dicembre 2019 il numero degli sfollati è arrivato a 689.100. Il Programma ha fornito a oltre 400.000 di loro assistenza alimentare d’emergenza. Attualmente, le persone che vivono in uno stato di insicurezza alimentare sono 7,9 milioni, mentre 12.600 bambini al di sotto dei 5 anni risultano gravemente malnutriti. Nell’ambito della sicurezza, la situazione si sta rapidamente deteriorando, con le ostilità che proseguono nella parte orientale e meridionale del governatorato di Idlib, così come in quello occidentale di Aleppo.

Gli spietati combattimenti hanno generato una serie di bisogni umanitari legati alla lotta contro la fame, alla mancanza d’accesso all’acqua e alla carenza di servizi igienico-sanitari. Tra gli altri, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao), tramite un team di esperti, ha lavorato all’implementazione di un progetto per il miglioramento delle strutture di irrigazione in Siria. Ciò ha permesso agli agricoltori di avere un accesso sostenibile all’acqua e ai fattori di produzione e di contribuire all’aumento delle colture nel Paese, con numerosi benefici per la sicurezza alimentare e la nutrizione della popolazione. La Fao ha inoltre puntato sulla promozione della donna. Ella spesso rappresenta la sola fonte di reddito, dedicandosi all’agricoltura, unica risorsa per garantire il sostentamento della famiglia. Lo scorso agosto, insieme a “Slow Food”, l’Organizzazione ha accompagnato un gruppo di contadine siriane in un viaggio di formazione tra Piemonte e Liguria per facilitare lo sviluppo delle competenze e aiutarle a rilanciare le proprie attività nel Paese. Ciò ha consentito di potenziare la produzione alimentare, migliorando sensibilmente l’economia di alcune comunità locali.

Alla funesta situazione si aggiunge «la minaccia mortale sotto forma dell’epidemia di covid-19, che colpirà indistintamente e che sarà devastante per i più vulnerabili in assenza di un’azione preventiva urgente», come ha ricordato il 28 marzo scorso il Sig. Paulo Sérgio Pinheiro, Presidente della Commissione di Inchiesta sulla Siria del Consiglio dei Diritti dell’uomo. Il giorno successivo, l’Unione europea ha appoggiato la richiesta del Sig. Geir Pedersen, Inviato Speciale delle Nazioni Unite per la Siria, che ha chiesto il cessate il fuoco immediato e nazionale in tutto il territorio. La fine delle ostilità nel Paese rappresenta una condizione fondamentale per l’arresto della diffusione del coronavirus e la tutela di una popolazione già stremata, per la quale la pandemia potrebbe avere ripercussioni potenzialmente devastanti, considerata la distruzione di oltre metà delle strutture sanitarie in un territorio che è stato a più riprese sfregiato dalle bombe. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), se l’epidemia dovesse diffondersi nella regione di Idlib e nei campi profughi, gli effetti sarebbero catastrofici per il Paese: sarebbe praticamente impossibile fermarla, perché il sovraffollamento non permetterebbe di attuare le misure di contenimento del contagio.

Numerosi sono stati i contesti in cui il Vescovo di Roma ha fatto appello alla comunità internazionale per trovare una soluzione politica. Il Santo Padre ha più volte denunciato la situazione di violenza in cui versa il Paese definendola catastrofe umanitaria, disumana e impossibile da accettare, nonché facendo appello agli Stati affinché sia sempre protetta la vita dei civili inermi nel rispetto delle norme del Diritto internazionale umanitario. Papa Francesco, inoltre, non ha mai smesso di pregare e di chiedere di pregare affinché nel Paese si possa ricostruire un clima fraterno dopo lunghi anni di scontro.

La preoccupazione della Santa Sede per il deterioramento della situazione causata dall’offensiva lanciata contro la città di Idlib nel nord-ovest della Siria ha spinto, lo scorso 28 giugno, il Successore di Pietro a indirizzare una lettera al Presidente siriano Bashar Hafez al-Assad, incoraggiandolo a mostrare buona volontà per porre fine alla crisi umanitaria nella regione, proteggere la vita dei civili innocenti e preservare le infrastrutture essenziali, come scuole e ospedali. Veniva altresì sottolineata la necessità di intraprendere iniziative concrete volte a permettere il rientro in sicurezza degli sfollati e rinnovato l’appello per la ripresa del dialogo e dei negoziati con il coinvolgimento della comunità internazionale. Un futuro di pace in Siria sarà possibile soltanto quando le parti in conflitto saranno in grado di ascoltare le voci della coscienza e della popolazione inerme e logorata, non chiudendosi nella promozione dei propri esclusivi interessi sulla regione. Il ricorso alle armi non può essere considerato strumento adeguato per risolvere i conflitti e tanto meno per la pace. A tale proposito, risulta sempre attuale il monito di San Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1979: «Per giungere alla pace, educare alla pace». La Chiesa ha insegnato che quest’ultima è possibile in quanto frutto dello sviluppo integrale di tutti gli esseri umani e della presa di coscienza che solo nella verità, nella giustizia, nell’amore e nella libertà è pensabile ricercare e consolidare la pace fra le genti (cfr. S. Giovanni XXIII, Pacem in terris). Come è detto nel Messaggio del Santo Padre per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno: «La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità». Non bisogna, dunque, smettere di sperare in un futuro auspicabilmente migliore, sapendo tuttavia che esso non sarà realmente possibile se andiamo avanti con l’atteggiamento che, con tono penitenziale, il Papa ha denunciato nella preghiera dello scorso 27 marzo: «Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato».

di Fernando Chica Arellano
Osservatore Permanente della Santa Sede presso la Fao, l’Ifad e il Pam


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