Nell’Alto Solimões il primo diacono permanente indigeno

Toccare la realtà

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20 aprile 2020

La Chiesa dell’Alto Solimões, che si estende nella parte più occidentale dell’Amazzonia brasiliana, in un triangolo che si incunea tra Colombia e Perú, ha da poco finalmente raccolto uno dei primi frutti di un’evangelizzazione ultracentenaria. Nelle scorse settimane è stato ordinato il primo diacono permanente indigeno: Antelmo Pereira Ângelo, appartenente alla tribù tikuna, la più numerosa del Brasile. L’ordinazione è avvenuta nella chiesa di São Francisco de Assis, a Belem do Solimões, il villaggio ritenuto il centro spirituale della tribù, per mano del vescovo, monsignor Adolfo Zon Pereira, saveriano.

Nell’immensa diocesi (131.600 kmq. con una popolazione di 216.000 abitanti, il 38 per cento dei quali indigeni) operano dal 1909 i frati minori cappuccini dell’Umbria, che da molti anni lavorano per l’impiantazione della Chiesa in seno alla tribù, la quale, pur avendo accolto alcuni elementi della cultura occidentale, non ha rinunciato a peculiari caratteristiche tribali, come la lingua, le feste e altre particolarità che i missionari aiutano a mantenere in vita anche con un Festival che le ha rinvigorite e ne ha risuscitate altre.

Parte di queste tradizioni sono entrate ovviamente nel rito della consacrazione diaconale, come i canti, le danze, le collane ricavate da semi, da denti di animali, da conchiglie, da chiocciole, insieme a bracciali di fibre vegetali e a una stuoia preparata dalle donne con la corteccia della palma capinuri dalla quale si ricava un tessuto fibroso — tururi — che si usa anche per i vestiti di forma circolare, tipico simbolo di protezione da tutte le forze della natura. Si può parlare di una vera “arte amazzonica” che non solo sviluppa le capacità creative di bambini e adulti, ma ha reso l’artigianato artistico un bene produttivo. «La diocesi, composta da otto parrocchie e 250 comunità — ha detto il vescovo — è nelle mani dei laici: catechisti, leader delle comunità, per i quali c’è una formazione specifica, organizzano la catechesi, portano avanti la preparazione ai sacramenti, animano la liturgia della parola. E sono vicini alla gente anche nelle necessità concrete: ad esempio, si tassano per far fronte alle vicissitudini che possono capitare ai membri della comunità. Senza laici non ci sarebbe Chiesa in Amazzonia. Da quando sono stato nominato vescovo dell’Alto di Solimões, nel 2015, rifletto molto sul significato della realtà della prima evangelizzazione. Solo adesso capisco i contenuti dei libri che leggevo quando studiavo teologia. La prima evangelizzazione ha un punto di partenza fondamentale: essere presenti. È impossibile seminare il Vangelo senza questo primo dato di fatto: essere presenti, toccare la realtà. Solo toccando la realtà possiamo ascoltare Dio che ci parla. Il problema è trovare gente disposta a spendersi per il Signore qui, tra questa gente». La risposta che il vescovo attende potrebbe venire da alcune ragazze che si stanno preparando a una forma di vita consacrata “amazzonica”. Sarebbe il miglior frutto del Sinodo sull’Amazzonia e la realizzazione del desiderio del Papa: una Chiesa con il volto amazzonico che richiede la presenza stabile di leader maturi e dotati di autorità, «che conoscano le lingue, le culture, l’esperienza spirituale e il modo di vivere in comunità dei diversi luoghi, mentre lasciano spazio alla molteplicità di doni che lo Spirito Santo semina in tutti».

di Egidio Picucci