In Africa l’emergenza coronavirus sta oscurando altre crisi ben più profonde

Solo l’ultima di una serie di sciagure

Residents of the Bekezela informal settlement stand in a queue to receive donated food by the ...
10 aprile 2020

La pandemia del coronavirus sta oscurando, a livello mediatico, molte questioni aperte che da decenni penalizzano l’Africa. A ciò si aggiungano gli effetti collaterali determinati dal covid-19 che hanno messo in ginocchio le già fragili economie africane.

Ma andiamo per ordine. Il continente africano continua infatti a misurarsi con l’instabilità in atto sia nel territorio libico, dove è in corso una sanguinosa guerra civile, come più a meridione, nella cosiddetta fascia saheliana dove imperversano cellule eversive di matrice jihadista. Sul versante opposto, quello del Corno d’Africa, la Somalia continua ad essere in agonia a seguito della violenza perpetrata dall’estremismo islamista che semina morte e distruzione. Per non parlare poi del settore orientale della Repubblica Democratica del Congo dove una galassia di formazioni armate si macchia quotidianamente di crimini orribili nei confronti delle etnie locali. Un contesto, quello congolese, a cui si è aggiunto lo scorso anno l’ennesimo focolaio di Ebola. Questi scenari, nel loro complesso, non solo manifestano la debolezza delle istituzioni preposte all’affermazione del bene comune, ma in dissolvenza svelano una lunga serie di complicità che vanno ben oltre i confini del continente africano.

La ricchezza di commodity, fonti energetiche in primis, acuisce infatti a dismisura la parcellizzazione degli interessi, col risultato che a pagare il prezzo più alto è sempre e comunque la stremata popolazione civile. Come se non bastasse, già da diversi mesi, sciami di locuste si sono abbattuti sull’Etiopia e sulla Somalia, raggiungendo addirittura il Kenya meridionale e la Tanzania settentrionale, il nordest dell’Uganda, il sudest del Sud Sudan e il nordest della Repubblica Democratica del Congo. Nonostante le misure di controllo messe in atto, la situazione è sempre più allarmante perché questa invasione delle cavallette devasta i raccolti, decima i pascoli, minaccia l’approvvigionamento di decine di milioni di persone e aggrava la crisi alimentare. Detto questo non si può fare a meno di considerare il fatto della pandemia di coronavirus si sta sovrapponendo ad altre malattie. Secondo l’ultimo rapporto dell’Oms, l’Hiv/Aids continua a devastare il continente, dove vive l’11% della popolazione mondiale e il 60% dei sieropositivi. Più del 90% dei 300–500 milioni di casi di malaria stimati nel mondo ogni anno colpiscono africani, soprattutto bambini di meno di cinque anni. Si consideri che, attualmente, sono 42 i paesi africani dove la malaria è considerata endemica. E cosa dire delle Malattie Tropicali Neglette (Mtn) che affliggono il continente? Il 40% dei casi registrati a livello mondiale di Mtn è proprio in Africa. Come se non bastasse, dei 20 paesi con i maggiori tassi di mortalità materna nel mondo, 19 si trovano in Africa; il continente, infatti, detiene anche il triste primato mondiale di mortalità neonatale. Bisogna considerare, inoltre, il carico rappresentato per i sistemi sanitari africani dalle malattie mortali trasmissibili, associato a tassi crescenti di malattie non trasmissibili. Resta inteso che i sistemi sanitari del continente sono caratterizzati da un basso rapporto di medici per popolazione (1 medico ogni 5.000 abitanti in media) e da una spesa sanitaria media pari al 5% del Pil a conferma che qualsiasi emergenza è difficilmente sostenibile a meno che non vi siano massicci aiuti dall’estero. Ma attenzione, non è tutto qui: l’Africa subsahariana è l’area geografica dove le cosiddette fake drugs (“farmaci contraffatti”) sono più diffusi: il 42% dei casi rilevati a livello globale. Sebbene nel continente africano risulti ancora difficile avere un computo esatto delle fake drugs in circolazione, si ritiene che la percentuale sia compresa, a seconda dei paesi, tra il 30 e il 60% del totale in commercio. Ecco che allora il coronavirus di cui sopra rappresenta davvero l’ultima di una lunga serie di sciagure per l’Africa. Sempre per quanto concerne il covid-19, occorre tenere presente che questa pandemia sta davvero mettendo in ginocchio l’economia del continente. Secondo le valutazioni dell’Overseas Development Institute (Odi), gli shock della domanda di petrolio — e la Cina è il principale importatore — potrebbero causare in Africa perdite per circa 65 miliardi di dollari per gli stati produttori.

Per paesi come la Nigeria o l’Angola, l’abbassamento del prezzo dell’oro nero, arrivato sotto i 30 dollari al barile, rappresenta una vera e propria sciagura. Sta di fatto che la Commissione economia delle Nazioni Unite per l’Africa ha stimato una contrazione delle previsioni di crescita del Pil continentale dal 3,2% all’1,8%. Sul versante dei prodotti alimentari, la prolungata quarantena che vede milioni di persone, a livello globale, impossibilitate a uscire dalle proprie abitazioni ha notevolmente ridimensionato le importazioni di carne dalla Namibia, di vino dal Sud Africa e di caffè dal Rwanda, di tè e zucchero di canna dal Kenya e dall’Uganda. E cosa dire degli indici azionari africani che stanno registrando pesanti contrazioni? In un contesto continentale caratterizzato da un indebitamento pubblico in generale aumento e quadri normativi opachi, il consenso creatosi intorno alla necessità di maggiori investimenti in Africa si deve confrontare con un rischio sistemico ancora elevato.

È per questo motivo che occorre guardare all’Africa, facendo tesoro, col cuore e con la mente, del magistero di Papa Francesco: «Dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità e la giustizia».

di Giulio Albanese