«Solaris parte seconda» di Sergej Roic

Quel dolce naufragare nell’oceano

«Solaris», illustrazione di Dominique Signoret (1961)
27 aprile 2020

Quando l’assenza scalza la presenza, e più di essa si afferma e si impone. Quando l’inesausta sete di conoscenza passa sotto le forche caudine del contrappasso per rimanere inevasa, rea di aver voluto valicare, con una sorta di arroganza prometeica, i limiti dell’umano sapere. È un romanzo di sottrazione Solaris parte seconda (Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2020, pagine 246, euro 20) dello svizzero Sergej Roic, che si configura come la prosecuzione di Solaris (1961) dello scrittore polacco Stanislaw Lem, opera che inaugurò il filone della fantascienza “colta”, nonché uno dei romanzi di genere visionario-futuristico più letti e apprezzati. Al successo del libro (tradotto in più di trenta lingue) contribuì, nel 1972, l’omonimo film del regista russo Andrey Tarkovskij, sebbene — come narrano le cronache del tempo — Lem non salutò con favore la trasposizione cinematografica.

Solaris è un pianeta di un altro sistema solare, oggetto di studio da parte degli scienziati fin dalla sua scoperta, cent’anni prima della nascita del protagonista, lo psicologo Kris Kelvin. La sua superficie è ricoperta da ciò che appare come un oceano della consistenza gelatinosa. L’attività di Solaris si manifesta con la costante generazione di complicate strutture dalla natura incomprensibile, di materiale colloidale che si consolida e si liquefà, in un continuum incalzante e imperturbabile. Tali strutture si presentano come modelli multidimensionali, spesso con l’aspetto di sagome umane. Si ritiene che Solaris sia in grado di pensare, nonostante l’impossibilità di individuare qualsivoglia schema di comunicazione nelle sue manifestazioni materiali. Dopo un viaggio interstellare Kris giungerà alla stazione spaziale sospesa a qualche chilometro di altezza sopra l’oceano di Solaris: a lui spetta la missione di stabilire un contatto con questo intrigante pianeta, per scoprirne dinamiche e misteri. In questa picaresca avventura svolge un ruolo non certo marginale l’elemento sentimentale, dettato dalla presenza, o meglio dall’assenza, di Harey, la moglie dello psicologo, suicidatasi anni prima, e che ora ricompare e scompare sul pianeta, in un gioco di prestigio fatto di immagini speculari e derive oniriche. Il distacco che dopo essere avvenuto sulla terra si rinnova anche nello spazio risulta ancor più doloroso e lacerante, e finisce per caricare di una vibrante tensione il rapporto di Kris con Solaris, che riconosce nel pianeta — almeno per questo aspetto — un’entità ostile e inclemente.

Questo scenario viene ripreso e rimodellato da Roic che si cimenta in un’opera assai ambiziosa, non fosse altro perché si pone come prosecutore di un capolavoro acclamato. Lo scrittore svizzero s’immerge nel magmatico immaginario tracciato da Lem. Solaris — si evince dalla struttura del romanzo — non è solo un pianeta. È anche, e soprattutto, l’emblema dell’inconoscibile, di ciò che si potrebbe incontrare, di ciò che si potrebbe analizzare, ma che in ogni caso non si arriverà mai a conoscere. Non si verifica nessuno scambio di informazioni, non si stabilisce nessun dialogo fra il colosso che sembra in grado di leggere e produrre i pensieri umani e gli astronauti venuti a stretto contatto con questo pianeta avvolto nel mistero. Questa volta il protagonista non è uno psicologo, ma uno scrittore che vivrà un’avventura che si articola su più dimensioni, umana, filosofica, onirica, psichica, conferendo all’opera uno spessore di eccelsa qualità. Un’opera che per giunta si avvale dell’artista Renzo Ferrari, uno dei grandi visionari della pittura contemporanea, che ha arricchito il testo con le sue forme-figure, le quali sembrano in qualche modo scaturire dall’ineffabile oceano solariano in cui — richiamando echi leopardiani — sembra dolce naufragare.

Ma per poter gestire la missione lo scrittore deve prima alienarsi da se stesso, smettere i panni consueti. Ne deriva un io sfrangiato, senza una precisa identità. Tale fluida sembianza non significa tuttavia che la sua volontà sia a sua volta sfilacciata e incolore. Al contrario, essa è animata dalla determinazione a conoscere, a squarciare il velo dell’ignoranza e quindi a penetrare nei sancta sanctorum di Solaris. Ma a questo punto si erge la barriera, hic sunt leones. Almeno per il protagonista, a suo modo novello Ulisse, il quale — pur guidato dall’amico filosofo Gabriele — sarà irretito dai fantasmi e dai terrori dell’inconscio, che ne pregiudicheranno la lucida consapevolezza di una realtà in continuo divenire e dalle mille guise. Sarà invece un pilota solariano, Petar Bogur — accompagnato dal gatto Schrodinger e dalla fantasmatica Maria — a carpire qualche segreto custodito nel pianeta, e dal pianeta. Si legge in un passo del romanzo: «Sognando, il demiurgo — ma la sua mente ha attributi divini? Ha già la facoltà di creare mondi? — nutre il suo oceano di idee, parole, fatti e cose, della memoria di infinite combinazioni che, spinte da una forza impensabile, saranno pronte a creare e a ricreare. Accogliendo in sé ciò che è ancora niente ma che potrebbe diventare tutto l’oceano dormiente, sognante, arriverà a trasformare la materia in coscienza? si chiede il pilota Petar Bogut, il mortale che ha scorto l’orizzonte delle forme perfette, l’Uno, cadendo dentro la memoria dei fatti e delle cose su un razzo in fiamme».

Centrale e nevralgico, nel romanzo, è il significato rivestito dall’oceano. Esso, per l’umano pensiero, è inconoscibile. In questa temperie si intrecciano richiami, incalzanti e illuminanti, a Platone, a Kant, a Hegel. Tale oceano, in cui si specchia il divino, rimane un universo chiuso. La sua conoscenza è preclusa ai mortali perché essi sono legati, o meglio, avvinghiati, alle percezioni sensoriali e all’antropocentrismo. Ma se il rapporto tra umano e divino è votato all’insuccesso, manifestandosi nella forma della incomunicabilità, è pur vero che s’impone con forza nel romanzo l’anelito del protagonista a ghermire un’entità che sia al di sopra della dimensione terrestre. E già questo tentativo, operato con il massimo sforzo e con un indomito spirito di sacrificio, vale a stabilire il valore di una tensione al divino che emancipa e nobilita.

La continuità, pur con le obiettive differenze, che lega la storia di Solaris (parte prima e parte seconda) è impreziosita dal debito di riconoscenza che Roic tributa a Lem. Così, significativamente, recita la premessa al libro, «Poter “lavorare” all’interno dell’immaginario solariano di Stanislaw Lem è stato un onore, un onere e una sfida del pensiero. In effetti, il principe degli scrittori, l’argentino Jorge Luis Borges, raccontava che gli era accaduto di avventurarsi a scrivere e che riteneva che comunque quello che aveva letto fosse molto più importante di quello che aveva scritto».

di Gabriele Nicolò